Profughi in fuga dalla guerra a Irpin, Ucraina (foto Ansa)
«Ecco, faccio una cosa nuova:
proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?
Aprirò anche nel deserto una strada,
immetterò fiumi nella steppa».
(Isaia 43,19)
La voce che gridava nel deserto degli uomini, annunciando l’opera di Dio, pare affievolirsi, diventare un timido bisbiglio. Ben prima di questo tempo di ferro e di fuoco il clamore del mondo, come in una bolgia dantesca, pareva imporre al grido del Profeta di ridursi a un flebile sussurro, se non di tacere, completamente e per sempre. E oggi che, come un gigante d’acciaio pensante, avanza il mostro della guerra, tra lo smarrimento e l’impotenza che s’addensano, come cupe presenze, sotto il cielo dei viventi, si alza ancora una voce ad annunciare speranza? Ad indicare una strada nuova? A dire che una nuova umanità sorge tra le rovine che il male semina nei cuori e nelle città? Il lavoro dei tanti che si danno da fare per lenire le piaghe dell’umanità dolente che...
Contenuto riservato agli abbonati: abbonati per accedere.
Già abbonato? Accedi con le tue credenziali: