Non basta un commissario per fare la spending review. Cottarelli saluta e se va con risultati (molto) modesti

Di Matteo Rigamonti
29 Ottobre 2014
Il commissario Carlo Cottarelli se ne torna in America e cosa ci ha lasciato in eredità? Un piano che farà risparmiare solo l'1 per cento della spesa dello Stato. Ma non è colpa sua: ci sono «troppe leggi» e gli 80 euro di Renzi da finanziare

cottarelli spending bruno leoniQuanto è difficile tagliare la spesa pubblica in Italia? Si è tenuta lunedì a Milano la “lectio Minghetti” organizzata dall’Istituto Bruno Leoni, in occasione della quale è intervenuto l’ormai ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli, in procinto di ritornare in America, dopo aver ultimato il lavoro per cui l’allora presidente del Consiglio Enrico Letta l’aveva nominato: elaborare un serio piano di riduzione della spesa pubblica, ponendo in essere principi di maggiore efficienza, trasparenza ed economicità nella pubblica amministrazione. E se una cosa è certa è che del suo assai più ambizioso piano, il governo italiano è stato capace di realizzarne solo una parte a causa dell’inevitabile resistenza delle istituzioni ad essere riformate e per il mutato contesto politico italiano ed europeo.

L’1 PER CENTO DI RISPARMI. Prima i numeri. La proposta di spending review avanzata dall’allora neo commissario Carlo Cottarelli, come ha ricordato lui stesso, era di realizzare «interventi per 32 miliardi di euro di risparmio». Siamo scesi a una cifra, non ancora ben specificata, compresa tra gli 8 e i 14 miliardi di euro. «Sempre che gli Enti locali facciano la loro parte», ha precisato Cottarelli. Che tradotto significa: se Regioni, Province e Comuni saranno in grado di fare i tagli che competono queste istituzioni per complessivi 6 miliardi di euro. Senza aumentare i tributi locali, s’intende. Ebbene, la prima amara evidenza è che la spending review è scesa da un potenziale impatto pari al 4 per cento degli 800 miliardi di spesa pubblica a un misero 1 per cento oppure, nella migliore delle ipotesi, 1,75 per cento. Senza contare che l’iniziale vincolo di non impiegare le risorse della spending per finanziare nuova spesa pubblica, con il bonus 80 euro di Renzi, è stato cancellato. Legittimamente, certo, ma va detto.

«CI SONO TROPPE LEGGI». Cottarelli ha chiarito fin da subito che la revisione della spesa non ha come obiettivo prevalente la «riduzione o stabilizzazione del debito pubblico», che avverrà non appena il «Pil tornerà a crescere», quanto piuttosto quello di una «maggiore efficienza della macchina pubblica». Dove, forse, si sono collocate proprio le maggiori resistenze al suo operato. In proposito fa un certo effetto sentire Cottarelli dire che «in Italia ci sono troppe leggi e queste sono una forma di garantismo spinto» che opera contro qualsivoglia forza riformatrice. Basti pensare, per esempio, che l’introduzione dei primi accenni di «costi standard» che Cottarelli ha provato a promuovere, prima di diventare effettivi, richiederanno «5 fasi» per un totale di «12 mesi» di tempo. Un’eternità. E stiamo parlando, ha fatto notare Cottarelli, di «un documento di carattere tecnico». Bisognerà, infatti, passare dall’approvazione del Copaff, dal Consiglio dei ministri, dalla conferenza Stato-città, la commissione bicamerale, le altre commissioni e ancora dal Consiglio dei ministri.

QUALCHE DOMANDA SCOMODA. A sollevare dubbi sui costi standard, che pure rappresentano un principio di potenziale maggiore efficienza, è stato poi il presidente dell’Ibl Franco Debenedetti, che provocatoriamente ha detto: «Se è vero che gli stipendi, paragonati al costo della vita s’intende, nel sud del Paese sono del 30/40 per cento superiori a quelli del nord, allora mi chiedo se non abbia ragione chi dice che introdurre i costi standard non equivalga, forse, a certificare un’inefficienza strutturale». Mentre Nicola Rossi, suo predecessore ai vertici del Bruno Leoni, ha avvertito la platea sostenendo che «certamente è un bene che si spenda meglio, ma mi domando se non sia piuttosto giunto il momento per lo Stato di spendere di meno, perché abbiamo raggiunto livelli che non ci possiamo più permettere».
Sono tante, dunque, le domande ancora aperte sulla spending e non è bastato un commissario perché si potessero ottenere risposte. Un’altra, per esempio, è questa e l’ha posta sempre Rossi: «Perché in Italia se sbagli tribunale, sezione in una scuola pubblica o ospedale, rischi di finire male? Forse il problema non è tanto o solo quello di rivedere la spesa e semplificare, quanto, piuttosto, quello di tagliare. Perché lo Stato troppo spesso non fa o fa malissimo quello che chiedono i cittadini. Semplificare, purtroppo, è un modo per non cambiare nulla. Forse tagliando lo costringeremo a fare meglio».

@rigaz1

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3 commenti

  1. Cristiano Sala

    Lo Stato è una bestia vorace sempre pronta a divorare risorse. L’unico sistema per fargli cambiare rotta è tagliargli i viveri. Un governo serio dovrebbe avere al primo punto dei propri programmi l’inserimento in Costituzione di un tetto massimo di tasse che un soggetto deve pagare, al di sopra del quale scatta il diritto per il soggetto stesso di ottenere un ristorno dallo Stato.

  2. recarlos79

    infatti l’inefficienza è strutturale in italia. per risanare questo paese ci vorrebbe Katainen come imperatore per 10 anni.

  3. Orazio Pecci

    “La spending”? La maccheronizzazione dell’inglese è trasversale davvero.

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