Milano e Napoli si incontrano: Luigi De Magistris si è recato in piazza della Scala dove ha avuto un colloquio con il collega Giuliano Pisapia. «È stato un incontro intenso, in cui abbiamo parlato di concreti progetti comuni. Ci accomuna l’impegno per un forte rinnovamento delle nostre città, dopo il voto di primavera. Milano e Napoli sono due grandi realtà che continueranno a collaborare insieme, in maniera sempre più decisa, contribuendo anche ad affrontare questa fase di crisi economica e quindi a rilanciare l’intero paese». Nei prossimi mesi è previsto un ciclo di iniziative legate a temi come la cultura, la legalità, lo sviluppo e la democrazia partecipativa. Un modo per recuperare lo spirito di una rivoluzione dall’arancione che comincia già a sbiadirsi?
L’obiettivo sembra quello di ricordare che il centrosinistra non solo è in grado di governare più che bene, anche a livello locale, ma vuole proporre un vero e proprio modello da esportare, una visione nuova di città. De Magistris, a questo proposito, ha accennato a un passo ulteriore: «Abbiamo discusso di come sia possibile consolidare a livello nazionale, ovviamente dalla nostra comune condizione di amministratori locali, questo cambiamento politico iniziato a giugno proprio a Napoli e Milano». Una mossa tampone, per coprire le cicatrici che gli screzi con l’assessore Boeri da una parte, e il problema rifiuti dall’altra, hanno causato nelle maggioranze comunali ma anche un’occasione importante per recuperare un po’ del terreno perduto da entrambi i primi cittadini. Perché lo scontento continua a crescere.
Per Stefano Zecchi, docente di estetica presso l’Università Statale di Milano, scrittore ed editorialista, Pisapia dovrebbe impegnarsi innanzitutto a riempire un vuoto comunicativo: «È vero che sono passati pochi mesi, e probabilmente è difficile, in così poco tempo, dare segnali concreti e operativi. Di certo il cittadino percepisce un senso di trascuratezza, di abbandono della città. E non credo che il sindaco sia privo di figure in grado di consigliare del modelli comunicativi efficienti, quindi si può supporre che questo silenzio dipenda da problemi interni alla giunta. Ci sono diverse anime politiche, costrette a coesistere». E l’elettorato? Da una parte ci sono i salotti milanesi, che per Giuliano Pisapia si sono mobilitati, e non poco, in particolare nei giorni precedenti il ballottaggio. Ma la borghesia meneghina rappresenta storicamente un segmento molto volubile: la vera partita si gioca nei centri decisionali della città, quelli che governano l’attività economica e culturale indipendentemente dal colore dell’amministrazione. Riuscire a conquistarli, a gestire al meglio i rapporti con l’élite, è una delle sfide che il sindaco deve portare a termine. Dall’altra, c’è una massa elettorale fortemente caratterizzata e che patisce alcune scelte etichettate come obbligate, ma avvertite come impopolari. Le periferie, ad esempio, si sentono abbandonate. «Il potere si mantiene conservando il consenso della base sociale che ti ha votato» riassume Zecchi. «Se ti muovi prescindendo da essa, è normale che l’incantesimo inizi a sgretolarsi. Pisapia ha un problema: non proviene dal ceto sociale che l’ha votato. Può sembrare un concetto che trasuda un marxismo un po’volgare, ma è così».
Giacomo Beretta, ex assessore al bilancio di Milano, crede che questo sia il momento in cui tutti i nodi verranno al pettine: «Venendo meno la figura del nemico, cioè Silvio Berlusconi, il confronto deve avvenire sui contenuti. E allora emerge con più evidenza tutta la diversità delle impostazioni culturali di assessori e consiglieri. E gli equilibri implodono, a Milano in modo specifico». Anche perché il centrosinistra subisce le pressioni di chi ha votato Pisapia sperando in un cambiamento radicale, e ora presenta il conto. Il capoluogo lombardo riproduce, in scala minore, le tensioni sopite tra i partiti che gravitano attorno al Pd e che il governo Monti ha fatto riemergere? «Certamente sì. Non solo. Vendola usa Pisapia per dimostrare che il paese si può governare anche senza i tecnici. L’idea è quella di estendere il modello Milano a livello nazionale: un Ulivo allargato, con un’impostazione fortemente interventista, e al centro i temi dell’ambiente e del precariato. E chi glielo dice, al Pd?».