«Oso pensare che sia stato un momento sereno o addirittura felice quello di Carlo Maria Martini quando ha deciso di essere staccato dalle macchine che ancora lo tenevano in vita e consentirgli di entrare nel cielo delle beatitudini, se Dio vorrà. Ne abbiamo parlato spesso nei nostri incontri». Così il fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, aveva ricordato il cardinale Carlo Maria Martini, morto il 31 agosto, dalle colonne del suo quotidiano. Parole che hanno immediatamente innestato una serie di polemiche relative all’eutanasia e ai casi di Eluana Englaro e Piergiorgio Welby. Paragoni azzardati anche secondo il direttore di Avvenire Marco Tarquinio che, in un duro editoriale, aveva puntato il dito contro il «contagio di falsità» che l’espressione «staccare la spina» aveva innestato con «impressionante leggerezza», e invitato i cronisti (Scalfari compreso) all’onestà intellettuale: parlare di eutanasia, oltre che falso, «rappresenta un ingiustificabile ed estremo oltraggio a un uomo di Dio che ha servito la verità e coltivato, da cattolico, le virtù della chiarezza, del rispetto e del dialogo» (Avvenire, 22 settembre).
MANCUSO E LA SPINA STACCATA. Oggi Avvenire ospita un intervento di Vito Mancuso, docente di Teologia presso l’università San Raffaele e autore assieme a Scalfari di un libro che raccoglie alcune “conversazioni” col cardinale. Il filosofo si smarca dall’affermazione di Scalfari secondo cui il cardinal Martini avrebbe «deciso di essere staccato dalle macchine che ancora lo tenevano in vita», definendola infondata. Si tratta di «un’inesattezza che va smentita con chiarezza e che per quanto mi riguarda non ho sostenuto in nessun modo, essendo ben al corrente delle condizioni del cardinale che visitavo con una certa regolarità». La sua lettera al quotidiano dei vescovi prosegue precisando «la buona fede di Scalfari» e rimarcando come il cardinale, pur senza spine e macchinari, abbia scelto «in libera determinazione, di staccare la sua presenza mentale (si potrebbe dire la sua anima spirituale) dal suo corpo».
STACCARE LA MENTE? Tarquinio accetta con piacere la “smentita”, pur trovando «curioso» il metodo («che lei precisi in una lettera a me ciò che le è stato attribuito non da Avvenire bensì da un articolista di Repubblica»). Ma rigetta con forza il tentativo di sostituire un mai avvenuto «stacco della spina» con un deliberato “stacco della mente” o, addirittura, uno “stacco dell’anima”. Scrive il direttore: «Sembra quasi che l’importante sia riuscire a dire che qualcosa è stato, comunque, staccato. Non è andata così. E lei che è persona acuta e che ha conosciuto l’arcivescovo Martini dovrebbe forse maneggiare con ancor più delicatezza certi verbi. “Accompagnare” una persona morente con cure adeguate, che ne leniscono le sofferenze, non è affatto “procurare” la morte. Non si può dirlo e non si può farlo pensare».