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«McCarthy diventerà un classico, abbiamo appena iniziato a capirlo»

Lo scrittore americano morto a quasi 90 anni «ci obbliga a leggere tra le righe» della realtà con i suoi romanzi. «Nella sua opera ci sono Melville e Shakespeare, Faulkner e Omero, Hemingway e Cervantes». Intervista a Gregory Wolfe

Carlo Simone
19/06/2023 - 5:40
Cultura
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Cormac McCarthy, Premio Pulitzer 2007 per il romanza La Strada
Cormac McCarthy, Premio Pulitzer 2007 per il romanza La Strada

Martedì scorso è morto lo scrittore americano Cormac McCarthy. Avrebbe compiuto 90 anni a luglio. Come per ogni grande, probabilmente ci vorranno molti anni per cogliere a pieno la ricchezza racchiusa nella sua arte; tuttavia già molti, in tutto il mondo, gli sono debitori per le sue parole e in questi giorni ne stanno facendo memoria. Noi di Tempi ne abbiamo voluto parlare con Gregory Wolfe, scrittore, editore e insegnante, uno che nei libri di McCarthy ha fatto indugiare a fondo lo sguardo.

13 giugno 2023. Cormac McCarthy muore ed è subito compianto in tutto il mondo. Come hanno fatto i suoi libri a toccare il cuore di così tante persone? Dopotutto il suo è un linguaggio secco, gli argomenti che tratta sono duri, il male sembra spesso avere l’ultima parola.

Penso che la ragione per cui molte persone leggono e apprezzano i libri di Cormac McCarthy sia che in qualità di scrittore egli vive la realtà intensamente. Ciò significa che McCarthy non ha paura di guardare in faccia gli aspetti più difficili della vita e di porre le domande più impegnative. Cos’è il male? Perché soffriamo? Possiamo credere nell’esistenza di Dio e della vita dopo la morte? Il grande regista giapponese Akira Kurosawa disse: «L’artista è l’unico che non si gira dall’altra parte». McCarthy questo l’ha capito.

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È importante ricordare che i personaggi e le storie di McCarthy non vanno prese alla lettera – egli spesso è ironico e volutamente criptico, al fine di farci pensare. Per esempio, gli eroi cowboy della Trilogia della frontiera sono bravi uomini – nobili e onesti – ma sono convinti che possono farsi giustizia a modo loro. Non comprendono i propri limiti e così facendo fanno un’esperienza tragica. McCarthy ci trae in inganno, poiché siamo stati abituati sempre a pensare ai cowboy come a eroi che non possono fare nulla di male. McCarthy ci obbliga a “leggere fra le righe”.

Molti hanno lodato La strada (2006) definendolo il capolavoro di McCarthy. Sedici anni dopo vengono dati alle stampe Il passeggero e Stella maris, in apparenza molto diversi dai precedenti lavori dello scrittore. C’è chi ha detto che McCarthy abbia ormai perso il suo smalto. Tuttavia leggendo queste ultime sue fatiche si ha l’impressione di avere a che fare con qualcosa di prezioso e di grande. È così?

Uno dei segni che contraddistingue un grande artista è che non si ripete in continuazione. I due ultimi romanzi di McCarthy sono la prova che volesse tentare qualcosa di nuovo – e addirittura di sperimentale – all’età di quasi 90 anni! Quindi sì, io penso che ci sia qualcosa di “prezioso e grande” che accade in questi libri. Sono ricchi e complessi – dovremmo ricordare che ci sono voluti molti anni per cominciare a comprendere lavori di questo calibro (pensiamo a Eliot, Joyce, Woolf – in tanti non hanno compreso i loro libri alla prima lettura). Dobbiamo essere lettori pazienti.

I protagonisti di questi libri – Bobby e Alicia Western – sono alle prese con un mondo in cui Dio è apparentemente morto, ma la scienza non può fornire il tipo di certezza di cui abbiamo il desiderio. Infatti, la scienza ha dato origine agli orrori della distruzione di Hiroshima e Nagasaki – proprio mediante la bomba che il padre degli Western ha aiutato a costruire.

Il nichilismo, la pigrizia, il disincanto oggigiorno sembrano essere prevalenti nella cultura occidentale e nel nostro modo di guardare al mondo. Tuttavia i protagonisti di McCarthy, nonostante una natura selvaggia e un’umanità spesso crudele tutto attorno, sono cercatori (pensiamo al padre di La strada, allo sceriffo di Non è un paese per vecchi, John Grady Cole e Billy Parham della Trilogia della frontiera, ma anche Bobby Western, protagonista de Il passeggero, che è un sommozzatore…). Cos’è che li spinge?

Tutti questi personaggi sono spinti da un profondo desiderio di trovare bellezza, giustizia e verità. Ma sono messi in crisi quando si imbattono nel male e nell’ingiustizia. Tentano di utilizzare la ragione per trovare le risposte, ma si scontrano con i limiti della ragione umana. Nel corso dei loro viaggi ascoltano molte voci – alcune sono nichilistiche, ma altre offrono barlumi di mistero – di un mondo “più in alto”, ma anche “più interno” al mondo stesso. Queste voci più positive sembrano suggerirci che dobbiamo smetterla di cercare di avere sempre in pugno la realtà, e ci dicono che dovremmo aprirci ad ascoltare che cosa il mistero ci sta dicendo. A volte le voci più sagge sono quelle in cui meno ci aspetteremmo di trovare la saggezza.

Ormai egoismo e solitudine sembrano la cornice ideale per l’autorealizzazione. Ma l’abbeveratoio di Non è un paese per vecchi, il fuoco portato avanti da padre e figlio in La strada, la premura del Nero di Sunset limited… McCarthy sembra suggerirci che l’autorealizzazione sia impossibile senza l’assunzione di responsabilità e il prenderci cura gli uni degli altri. Tra Ulisse ed Enea, McCarthy sceglierebbe Enea?

Hai ragione. McCarthy ci mostra una cultura americana che soffre di individualismo estremo, solitudine e anomia. Per esempio, quando i cowboy della Trilogia della frontiera passano in Messico, incontrano una cultura che fa perno su comunità e ospitalità, non soldi e “successo”. Apprezzano ciò che vedono ma non sanno come rendere personale quell’esperienza. Molti dei protagonisti di McCarthy sono come Ulisse dal momento che questo è ciò che la loro cultura ha insegnato loro ad abbracciare. E al contempo essi non sanno come diventare Enea e abbracciare una comunità. Penso che McCarthy voglia farci sentire tristi a riguardo. Credo che lui per primo abbia cercato una comunità nella scelta di passare gli ultimi anni con gli scienziati del Santa Fe Insititute.

T.S. Eliot disse che un classico è un testo che ha ereditato e sintetizzato una tradizione e che al contempo è diventato canonico per chi è venuto dopo. McCarthy diventerà un classico?

Sì. Non ho dubbi che McCarthy diventerà un classico. Già altri in precedenza hanno notato come egli sintetizzi Melville, Faulkner, ed Hemingway – ma si riscontrano in lui molte altre influenze, da Omero e Sofocle fino a Shakespeare, Pascal e Cervantes. Le storie che raccontano riportano indietro a un’America quasi primitiva e avanti al mondo della fisica quantistica. I suoi libri abbracciano sia l’alta letteratura che generi popolari come gli Western e i thriller. Sono risultati straordinari e tali che stiamo soltanto cominciando a comprenderli.

Tags: Cormac McCarthyletteraturalibri
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