Ridurre il limite ai pagamenti in contante sotto il tetto attuale di mille euro. Potrebbe essere questa la volontà del governo, stando almeno a quanto dichiarato dal ministro dell’economia Fabrizio Saccomanni in audizione in Parlamento sulla Legge di Stabilità: «Questo è un punto su cui l’Italia resta indietro ed è un punto su cui vogliamo intervenire», ha detto Saccomanni così come riportato dall’agenzia Reuters. Ma è un’ipotesi che potrebbe avere molte controindicazioni. Quali sono ce lo spiega Paolo Rebuffo, blogger e analista finanziario, nonché portavoce di Contante Libero, un’iniziativa che chiede l’abolizione del limite all’utilizzo del contante fin dai giorni del governo Monti che l’ha introdotto. Un’iniziativa che in poco tempo ha raccolto l’adesione di un centinaio di blogger e 14 mila firme di sostegno.
Rebuffo, perché si dovrebbe ridurre ulteriormente la soglia massima per il pagamento in contanti?
Saccomanni, come Monti prima di lui, sostiene che è per motivi di antiriciclaggio, per contrastare l’evasione fiscale. In realtà, si vuole fare un grande favore alle banche, portando più liquidità nelle loro casse, oltretutto dopo che la legge di stabilità ha già regalato loro oltre 1 miliardo di euro con la revisione del trattamento fiscale delle perdite sui crediti.
Quanto potrebbe costare a un comune cittadino l’obbligo di dover pagare solo col bancomat o la carta di credito?
Considerando che il costo delle commissioni bancarie può raggiungere l’1,5 per cento, ogni cittadino che dovesse ricorrere a modalità di pagamento elettroniche tramite Pos potrebbe arrivare a spendere anche 600/700 euro di commissioni in più l’anno.
A quale logica può mai rispondere un simile disegno? Sembrerebbe così assurdo…
Di certo non c’entra nulla con il contrasto all’evasione fiscale. Mi sembra piuttosto l’ultima spiaggia di un paese che sta andando in bancarotta e non se più dove reperire risorse. Ma molto probabilmente così facendo arriveremo al punto in cui non circoleranno nemmeno più i soldi, con grave danno per l’economia.
Non si corre anche il rischio di limitare la libertà personale?
Eccome, ogni volta che qualcuno paga con un mezzo elettronico si crea un record, un dato, dove può esserci scritto esattamente cosa si è comprato, chi l’ha comprato, dove e quando lo ha comprato. Dal giornale o il caffè, fino alla borsetta che si vuole regalare all’amante. Se questa non è una limitazione della libertà personale…
È vero che l’Italia, su questo punto, è indietro rispetto all’Europa?
Per nulla. Nei paesi dove c’è maggiore libertà e l’economia è in crescita non c’è nemmeno il limite all’utilizzo del contante. In Svizzera, per esempio, le comunicazioni antiriciclaggio scattano solo per le spese superiori ai 25 mila franchi, mentre in Germania il limite imposto all’utilizzo al contante dalla normativa è di 15 mila euro. Da noi, invece, le banche, ma anche alberghi e negozi, sono obbligati a trasmettere qualsiasi informazione al fisco che controlla tutte le nostre spese e se sono congrue o meno con la nostra disponibilità finanziaria.
I consumi si deprimeranno ulteriormente?
Checché ne dica Saccommanni, l’esperienza comune dice di sì. Io abito a Genova, per esempio, e i gioiellieri qui non vendono più un orologio che sia uno. Per comprarlo in contanti, infatti, basta andare a Montecarlo. È ridicolo, è evidente: un autogol. Come lo è stato la tassa sulle imbarcazioni che da noi, ormai, sono sparite, sono tutte a Mentone, mentre i porticcioli qui sono vuoti.
Se si consuma di meno, poi, lo Stato incassa di meno.
Appunto, e vedremo cosa diranno i prossimi dati sul gettito dell’Iva. Pensi quanto si perde di Iva per ogni singolo orologio comprato a Montecarlo o in Svizzera anziché in Italia.
E per quelle zone d’Italia dove la prassi vuole che si battano meno scontrini che altrove?
Cosa facciamo al Sud, mi domando, mandiamo fuori legge un’intera popolazione? Perderemmo un enorme fetta di fatturato netto.
A volte viene da pensare che l’Italia sia un Paese da lasciare…
Meno male che io a gennaio mi trasferisco in Svizzera. Ma non dobbiamo sottovalutare un aspetto molto importante in tutta questa vicenda.
Quale?
Che a lasciare il paese non saranno certo gli operai che non possono permetterselo. Saranno gli imprenditori: chi li obbliga a rimanere? E, ancora una volta, quando un imprenditore se ne va, porta via la sua azienda, porta via il lavoro e, da ultimo, anche risorse fresche per le casse dello Stato. Mentre in Italia, a pagare, restano sempre i soliti.