

La cattedrale parigina di Notre-Dame brucia. È un dramma, certo, «ma sarà ricostruita». «La nostra casa», invece, «sta crollando e il tempo stringe e niente sta succedendo». Così Greta Thunberg ha liquidato il rogo che ha avvolto e quasi distrutto una delle chiese più importanti al mondo, simbolo di un intero paese, la Francia, per riportare l’attenzione sulla sua missione: la salvezza del pianeta.
L’attivista climatica di 16 anni arriva in queste ore in Italia, portata in palmo di mano dai media, incontrerà i senatori italiani, papa Francesco e poi i suoi coetanei. Davanti alla tragedia di lunedì notte ha poco da dire: appena il tempo di dare un’occhiata, quello che serve per strumentalizzare l’incendio e ricondurre l’imprevisto nei binari consueti del proprio canovaccio. Il riscaldamento climatico, appunto.
Greta è arrivata in Italia, dove due (si fa per dire) intellettuali hanno appena dimostrato la sua stessa radicale incapacità di guardare la realtà, i fatti e il loro significato, ciò che naturalmente evocano. Il primo è Roberto Saviano, che puntuale come un orologio dopo il rogo ha scritto su Facebook:
«Osservare il dolore dell’Europa e del mondo intero per le fiamme di Notre-Dame ha dato conforto per la tragedia. Il dolore per l’incendio ha fatto sentire appartenenza alla storia europea, ma con Notre-Dame a bruciare non è stata l’Europa. L’Europa è in fiamme? No. Credo piuttosto che l’Europa sia annegata nel Mediterraneo insieme alle centinaia di migliaia di migranti che in questi decenni sono morti senza che nemmeno ci sia giunta notizia della loro fine».
Al tuttologo nostrano, impegnato nella sua battaglia per salvare l’umanità dell’Europa, non importa un fico secco della cattedrale parigina, vessillo di pietra di quella realtà millenaria, la Chiesa, che proprio quell’umanità nutre da secoli. E così svia l’attenzione, come già fatto poco prima sempre sui social dalla scrittrice Michela Murgia:
«Pur nel rammarico per un’opera mirabile che va in fiamme, continuo a leggere frasi enfatiche e catastrofiste, tipo che l’incendio al tetto di Notre-Dame sarebbe “un colpo simbolico al cuore dell’Europa”. Se penso che solo tra gennaio e marzo nell’indifferenza europea nel Mediterraneo sono morte 274 persone per mancanza di corridoi umanitari e per la criminalizzazione delle navi civili di soccorso, mi viene da dire che “il colpo al cuore dell’Europa” forse lo stiamo guardando dal lato sbagliato».
C’è già chi ha parlato di “benaltrismo” buono per tutte le stagioni, utilissimo perché permette di svicolare dall’osservazione di alcuni piccoli fatti sorprendenti. Notre-Dame è stata avvolta dalle fiamme, un patrimonio dell’umanità ha rischiato di andare distrutto per sempre, la sua guglia, tra i simboli di Parigi, è rovinata al suolo e la volta della navata centrale è crollata. Davanti a questo spettacolo «apocalittico», secondo le parole usate dal rettore della cattedrale Patrick Chauvet, centinaia di francesi sono scesi in piazza per pregare e cantare, quasi un miliardo di euro è stato donato in 24 ore per la ricostruzione. Perché?
Lo ha spiegato l’arcivescovo di Parigi, monsignor Michel Aupetit, in un’intervista a Le Figaro:
«Il segno spirituale dell’incendio della nostra chiesa madre è un immenso dolore. Che cosa ci vuole dire il Signore attraverso questa prova? Siamo davanti allo scandalo della morte, rivolti al mistero della risurrezione. La nostra speranza non sarà mai delusa perché non è fondata su edifici di pietra, che sono sempre da ricostruire, ma sul Risorto che resta per sempre. Noi abbiamo perso la bellezza del nostro portagioie, ma non abbiamo perso il gioiello che conteneva: il Cristo presente nella Parola e nel Corpo offerti per noi».
Riflettendo sul clamore che ha suscitato in tutto il mondo l’incendio, l’arcivescovo ha aggiunto:
«La distruzione della cattedrale ha suscitato un moto spontaneo di preghiera e generosità nel mondo intero e questo ci commuove. Notre-Dame è storicamente l’anima della Francia. È il simbolo della fede di un popolo che, anche quando lo dimentica, come diceva Lacordaire a Notre-Dame, è “il figlio prediletto della Chiesa”. Oltre a ricostruire le pietre, dovremo ricostruire la Chiesa tutt’intera attraverso la conversione del nostro cuore. “Va – dice il Signore a san Francesco d’Assisi – e ripara la mia Chiesa in rovina”».
Greta, Saviano e la Murgia dovrebbero imparare qualcosa da monsignor Aupetit.
Foto Ansa
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