«Meno burocrazia, più visite: il futuro è nella micro équipe»

Di Matteo Rigamonti
13 Novembre 2020
L'emergenza coronavirus vista dai medici di base. Intervista a Paola Pedrini, segretario regionale Lombardia della Federazione italiana medici di medicina generale
Medico di base riceve una paziente nel suo studio

Articolo tratto dal numero di novembre 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

Se nella fase 1 della pandemia i malati sintomatici di Covid si sono riversati nei pronto soccorso, è stato anche perché le indicazioni iniziali erano di chiamare il 118. Un «messaggio di partenza sbagliato», rammenta a Tempi Paola Pedrini, segretario regionale della Federazione italiana medici di medicina generale (Fimmg) per la Lombardia. Oltretutto quell’avvertenza ha fatto il paio, constata la rappresentante dei medici di base, con «l’idea, forse un po’ superficiale, che si trattasse di una malattia grave», quando in realtà, «se non si è in presenza di una forma acuta, se non è critica, insomma, è gestibilissima a domicilio». Senza dimenticare che, almeno in un primo momento, «anche i tamponi venivano fatti soltanto in pronto soccorso». 

Paola Pedrini

Poi qualcosa è cambiato nella capacità di gestire la pandemia fuori dagli ospedali, ma molte sono le cose che si possono migliorare. «Noi medici di base, che all’inizio avevamo dovuto acquistarli di persona, siamo stati finalmente dotati di adeguati dispositivi di protezione», puntualizza Pedrini, «ed è fondamentale che le forniture non si interrompano durante la seconda ondata»; «si è ampliata la possibilità di fare tamponi al di fuori degli ospedali con laboratori e privati accreditati»; e «anche noi medici di base ci siamo resi disponibili a effettuare i test, lo abbiamo detto alla Regione e al governo con il nostro segretario nazionale, staremo a vedere». 

Per quanto riguarda il «tracciamento dei positivi e dei loro contatti», aggiunge Pedrini, i «limiti sono dovuti principalmente alla carenza di personale». Dunque alla scarsità di risorse stanziate. Un problema che frena il potenziale della medicina sul territorio e dei medici di base: «Solo il 20-30 per cento di noi opera in ambulatori di medicina di gruppo e il 50 per cento ha chi svolge compiti di segreteria. Ma la burocrazia ruba il tempo da dedicare al paziente: si potrebbe fare di più». Stesso discorso vale per «l’infermiere di famiglia che, se fosse una realtà più diffusa, potrebbe fare moltissimo in assistenza domiciliare». In definitiva, conclude Pedrini, «il futuro della medicina sul territorio è nella micro équipe».

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