Il neonato abbandonato tra i topi e gli adulti che farfugliano: «Non giudicare»

Di Caterina Giojelli
09 Ottobre 2022
Francesco Alberto è stato gettato come immondizia nella campagna trapanese e la gioia di trovarlo è già un giudizio. Non di rimozione, neutralità, ha bisogno chi compie il male: senza colpa non c'è redenzione
Un medico controlla lo stato di salute di un neonato nell' incubatrice dell' Ospedale Civile di Brescia, oggi Brescia 29 maggio 2011. Il piccolo, che secondo i primi accertamenti sanitari avrebbe poche ore di vita, e' stato trovato da una coppia di anziani a Brescia, intorno alle 13 di oggi. Il bambino era in un sacchetto di plastica lasciato nei pressi di un cassonetto, poco lontano dal conservatorio, in corso Magenta. ANSA / FILIPPO VENEZIA

Ora tutti vogliono adottare Francesco Alberto, il neonato abbandonato in un sacchetto di plastica tra rovi e topi su una stradina che costeggia un campo agricolo a Paceco in provincia di Trapani il 5 ottobre. Francesco, come il santo d’Assisi, e Alberto, come il vicebrigadiere che l’ha preso in braccio, come uno dei suoi tre figlioletti.

Trapani, un neonato buttato tra topi e siringhe

Francesco Alberto sta bene, prende il biberon, pesa tre chili, è lungo 50 centimetri, fanno sapere le infermiere, «ha tanta voglia di vivere ed è bellissimo». Pensare che è stato lasciato nudo e insacchettato con cordone ombelicale e placenta per 8-9 ore, spiegano concitati gli abitanti di Paceco ai giornalisti, fortuna che il sacchetto era aperto, fortuna che i proprietari del terreno stavano passeggiando lì vicino e hanno sentito il suo vagito affamato, «Barbara, lì è pieno di spine, topi, siringhe, animali», raccontano a Barbara d’Urso, «non ci voglio pensare», strepita la conduttrice.

«È un miracolo», «che gioia», «tutti lo vogliono adottare», «è una ricompensa per il nostro lavoro». «Che bieddu, sì che bello. Quello che è successo ci segnerà a vita», «Quegli occhietti, quella manina. Io ho già due figli stupendi, altrimenti…», le testimonianze dei contadini, i carabinieri, gli ambulanzieri del 118, i medici volano di bocca in bocca con sorpresa e gratitudine: che gioia, Francesco Alberto è vivo.

«Non voglio giudicare», «l’abbandono è un atto d’amore»

Ma in capo a questa gioia pesa una premessa: «Non voglio giudicare, ma certo di questi tempi ci sono mille modi per vivere una maternità non voluta», dice il vicebrigadiere; «non voglio giudicare nessuno ma queste cose a questi tempi non si devono fare» dice Ignazio, uno dei contadini che ha trovato il bambino.

«Ribadiamo che non vogliamo e non dobbiamo giudicare chi è costretto ad abbandonare una creatura», dice Barbara d’Urso ad ogni puntata dedicata al bambino «avvolto in quella copertina che sembra un disperato segno d’amore», scrive la Stampa, «è fondamentale astenersi dal giudizio», si legge sui portali femminili ricordando che anche secondo il primario di Neonatologia che si era occupato pochi mesi fa di un caso simile a Catania «l’abbandono è spesso un atto d’amore verso il proprio figlio e gli altri non riescono a capirlo».

Fosse stato abortito non esisterebbe colpa e colpevole

Meglio piuttosto ricordare che Francesco Alberto è la prova vivente che l’aborto non funziona, la 194 non funziona, che se c’è un colpevole, questo è l’obiezione di coscienza: «C’è solo un medico non obiettore nella provincia di Trapani», ricordano alle latitudini di consiglio regionale, presidenza e segreteria del Pd trapanese o sui social i giornalisti di Fanpage. Secondo loro non ci sarebbe bisogno di giudicare nessuno se si riuscisse a prevenire o risolvere prima il “problema” Francesco Alberto. Se fosse stato abortito non esisterebbe il reato né il reo. Ora ci tocca invece non giudicare, è difficile giudicare, meglio non farlo.

Ma la gioia di aver trovato Francesco Alberto vivo, questa non è già un giudizio? Il sollievo e la corsa all’adozione non sono un giudizio? Non sappiamo più dire che la vita di un bambino è bene, abbandonare un bambino tra i topi è male?

Francesco Alberto non è stato “affidato” ma abbandonato

Nessuno si pone il problema del male, non ci si pone il problema del reato, se non addirittura giustificato almeno diluito in un male sociale e collettivo, e nemmeno della responsabilità connessa alla libertà dell’uomo: Francesco Alberto non è stato “affidato” come il piccolo Luigi alla culla della vita della chiesa di san Giovanni Battista a Bari un quarto d’ora prima della Messa domenicale, quando i genitori erano certi che sarebbe stato trovato in fretta.

Non è stato “affidato” al parroco con una tutina a strisce bianche e azzurre, un biglietto col suo nome, la data di nascita e il messaggio «Mamma e papà ti ameranno per sempre».

Senza colpa non c’è redenzione

Francesco Alberto non è stato oggetto di alcun atto d’amore: è stato abbandonato, buttato vivo come immondizia nel sacco di plastica tra gli animali della campagna trapanese.

Non è possibile rimuovere il fatto e non giudicare questa colpa. Perché senza fatto, senza colpa personale, annacquata in una non meglio identificata “colpa collettiva” verso i diritti della donna, una donna non proverà senso di colpa per il male fatto, e per lei non esisterà mai la redenzione. Non ci sarà mai, per la mamma di Francesco Alberto, il perdono che giunge inatteso per la persona quando è aiutata a portare il peso della sua colpa e sofferenza, riempita di dolore e speranza.

La gioia è già un giudizio

Non di rimozione, neutralità, ha bisogno una madre che abbandona un figlio e un figlio abbandonato. La gioia di aver ritrovato il bambino vivo è già un giudizio, nitido, chiaro come il sole. Dice cosa è il bene e cosa è il male, non teme di chiamarlo con il suo nome. Solo una società demenzialmente adulta davanti a un bambino che urla tra i topi grida «al miracolo» e poi farfuglia di amore.

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