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Qui sul bordo del lago di Sevan, di un azzurro pervinca zampillante di trote argentee (le più squisite del mondo: ai tempi dell’Unione Sovietica i compagni del Soviet supremo se ne approvvigionavano per via aerea), la natura grida con la bellezza armena di pietre e cielo: pace, pace, pace. Mi pare di essere stato trasportato, dentro la saga di J.R.R. Tolkien, nella contea degli Hobbit. L’aria è insieme dolce e frizzante, i prati smaltati di margherite, ma poco lontano da qui gli orchi di Saruman battono il passo.
C’è una differenza rispetto alla trama de Il Signore degli anelli: nessuna compagnia di nani, elfi, uomini e mezzi uomini irromperà per frapporsi allo scempio. Finora gli hobbit-armeni-molokani sono rimasti soli. Ancora oggi, mentre scrivo, centoventimila armeni, di cui trentamila sono bambini, stanno nell’Artsakh (Nagorno-Karabakh) sotto assedio azero. Niente pane, nessun medicinale può raggiungere i miei fratelli. L’Onu chiede,...
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