È scattato l’obbligo del Pos per esercenti, commercianti, professionisti e aziende. In pratica, da ieri, chiunque abbia un’attività verso il pubblico deve dotarsi obbligatoriamente dell’apposita macchinetta per accettare pagamenti tramite carta di debito o bancomat. Mentre consumatori, clienti e acquirenti possono chiedere di pagare con moneta elettronica a partire da spese superiori ai 30 euro. E qualora esprimano questa volontà l’esercizio è obbligato ad accettare la richiesta (anche se per il momento non sono previste sanzioni in caso di inadempienze).
Secondo Confesercenti, dotarsi del Pos per un’impresa che realizza transazioni per 50 mila euro l’anno potrebbe arrivare a costare fino a 1.700 euro tra costi d’installazione, canoni e commissioni. La misura che ha introdotto l’obbligo del Pos era stata adottata dal governo Monti, ma l’entrata in vigore, inizialmente prevista per il 1° gennaio 2014, è stata posticipata di sei mesi. «Una tassa occulta, oltre che un favore alle banche», spiega a tempi.it il segretario generale di Confesercenti Mauro Bussoni (foto in basso a sinistra), perché «è una misura che non tiene conto di chi deve sobbarcarsi i costi dell’attuazione né tantomeno serve a combattere l’evasione».
Bussoni, chi è tenuto a installare il Pos?
Chiunque abbia un’attività verso il pubblico. Anche se, di fatto, dovrà aggiornarsi soprattutto chi non ha un esercizio commerciale in sede fissa, come, per esempio, gli idraulici o i muratori. Ma anche professionisti, come possono essere gli architetti, gli avvocati, i commercialisti e i consulenti del lavoro. Persino gli ambulanti e le piccole attività anonime dovranno obbligatoriamente dotarsi di un Pos.
Ce n’era davvero bisogno?
Senza dubbio favorire i pagamenti tramite moneta elettronica risolve una serie di problematiche connesse alla loro tracciabilità, alla trasparenza e alla sicurezza. È legittimo auspicare che anche in Italia aumenti l’utilizzo delle carte elettroniche, che è minore rispetto ad altri paesi europei. Ma per farlo sarebbe stato molto meglio incentivare il ricorso a simili mezzi di pagamento rendendolo più conveniente, anziché condurre la “lotta al contante”, come già si è provato a fare con il tetto a 1.000 euro, che c’è solo in Italia. È quello che ha fatto, per esempio, la Corea del Sud, abbassando notevolmente i costi di gestione. Costi che da noi rimangono altissimi.
Non è esagerato parlare di «tassa occulta»?
No, non è esagerato. Oltretutto con l’obbligo di pagamento tramite Pos si corre il rischio di dimezzare, azzerare o addirittura mandare in rosso i margini di guadagno di alcune particolari categorie come gli edicolanti, i tabaccai e i benzinai. Tanto per fare un esempio, un tabaccaio, che già ha un euro di margine di guadagno sul rinnovo di un bollo da 100 euro, con il pagamento tramite Pos dovrà sborsare una commissione di 1 euro e 50 centesimi. Così come un benzinaio, che riceve ogni giorno il 40-50 per cento dei pagamenti tramite carte di credito o di debito, si vede dimezzato al 2 per cento il margine di guadagno, che già è risicato, essendo pari a circa il 4 per cento. Mentre, di certo, le banche non piangeranno.
Non crede, però, che in un momento di crisi come l’attuale sia difficile trovare margini per incentivare la moneta elettronica?
No, è una questione di scelte e obiettivi. Se veramente volesse condurre la lotta all’evasione, questo governo dovrebbe incentivare il ricorso alla moneta elettronica facendo in modo che il suo costo non ricada interamente sulle imprese. Nel caso in esame, per esempio, sarebbe bastato introdurre criteri di gradualità a beneficio di chi sceglie di pagare tramite bancomat o carta di credito. È innanzitutto il costo della moneta elettronica a dover essere abbassato in Italia. Anche la Banca d’Italia ha certificato che il numero di carte di credito nel nostro paese è diminuito. La colpa non può essere solo della crisi economica, significa che pagare in contanti è tuttora più conveniente.