Il tentativo del premier David Cameron e del governo inglese di modificare la definizione di matrimonio, per aprirlo anche agli omosessuali, è una delle minacce più gravi che la Chiesa anglicana si è trovata ad affrontare da 500 anni a questa parte. È questo il pensiero del vescovo di Leicester, Tim Stevens, che guarda con preoccupazione a che cosa potrebbe accadere alla religione di Stato inglese se la definizione di matrimonio venisse davvero modificata.
La Chiesa anglicana ha appoggiato pienamente otto anni fa l’introduzione da parte di Tony Blair delle unioni civili, ma oggi ritiene che estendere i diritti di cui gode chi si sposa alle unioni dello stesso sesso significhi fare il passo più lungo della gamba. Alla fine di questa settimana il governo avrà terminato le consultazioni sul tema, iniziate a marzo, e sarà pronto per legiferare. Secondo la Chiesa anglicana, e non solo, è quanto meno controverso cambiare la definizione di matrimonio da unione duratura di un uomo e una donna a unione di una qualsiasi coppia.
Il governo vuole utilizzare questa nuova dicitura: «Tutte le coppie, indifferentemente dal loro genere, possono unirsi in matrimonio civile». Dunque, nessuna religione nel Regno Unito sarà costretta a celebrare matrimoni omosessuali. Tranne la Chiesa anglicana, che è Chiesa di Stato. È proprio questa una delle maggiori preoccupazioni del vescovo di Leicester: chi ci assicura, è il ragionamento, che una volta che il matrimonio assumerà un altro significato per la legge inglese la Corte europea dei diritti umani non obblighi anche noi a rispettarla e a sposare gli omosessuali?
«È possibile» dichiara monsignor Stevens, «anzi direi probabile che questo problema verrà portato prima o poi davanti ai giudici. Potrebbe essere argomentato che la Chiesa di Stato non può discriminare le persone sulla base della loro sessualità. Secondo i nostri avvocati, chi si presentasse dai giudici con questo argomento vincerebbe quasi sicuramente». Si attendono gli sviluppi.