Numeri ad alta tensione

Di Giovanni Maria Leotta
16 Aprile 2021
Nel 2020 abbiamo avuto tanti morti quanti negli anni del secondo conflitto mondiale? Ottimo titolo per un giornale. Se l’intento è seminare un po’ di fifa da Covid. Le statistiche, però, andrebbero maneggiate con più cura di così
Candele accese a Berlino per le vittime del Covid-19
Veglia in occasione della Giornata delle vittime del Covid-19 a Berlino nel gennaio scorso. Un foglio ne riporta il numero

Il 2020 è stato purtroppo l’annus horribilis per il numero dei decessi, questo è ormai un dato ben noto. Nei lunghi mesi dell’emergenza da coronavirus che, al momento, non si accenna a voler dismettere, si è potuto leggere, in diverse occasioni, sui mezzi di informazione la notizia che il numero dei decessi del 2020 non si verificava dai tempi del secondo dopoguerra. E, infatti, l’anno 2020, con i suoi quasi 750 mila morti, ha avuto un numero di morti talmente alto che non si presentava dal 1943, che ebbe circa 792 mila decessi, superando anche i 732 mila del 1944.

Si tratta, certamente, di un messaggio chiaro e molto “ad effetto” che induce la componente emotiva del lettore di una simile notizia a ritenere che la mortalità dell’anno da poco concluso sia stata tanto grave quanto durante i tempi della Seconda Guerra mondiale e gli anni immediatamente successivi. D’altronde, in più occasioni, anche le autorità del paese si sono rivolte ai cittadini qualificando la lotta al coronavirus con termini e locuzioni propri dei periodi bellici e del linguaggio militare. Così come, evidentemente, proprie dei tempi di guerra – e, anzi, ben più gravose – sono le perduranti deroghe e sospensioni dell’esercizio dei diritti fondamentali costituzionalmente garantiti alle quali siamo, e siamo stati, sottoposti da oltre un anno.

Un simile messaggio è stato ultimamente, ma non solo, diffuso e rilanciato con una certa frequenza anche dall’Istituto nazionale di statistica (Istat). L’ultima volta è avvenuto pochi giorni fa in occasione della pubblicazione del report La dinamica demografica durante la pandemia Covid-19, diffuso il 26 marzo, che a pagina 4 ribadisce: «Nel 2020 i decessi in totale ammontano a 746.146, il numero più alto mai registrato dal secondo dopoguerra, con un aumento rispetto alla media 2015-2019 di oltre 100 mila unità (+15,6 per cento)».

Il dato appena riportato, cioè il fatto che i valori assoluti dei decessi annuali avvenuti in Italia nel 2020 non si verificavano da oltre 70 anni è, in sé, vero. Ma è anche effettivamente significativo? Cioè ha senso confrontare i numeri dei decessi di due periodi così distanti tra di loro? Proviamo a capire qualcosa di più e, soprattutto, a spiegare perché un tale raffronto risulta, a ben vedere, avere la stessa portata di accrescimento conoscitivo di una affermazione del tipo “una Ferrari è più costosa di una Fiat”.

Il paragone grezzo tra i valori assoluti dei decessi dell’anno 2020 con quelli del secondo dopoguerra, infatti, non tiene conto di almeno tre aspetti fondamentali.

1. La differenza di numerosità della popolazione. Innanzitutto, occorre considerare l’ingentissima differenza di numerosità della popolazione residente in Italia nei due differenti periodi storici, cioè il 2020 e gli anni della Seconda Guerra mondiale o del secondo dopoguerra. Infatti, sfogliando le stesse serie storiche dell’Istat, si può constatare che, ad esempio, nel 1944 la popolazione residente nel nostro paese era di 45,23 milioni di persone, mentre a inizio dell’anno 2020 era di 59,64 milioni (60,24 milioni, se si considerano i dati precedenti al censimento permanente): la popolazione del 2020, pertanto, è di quasi un terzo superiore a quella di settantacinque anni fa, cioè è aumentata del 31,85 per cento. Confrontare il numero dei decessi dell’anno 2020 di un paese con 60 milioni di abitanti al numero dei decessi avvenuti negli anni in cui la popolazione era di 45 milioni equivale, di fatto, a confrontare il numero dei decessi di due paesi diversi, paesi la cui popolazione differisce numericamente di oltre il 30 per cento.

Grafico sulla numerosità della popolazione italiana ai censimenti dal 1936
Numerosità della popolazione italiana ai censimenti dal 1936 (clicca sull’immagine per ingrandire)

2. La differenza del tasso di mortalità. Le serie storiche dell’Istat informano, altresì, che nel 1944 il tasso di mortalità – cioè il numero di decessi annuali ogni 1.000 persone vive (valore medio durante l’anno) – fu di 16,2, e nel 1945 di 14,19. Nel 2020 il tasso di mortalità si assesta intorno al valore di 12,6, mentre negli scorsi vent’anni il valore è oscillato da 9,5 (anno 2003) a 10,7 (anno 2015) e, a partire dal 2011, non è mai sceso sotto il valore di 10 (con l’unica eccezione del 9,8 registrato nel 2014). Pertanto, la mortalità del 2020 non è nuovamente paragonabile a quella degli anni Quaranta, anche se nei due periodi l’Italia ha avuto lo stesso numero di decessi: perché se l’anno 2020 avesse presentato un tasso di mortalità davvero uguale a quello dell’ultimo anno che ha avuto un numero di decessi simile (cioè il 1944), si sarebbero registrati circa 960 mila decessi, circa 215 mila in più di quelli avvenuti.

Grafico dell'andamento dei tassi di natalità e mortalità in Italia dal 1936 al 2020
Tassi di natalità e di mortalità in Italia dal 1936 al 2020 (clicca sull’immagine per ingrandire)

3. L’abissale differenza nella composizione percentuale per età della popolazione. È evidente a chiunque che nel secondo dopoguerra la componente giovane e adulta della popolazione (ad esempio quella compresa tra 0 e 59 anni di età) era molto più numerosa e percentualmente più “pesante” (sul totale della popolazione residente) rispetto a quella di età più avanzata e soprattutto rispetto a quella anziana. Ed è vero anche il reciproco.

Grafico sulla suddivisione della popolazione italiana per fasce di età ai censimenti dal 1936
Popolazione italiana per fasce di età ai censimenti dal 1936 (clicca sull’immagine per ingrandire)

Dai dati del censimento del 1936 (quello del 1941 non si svolse per motivi bellici) risulta che all’epoca in Italia su 100 persone ben 89 avevano meno di 60 anni, ossia gli 0-59enni costituivano l’89 per cento della popolazione. Nel 1951 erano poco meno di 88 su 100. Al 1° gennaio 2020, invece, all’interno della popolazione residente le persone con un’età inferiore ai 60 anni erano solo 70 su 100. Reciprocamente, nel 1936 le persone con almeno 60 anni di età erano 11 su 100, e 12 su 100 nel 1951. Invece, nel 2020 gli almeno sessantenni sono stati quasi 30 su 100. 

Passiamo agli anziani: nel 1936 le persone residenti in Italia con almeno 75 anni di età erano 2,3 su 100, nel 1951 erano 2,6 su 100. A inizio 2020, invece, le persone dai 75 anni in su erano 12 su 100, cioè il loro peso percentuale sul totale della popolazione residente si è poco meno che quintuplicato. Sono ottime notizie, perché stanno a rappresentare che l’età media al decesso si è innalzata, così come è aumentata la speranza di vita alla nascita, ma sono anche fattori che, con ogni evidenza, non possono essere obliterati quando si affronta il tema della mortalità. 

Si approfitta anche per segnalare che l’Istat stesso, nelle previsioni demografiche pubblicate sul proprio portale, stima che i decessi potranno salire, nel giro dei prossimi 40 anni, fino al valore di 890 mila all’anno, così come è stato stimato che il tasso di mortalità possa spingersi fino al valore di 17,5 (questa volta veramente come nel 1943).

In chiusura, il lettore potrà giudicare se davvero non rischia di essere fuorviante il confrontare i valori assoluti dei decessi di due periodi storici così diversi (gli anni del secondo dopoguerra e l’anno 2020), senza fornire un adeguato, seppur minimo, inquadramento che permetta di tenere in considerazione sia la differente numerosità della popolazione sia i differenti pesi percentuali delle diverse fasce anagrafiche all’interno della popolazione stessa. Si faccia, quindi, attenzione a non proporre, dei dati, una interpretazione a mo’ di instrumentum regni, quasi a legittimare “a prescindere” la bontà delle “misure draghiniane” che – imposte dallo scorso governo a marzo 2020 – vengono oggi nuovamente rinnovate e confermate, con il risultato assicurato non tanto di ridurre il contagio quanto di mantenere alti la tensione e il timore nelle persone, in questo clima di pandemia e di emergenza permanente: è chiaro che una popolazione stordita, addolorata e spaventata dalla notizia che i decessi annuali sono stati simili a quelli degli anni della guerra mondiale (o degli anni immediatamente successivi) sarà meno maldisposta a subire quasi qualsiasi privazione e limitazione delle proprie libertà, pensando in questo modo di conservare la salute e salvare la propria vita.

Tuttavia, continuando ad alimentare allusivamente la narrazione del tempo presente con continui rimandi che vanno a pescare tra i ricordi dei tempi più drammatici della storia nazionale – come sono stati gli anni del secondo conflitto mondiale – non si sarà davvero svolta un’opera di in-formazione che sia trasparente, rispettosa della realtà, veritiera e al servizio della nazione.

Foto Ansa

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