Un matrimonio può funzionare anche se ci si dimentica dell’invito della zia
La prova – non l’unica, per fortuna – è il libro Lettere a una moglie. Ovvero la genesi del duo con l’anello noto in tutto il mondo come Mienmiuaif, scritto dal punk barbuto Giuseppe Signorin per i tipi di Berica Editrice, e inserito nella neonata collana “Uomovivo”.
Nell’intento iniziale dell’autore, il testo voleva essere una raccolta di lettere umoristiche scritte all’ex fidanzata – oramai moglie – Anita nel corso del primo anno di matrimonio: un regalo da consegnarle nella data del primo anniversario, per strapparle un sorriso (… e forse anche per dimostrarle il suo amore o almeno per tentare di giustificare il fatto che, di quando in quando, passava del tempo a scrivere).
Poi, si sa, mentre si fanno le cose sorgono nuove idee, mutano le esigenze, s’inseriscono fattori nuovi e imprevedibili… Eppure in questo caso, proprio come per la proprietà commutativa, anche se Giuseppe ha modificato l’ordine – e non solo, in realtà, ma lasciamo ai lettori la scoperta – dell’addendo “marito” e dell’addendo “moglie”, il risultato non è cambiato: le sue lettere erano, sono e continueranno a essere un vero e proprio inno al matrimonio (cristiano).
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Quel matrimonio che costringe due persone – già profondamente diverse in quanto uno dotato dei cromosomi XY e l’altra della coppia XX – a condividere un soggiorno disordinato e un piatto di vellutata di verdure; un’idrocolonterapia e le vacanze al mare; le immondizie da buttare e il corvo nero, o le formiche, o altri animali a scelta; gli acciacchi fisici di lui e il ciclo mestruale di lei; il fatto di pranzare due volte perché lui si è dimenticato dell’invito della zia e lo sguardo di lei quando (evento rarissimo, dicono gli esperti) scopre di aver accusato il marito ingiustamente; le Camper, che non sarebbero scarpe femminili, e la Panda nera a metano che, ad occhio e croce, non è una tipologia di macchina propriamente virile… e tanto, tanto altro, come per esempio l’appartenenza al gruppo #mienmiuaif, nel cui nome – scrive Giuseppe ad Anita – «l’eroe di tuo marito è riuscito addirittura a inserire un errore. Perché avremmo dovuto chiamarci #mienmaiuaif. Ma non sarebbe stato lo stesso».
Nel corso della vita si commettono tanti errori. Anche nel matrimonio si fanno tanti sbagli, tutti i giorni. Non per niente la decisione di rompere il fidanzamento e di sposarsi, assieme al prendere parte alla celebrazione di una Messa feriale, è stata forse – scrive ancora Giuseppe – «la cosa più trasgressiva dei miei primi 32 anni di vita». Eppure il matrimonio è un’avventura tutta da gustare. Ed è una vocazione bellissima e affascinante: si sa con chi si parte e si conosce la direzione verso cui si è diretti, ma tutto il resto è ignoto. Lo si scoprirà camminando, assieme.
Nell’intraprendere questo viaggio, tuttavia, c’è una cosa che può aiutare. Ed è proprio questo, al netto delle risate che sorgono spontanee nell’immaginare le diverse situazioni descritte in Lettere a una moglie, l’insegnamento più grande che emerge dalla lettura del libro: l’essere capaci di guardare a se stessi e al proprio coniuge senza prendersi troppo sul serio, ringraziando per le virtù che si possiedono e non negando i difetti che segnano ogni essere umano.
Il matrimonio è esigente, è totalizzante, è ventiquattrooresuventiquattrofinchémortenonvisepari… Ma spetta ad ogni coppia scegliere se vivere un’unione all’insegna dell’ordinarietà e della tristezza, oppure una quotidianità che faccia ridere e gioire, pur nell’inevitabile fatica di diventare “una sola carne”.
Giusita, il duo con l’anello dei #mienmiuaif, hanno scelto la seconda opzione, senza ombra di dubbio.
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