Lettere al direttore
Non v’è nulla di più insopportabile dei moralisti anti Berlusconi
Egregio direttore, si capisce ancora meglio oggi quello che Berlusconi lascia in eredità al paese e non solo a chi lo ha stimato e votato in questi anni. Ha rifondato, o meglio, ha fondato il centrodestra italiano e questo è ciò che i suoi avversari non gli hanno mai perdonato e non gli perdonano neppure oggi. Ecco, hanno tentato in tutti i modi di eliminarlo ed anche oggi vorrebbero che non fosse mai esistito perché quello che lui ha contribuito a realizzare non può essere eliminato, non ne può essere eliminata la memoria. Il vero pericolo oggi non sta nei suoi avversari, che sono comunque poca cosa, ma negli uomini e donne che costituiscono questo governo e che devono tenere fede al progetto che lui ha immaginato.
Massimo Mazzucchelli
Non so perché definisca un “pericolo” coloro che fanno parte di quel centrodestra che il Cavaliere, come lei giustamente scrive, fondò, ma quel che mi pare interessante è vedere se, anche in sua memoria, oggi portino a casa quella riforma della giustizia che lui sempre promise, ma non realizzò mai.
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Tra i tanti aspetti che agli occhi dei suoi molteplici avversari e denigratori in servizio permanente effettivo faceva di Berlusconi un pessimo soggetto e ancor più un pessimo politico, vi era l’ipocrisia di chi a parole si professava cristiano salvo poi smentirsi clamorosamente a suon di divorzi e più in generale di una condotta non esemplare dal punto di vista dell’etica e del costume. Insomma, il classico caso di chi predica bene e razzola male. Ora, che il Cavaliere non fosse la persona forse più indicata per tenere un corso di morale sessuale e famigliare lo si può anche concedere (con tutto che a leggere/sentire le bellurie che circolano in certe facoltà di teologia, si (s)viene assaliti da atroci dubbi, ma lasciamo stare); così come è risaputo che Berlusconi avesse, come dire, un debole per la res pubica forse ma diciamo pure superiore a quello per la res publica. Ma anche così le accuse e i ditini puntati e le manine sulla bocca dei severi custodi dell’ethos civile lasciano il tempo che trovano oltre ad emanare un pungente odore di tappo. Il motivo è presto detto: così come ad un Papa non è richiesto che sia un santo (se poi lo è, tanto meglio, ovvio) ma che sappia adempiere al suo mandato ossia confermare nella fede i fratelli (motivo per cui, così per dire, anche un Alessandro VI, sì proprio lui il famigerato Papa Borgia è da annoverare tra i più grandi pontefici nonostante abbia riconosciuto qualche figlio), allo stesso modo ad un politico cristiano non è richiesto di essere una brava persona (poi se lo è, tanto meglio, come sopra), bensì innanzitutto e primariamente di fare una politica ispirata ai valori del cristianesimo. Detto altrimenti: è diecimila volte meglio un politico che si professa cristiano e pur essendo in privato (a proposito: il privato non è pubblico) personalmente debole e magari pieno di contraddizioni, ciò nonostante nel sul ruolo pubblico porta avanti progetti a favore della famiglia e più in generale della visione cattolica della persona (e nel caso di Berlusconi valga su tutti ciò che fece per Eluana Englaro), ad un politico che si dice cristiano e magari è pure impeccabile (o come tale appare, poi vai a sapere) quanto a coerenza, ma che a differenza del primo non solo non si fa interprete e traduce in atti politici le indicazioni della dottrina sociale della Chiesa – magari in nome di una malintesa laicità che fa tutt’uno con una visione più protestante che cattolica della libertà di coscienza da cui è nata quella cosa farlocca che va sotto il nome di cattolicesimo “adulto” (per info citofonare Rosy Bindi) – ma addirittura promuove o non ostacola progetti legislativi o atti di governo che vanno contro la visione cattolica. Tipo, ad esempio, una certa legge approvata in Italia nel 2016 in tema unioni civili, o disegni di legge gender friendly, eutanasici, ecc. Anche per questo, checché se ne dica, Silvio Berlusconi è stato un politico a suo modo cristiano pur con tutti i limiti e le debolezze umane del caso (rispetto alle quali suggerirei ai duri e puri di dare un occhio a Rm 7, 18-25 che fa sempre bene). Tutto il resto sono chiacchere e distintivo.
Luca Del Pozzo
Ai tempi in cui impazzava sui giornali la questione Ruby chiedemmo a monsignor Luigi Negri un commento sulla vicenda. Ci disse due cose:
- «La moralità dei politici va giudicata dall’impegno nel perseguimento del bene comune che consiste nel benessere del popolo e nella libertà della Chiesa. Diversa è la moralità privata che giudicherà Dio e nel caso questa si macchi di un reato non toccherà né a noi vescovi né a noi cittadini giudicare. Il giudizio è della legge: purtroppo mi pare che per ora ci sia solo la presunzione del reato per cui Berlusconi è inquisito, ma sembra che ancora prima del processo la magistratura abbia scritto la sentenza della colpevolezza».
- «L’indignazione non è un atteggiamento cattolico. Tutti gli uomini di buona volontà, che sono più di quelli che sembra al di là di ogni schieramento partitico, devono guardare e portare la situazione con sofferenza, non con indignazione. Sofferenza per un confronto intriso di un odio che si sta diffondendo nella vita del nostro paese, devastando i cuori e le coscienze dei giovani che crescono pensando che il disprezzo sia il modo normale di agire e di vivere i rapporti. Agli ecclesiastici, invece, direi di aprire di più il cuore e le coscienze: perché non si indignano davanti alla persecuzione dei cristiani? Perché non esprimono sofferenza per la devastazione della famiglia? Perché non levano la voce davanti a leggi contrarie alla vita dal suo concepimento fino alla morte? Noi, che dovremmo essere testimoni della speranza, che viene dall’amicizia con Cristo, spesso ci riduciamo a essere parte del gioco del potere che poi, alla fine, è comandato da altri».
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Caro direttore, spero che il Cav. ora riposi (veramente) in pace e non cominci a tampinare il Padre Eterno proponendogli di costruire “Paradiso due” e “Paradiso tre”. All’inizio degli anni Ottanta (quindi ben prima del Milan e di Forza Italia) su Rai Radio Due, nel programma “L’aria che tira” (autori Clericetti, Roderi, Domina e Starace) andava in onda la prima satira sul personaggio, al grido: “Custa quel che custa, el cumpra il Berlusca!”. Ecco, per me la cifra del Cav. è sempre rimasta quella. Poi, col tempo, bisognerà anche riflettere seriamente sulla sua eredità politica (se esiste). E il libro di Giovanni Orsina (che hai citato nel tuo editoriale) mi sembra proprio una lettura fondamentale. Scusa il mio ardire e la mia sfrontatezza. Buon lavoro.
Carlo Candiani
Giovanni Orsina è sempre una lettura fondamentale.
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Il limite fondamentale del film di Bellocchio sul “caso Mortara”, per altri aspetti non privo di interesse, specie nel rendere evidente l’incontrovertibile (e per il regista forse incomprensibile) adesione del giovane Edgardo alla fede cattolica, consiste, a giudizio di chi scrive, nella scarsa contestualizzazione della sovranità temporale della Chiesa, identificata nella figura di Pio IX. Una figura che ebbe dei limiti temperamentali ma che servì la Chiesa nel suo aspetto trascendente (dogmi dell’Immacolata Concezione e dell’infallibilità del pontefice nell’esercizio ex cathedra del suo insegnamento). Ebbe inoltre la sorte di trovarsi al culmine dell’aspro scontro tra cattolicesimo e cultura razionalista, in un tempo in cui la dottrina sociale cattolica si stava formando con Ketteler e don Bosco, ma non era ancora assimilata dalle gerarchie ecclesiastiche. Il suo “non possumus” (non possiamo inchinarci ai poteri laici) riecheggia altri non possumus: di Pio VI, di Pio VII, vittime, questi ultimi degli strascichi della rivoluzione francese e dell’assolutismo napoleonico. Poteva Pio IX prescindere dall’esigere rispetto per una traduzione della presenza della Chiesa nel mondo, il dominio su un certo territorio, che i suoi predecessori avevano difeso come garanzia della libertas ecclesiae? Poteva, probabilmente, ma non lo fece perché non erano maturi né i tempi né le categorie del pensiero. Né, d’altra parte, poteva prescindere dal ritenere le leggi civili conformi in qualche modo alla dottrina ecclesiale, sintesi che la secolarizzazione ha convinto ad abbandonare. Se dunque la fine della sovranità temporale del papa è un evento provvidenziale (“non abbiamo per essa alcun rimpianto, né alcuna nostalgia”, Paolo VI) è anche vero che non dovrebbe mai mancare in chi affronta tali questioni una maggiore attenzione per la natura dell’oggetto di cui si tratta.
Fabrizio Foschi
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Signor direttore, anche l’ex parlamentare e ministra Rosy Bindi parla di deriva “autocratica” e definisce l’attuale governo affetto da “incultura costituzionale preoccupante”. La Bindi non ha più la tessera del Partito democratico nel quale vige il cosiddetto “centralismo democratico”. Una specie di parlamento dove si discute, si propongono idee, ci si ascolta e poi si vota a maggioranza. Passa solo la linea della maggioranza interna al Partito e la minoranza deve accettare e votare a favore quando il Parlamento italiano si riunisce. La minoranza interna del partito non può più discutere la linea presa anche se non è pienamente d’accordo. Per questo di democratico c’è solo la discussione interna, l’ascolto e il voto a maggioranza. Il Partito democratico si arroga così la definizione di “democratico” e vuole che sia accettata dalla Camera e dal Senato, pena l’ostruzionismo, la critica, a volte aggressiva, di chi non è d’accordo definendolo autarchico, fascista, autoritario. Loro però vogliono imporlo, addirittura definendo i cittadini che non lo votano come infantili e incapaci di capire la vera democrazia.
Il “centralismo democratico” interno al partito, diciamolo, è un principio di organizzazione interna usato dai partiti politici leninisti, e il termine è qualche volta usato come un sinonimo per qualsiasi politica leninista all’interno di un partito. L’aspetto democratico di questo metodo organizzativo consiste nella libertà dei membri del partito di discutere e dibattere su politica e direzione, ma una volta che la decisione del partito è scelta dal voto della maggioranza, tutti i membri si impegnano a sostenere quella decisione. Quest’ultimo aspetto rappresenta il centralismo. Come lo descriveva Lenin, il centralismo democratico consiste in “libertà di discussione, unità d’azione”.
Gli statuti delle organizzazioni leniniste avevano definito i seguenti principi-base del centralismo democratico:
Carattere elettivo e revocabile di tutti gli organi di partito dalla base al vertice.
Tutte le strutture devono rendere conto regolarmente del loro operato a chi li ha eletti e agli organi superiori.
Una rigida e responsabile disciplina nel partito, subordinazione della minoranza alla maggioranza.
Libertà di critica e autocritica all’interno del partito.
Le decisioni degli organi superiori sono vincolanti per gli organi inferiori.
Cooperazione collettiva di tutti gli organi al lavoro e alla direzione, e contemporaneamente responsabilità individuale di ogni membro del partito sul proprio operato.
Il guadagno dei politici e delle figure di amministrazione deve essere uguale a quello di un normale lavoratore.
Definire “democratico” per la Nazione questo stile di organizzazione di un partito è anacronistico, non pienamente rispettoso dei cittadini che non la pensano come il Partito democratico e umiliante per chi nel partito vuole dissentire ed essere coerente con la sua coscienza.
Il Partito democratico quindi a proposito di “autoritarismo” e “autocrazia” non è di esempio a noi poveri comuni cittadini che vedono nel Parlamento la vera sede della democrazia e non quella interna al Partito.
Gabriele Soliani, Reggio Emilia
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Caro direttore, la ringrazio per la sua risposta alla mia lettera. Devo però sottolineare che l’accostamento di Elly Schlein al totalitarismo è il frutto di una attenta analisi e, soprattutto, di letture di saggi che, almeno in un caso, ho conosciuto sulla sua rivista. Faccio riferimento a “La resistenza dei cristiani”, di Rod Dreher, in cui l’accostamento al totalitarismo dei progressisti “woke”, con le armi ideologiche del gender, dei lockdown, della censura, dell’utero in affitto, dell’estensione dell’aborto e di tante altre posizioni inquietanti, è ben motivato. Le riporto il link ad un’intervista a Dreher di Tempi. Inoltre, da lettore della newsletter di Giulio Meotti, potrei citarle decine di testimonianze di persone che hanno vissuto nei regimi totalitari e che accostano l’estremismo dei progressisti al totalitarismo. Sarei ben disposto a regalarle l’abbonamento alla newsletter (costa solo 5 euro al mese) perché leggendola quotidianamente si ha la possibilità di capire che chi accosta i progressisti al totalitarismo è molto cauto, molto ben informato e, soprattutto, molto preoccupato. Devo anche motivare l’accostamento di Elly Schlein al progressismo woke o non è necessario? È sufficiente il fatto che questa estremista (rivendico con questa espressione l’esercizio del diritto di critica politica a norma dell’art. 21 Cost.) sia favorevole alla barbarie dell’utero in affitto? Ad ogni modo, sulla scorta di quanto scritto dalla Arendt ne “L’origine del totalitarismo” (un saggio che dovrebbero leggere nelle scuole per liberare i poveri studenti dalla favola del comunismo buono, imparando che nazismo e comunismo-stalinismo avevano tra loro molte più affinità di quelle che avevano nazismo e fascismo), sarebbe più corretto accostare i progressisti “woke” ad un movimento totalitario, in quanto, non avendo raggiunto il potere (grazie a Dio!), non possono essere definiti un regime (anche se con il governo Trudeau in Canada durante il lockdown ci siamo andati vicini). Chiudo questa lettera con una domanda. Perché i progressisti non hanno alcuna remora di accostare chi non la pensa come loro (compresi antifascisti di comprovata storia) al fascismo mentre noi, con argomentazioni solide, ci pensiamo due volte di troppo ad accostarli al fenomeno totalitario?
Filippo Maltese
Rispondo a questa e alla precedente lettera. D’accordo, parliamo da anni della questione, ma posso dire che non bisogna nemmeno esagerare col sentirsi perseguitati? Anche per rispetto a quelli che perseguitati lo sono veramente e rischiano la pelle tutti i giorni.
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Quest’anno ricorre il centenario della nascita di don Milani. Ho letto diversi articoli sul suo metodo, molti a favore e pochi in dissenso. Volevo ricordare un fatto. Don Milani qualche mese prima di morire, dalla casa della mamma a Firenze, diede ordine di smantellare la scuola di Barbiana, banchi compresi. Probabilmente aveva capito che la sua risposta alle esigenze dei ragazzi di Barbiana si stava trasformando in qualcosa di ideologico.
Claudio Luigi Ghidoni
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1 commento
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Gentile direttore,
torno un attimo sul “caso di coscienza” Berlusconi e le porgo una domanda: in base a quale criterio morale i Bindi, Mancuso, Lerner, & C. giudicano (chi siete voi per…no?) immorale il comportamento sessuale del Cavaliere. Certo non secondo il Catechismo della Chiesa Cattolica, visto che lo ritengono vecchio e superato. Allora in base a cosa?
Non sono loro che hanno voluto una legge sul divorzio e che si sono battuti per la libertà sessuale? Stando alla loro cultura neopagana tutti devono avere il diritto di sposarsi e volendo cambiare moglie/marito a piacimento, diritto di cambiare sesso, sposarsi tra gay e avere figli anche su ordinazione. Quindi?