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«Noi cristiani in Siria siamo tornati all’epoca delle catacombe. Ma la croce vincerà»

Il Meeting si chiude con la drammatica testimonianza dei cristiani in Siria: «Gruppi di estremisti sono arrivati a processare e decapitare una statua della Madonna»

Leone Grotti
24/08/2013 - 17:40
Esteri
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Rimini (dal nostro inviato al Meeting). «Se gli stranieri che combattono in Siria se ne andassero, in 48 ore tornerebbe la pace. Noi cristiani siamo tornati a un’epoca catacombale». Così descrive durante l’incontro conclusivo della XXXIV edizione del Meeting la situazione del paese mediorientale, che da oltre due anni è martoriato da una guerra civile che ha fatto oltre 100 mila morti e due milioni e mezzo di profughi, Antranig Ayvazian, capo spirituale degli armeni cattolici dell’Alta Mesopotamia, Siria del Nord. «Tutte le nostre chiese in diverse città della Siria sono distrutte, i fedeli vengono da me nella notte per ricevere i sacramenti».

UN PAESE TOLLERANTE. «Io sono nato in Siria», racconta padre Antranig, «e durante l’infanzia andavo a scuola e a messa insieme a musulmani ed ebrei. Il nostro paese è sempre stato aperto ed accogliente e il più bel ricordo che ho della mia infanzia è quando arrivava la Pasqua ebraica, perché un amico di mio fratello veniva a casa e ci portava il pane azzimo, che noi mangiavamo in quantità». Poi, nel 2011, è cominciata la Primavera araba, «il caos creativo», che ha colpito anche la Siria. «Dicono che nei nostri paesi ci sono tante giustizie ed è vero. Ma io chiedo: dove non ci sono? E ora siamo qui a domandarci: dove sono i nostri sacerdoti e vescovi rapiti? Nessuno lo sa. Che cosa fa l’Onu per noi?».

«ESTIRPARE GLI INFEDELI». Mentre padre Antranig racconta degli estremisti e dei terroristi legati ad al-Qaeda che combattono in Siria mostra foto di chiese distrutte e di statue decapitate. «Ne ho incontrati diversi di loro, gli ho chiesto che cosa volevano da noi, non parlavano neanche arabo, e mi hanno risposto: “Ci è stato affidato il compito di riportare queste terre all’islam. Dobbiamo uccidere e distruggere per estirpare da questo paese gli infedeli”». E ancora: «In una delle città dove prima vivevamo hanno distrutto tutte le chiese, l’aula dedicata ai giovani è diventata un tribunale della sharia. Qui hanno processato una crocifisso di metallo e l’hanno distrutto».

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IL PROCESSO ALLA MADONNA. Particolarmente impressionante la descrizione del processo da parte degli estremisti islamici a una statua della Madonna: «Siccome non era interamente ricoperta dal velo l’hanno giudicata colpevole e fucilata. Poi, visto che l’hanno considerata un’immagine idolatra, l’hanno decapitata». Già 562 mila cristiani hanno lasciato la Siria «e non sanno dove andare». I rifugiati, soprattutto in Libano, vengono soccorsi anche grazie al sostegno di Aiuto alla Chiesa che soffre, come ricordato da Massimo Ilardo, direttore italiano dell’opera pontificia: «Dall’inizio del conflitto abbiamo dato un milione e 100 mila euro ai siriani in difficoltà, quasi quanto all’Iraq in dieci anni. Noi aiutiamo i vescovi e offriamo sostegno economico attraverso le diocesi. Io dico a tutti, però, che oltre al sostegno economico serve il sostegno della preghiera, perché se c’è una cosa che tutti ci chiedono è questa: “Pregate per noi”».

L’AIUTO DEI GESUITI. La guerra in Siria ha anche creato «tre milioni e mezzo di sfollati dentro il paese che non sanno più dove vivere. In generale c’è un’emergenza lavoro e i cristiani, essendo i più deboli, soffrono più di tutti gli altri siriani». Ad aiutarli a sopravvivere c’è il Jesuit Refugee service, il cui responsabile per Medio Oriente e Nord Africa, Nawras Sammour, è intervenuto all’incontro: «Siamo al servizio di 17 mila famiglie tra Damasco, Aleppo e Homs. Facciamo servizio di mensa e assistenza medica per oltre 12 mila persone. L’80 per cento di quelli che aiutiamo sono musulmani, il restante cristiani. Purtroppo oggi i gruppi radicali ed estremisti hanno più armi e sono i più forti ma finché c’è Dio non possiamo dire che tutto è perduto, il cristianesimo è l’avventura della croce».

«LA CROCE VINCERÀ». Fa eco alle sue parole ancora padre Antranig: «Giovanni Paolo II, facendo visita al paese, ha detto: “È Dio che protegge la Siria”. Noi cristiani dobbiamo essere testimoni della verità, la croce vincerà alla fine. Ecco perché non abbiamo paura, torneremo qui perché amiamo questa terra e la piangiamo, sappiamo di essere martiri ma qui abbiamo il nostro unico rifugio. Abbiamo fede e preghiamo per la Siria perché come dice il Papa “Credere è affidarsi a un amore misericordioso”».

@LeoneGrotti

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