Non venitemi a dire che il cinema in streaming è bello uguale

Di Simone Fortunato
11 Novembre 2020
Canto notturno di un cinefilo errante all’ultima proiezione in sala prima del lockdown (definitivo?). La sfortunata uscita di "Cosa sarà" di Francesco Bruni sembra quasi una profezia
Una scena del film 'Cosa sarà’ di Francesco Bruni

Articolo tratto dal numero di novembre 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

C’è una piccola grande tragedia che si consuma da marzo: l’agonia lenta ma inesorabile dei cinema. Monosala, multisala, grandi catene: tutti navigano in cattive acque, tra aperture senza film degni di nota e chiusure lancinanti. 

Scrivo queste righe in una triste domenica di ottobre, probabilmente l’ultima di apertura delle sale per lungo tempo. Ho passato al cinema dal primo pomeriggio fino a un attimo prima del coprifuoco. Una giornata di film belli e brutti, lunghi e corti, e comunque tutti invisibili ai più: perché al cinema – un grosso cinema nella cintura milanese, ma il discorso vale per tutta Italia – non c’era un’anima. C’erano le cassiere, le maschere, c’era l’igienizzazione dopo ogni spettacolo, c’erano i proiezionisti. C’era persino qualche film buono e uno bellissimo, tutti italiani, cosa inimmaginabile solo qualche mese fa. Solo loro c’erano, più qualche scarto dell’anno scorso. Film minori, horror estivi rimasti in fondo a qualche magazzino pronto alla dismissione. 

Quante ore passate lì dentro

Perché la cosa paradossale e inquietante è che, da quando abbiamo riaperto (uso il noi perché pure io, nel mio piccolo, mi arrabatto nell’esercizio cinematografico), non ci sono mai stati film. Solo Tenet è uscito, incassando meno della metà di quanto avrebbe fatto in tempi normali. Tutti gli altri, uno dopo l’altro, hanno riununciato a entrare in sala. Mulan e Soul buttati nello streaming. La Disney fa i suoi calcoli, e non solo lei: film come il nuovo 007 o l’attesissimo Dune sono slittati di un anno. E così si cancellano, un giorno con l’altro, investimenti importanti e si distrugge quel poco che rimaneva delle speranze del settore. Soprattutto, si gioca al ribasso perché si fa passare l’idea che lo streaming, la tv e – per i pochi fortunati – il proiettore domestico siano la stessa cosa di una sala da cinema. 

Sin da ragazzo ho sempre vissuto in un cinema. Non è un modo di dire. Ci vivo proprio in un cinema. Ci passo le mattine quando la scuola me lo permette (sono un insegnante), i pomeriggi, le sere, le notti. Ho dormito in sala, in cabina di proiezione. Ho imparato a conoscere e poi lavorato fianco a fianco con cassiere, bariste, maschere, impiegati. Ho conosciuto distributori, registi, attori, produttori. Ho imparato a capire certe logiche di programmazione e perché il tal film esce in un determinato fine settimana. Ho dato vita a rassegne, proiezioni scolastiche. Ho fatto degli splendidi laboratori con ragazzi delle elementari, delle medie e delle superiori, tutti con gli occhi fuori dalle orbite quando raccontavamo loro che la nostra cabina di proiezione è più lunga del campo di San Siro o quando i proiezionisti insegnavano come si monta un film in pellicola. 

Insomma: tanti ricordi, la maggior parte legati a persone. Tanti litigi, tante pagine scritte: ho imparato più da un film di un’ora e mezza che in molti anni di scuola, parafrasando Bruce Springsteen. Ho imparato a scrivere e mica dal mio prof del liceo ma al cinema, vedendo migliaia di film, riflettendo su milioni di scene scritte e recitate, accorgendomi di centinaia di errori di narrazione e sintassi cinematografica. Mi sono inventato un lavoro, a partire da una passione che non è mai venuta meno e anzi è cresciuta negli anni. È stata una grande avventura che chissà come continuerà.

Una scena del film 'Cosa sarà’ di Francesco Bruni

Gennaio è dietro l’angolo: dicembre, il mese di maggior incasso, è perso per sempre. Ci licenzieranno tutti o quasi, rimarranno in piedi solo i cinema parrocchiali che si reggono sul volontariato. Le grandi catene, spesso in mano ad anonimi fondi di investimento, chiuderanno sale su sale. Sarà un’ecatombe e quando tutto finirà, troveremo sullo schermo storie che racconteranno la nostra vicenda, dolorosa. 

Tutto ci sembrerà minuscolo

Non sappiamo cosa sarà ma sappiamo cosa è un cinema. È un grande posto e un posto grande al tempo stesso, dove i film brutti diventano indimenticabilmente brutti e i film bellissimi diventano esperienze che ti porti nel cuore per giorni, mesi, persino anni. Tutti i nostri ricordi cinematografici sono legati indiscutibilmente alla sala, non certo a una tv, e il motivo non è solo la grandezza dello schermo, il sonoro, eccetera. Anche. Ma è soprattutto il fatto che al cinema non sei mai solo: vedere un film in sala è un rito collettivo, non dissimile dalla fruizione di uno spettacolo a teatro. Si ride e si piange insieme. Ci si ferma a commentare. Si litiga furiosamente. Tutto è amplificato: nelle dimensioni, nel tempo e nello spazio. 

In qualche modo misterioso, al cinema le immagini, che pur fuggono velocissime, rimangono, a differenza di quelle televisive che puoi sempre fermare o riavvolgere ma non ti restano mai appiccicate nella testa. E poi a casa, davanti alla tv, non ci si sta mai davvero. Ti alzi, vai in bagno, i figli ti rompono l’anima, suona il telefono, tutto è così terribilmente disturbato, tutto così piccolo che anche quando vedi un film grande e immortale come Le ali della libertà e Braveheart le immagini ti rimangono meno dentro, lavorano meno. Si perde l’essenza, il sapore. 

I miei amici con un sacco di figli si lamentano perché al cinema pagano mezzo mutuo tra biglietto d’ingresso e popcorn, ma provate ad andare in un parco di divertimenti e poi ne riparliamo. O anche a teatro, nostro compagno di sventure in questi tempi cupi. Com’è possibile vivere senza cinema? Tutto ci sembrerà ridotto, minuscolo. Faticheremo a dire: “Ho amato questo film”, oppure: “L’ho odiato mentre tutti gli altri in sala lo osannavano” (tipo I segreti di Brokeback Mountain visto alla Mostra di Venezia: ecco un esempio di film brutto ma indimenticabile per tanti motivi legati alla sala). 

Rinunciare al cinema per me è inaccettabile e triste: è un di meno per i miei desideri, un aiuto in meno ad amare la mia famiglia, gli amici, gli alunni, i colleghi. La mia intelligenza che è sempre stata sollecitata, vorrei direi quasi educata, dall’impatto con i film belli, brutti e anche quelli medi. Per me era normale uscire da una sala e dirmi: “Che filmaccio, devo dirlo ai miei amici”. Oppure: “Che meraviglia, tutti devono conoscerlo!”. Come l’ultimo visto al cinema, il bellissimo Cosa sarà di Francesco Bruni, profetico sin dal titolo. Doveva uscire a marzo e poi, travolto dal lockdown, è slittato a ottobre, quando è stato travolto nuovamente. 

Non può essere solo sfortuna

È la storia, in parte autobiografica, di un regista che si trova la vita cambiata quando scopre di avere un tumore del sangue. È un film pieno di sguardi, oltre la mascherina, pieno di affezione alla vita, ricco di gente che dà una mano quando tutto pare crollare e la vita sembra non avere più un senso. Un film tutto votato alla speranza, con tante porte che si aprono e che, per uno scherzo tragico del destino, esce per un giorno poco prima che tutte le porte si chiudano. 

Qualcuno potrebbe dire: “Che sfiga”, e ci si potrebbe fermare cinicamente al momento e al destino infausto del povero Cosa sarà. A me invece hanno insegnato che tutti i grandi film sono in qualche modo una profezia se non per un futuro prossimo, almeno per l’orizzonte del tuo cuore. Così il film finisce in un modo imprevisto in un grande abbraccio e in una casa che finalmente il protagonista riconosce. Una visione, un orizzonte a cui ci aggrappiamo: perché, è vero, il cinema è sempre stato una casa, casa nostra, una casa magari caotica e disordinata, ma con tante finestre sempre aperte su un panorama sorprendente, da contemplare. 

E ora? Come faremo? Come farò senza una casa a cui tornare? Aiutateci, tornando al cinema, almeno in quelli che riapriranno, per evitare una pandemia ancora più dura, quella della perdita del Senso delle cose e del Bello. 

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