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Maria Elisabetta Hesselblad. È santa la svedese, convertita dal luteranesimo, che non aveva mai visto un rosario

Intervista ad Aldo Maria Valli, vaticanista Rai, e autore di un libro sulla vita della santa: «Ha visto il mondo spaccato dalle guerre mondiali, eppure non ha avuto paura»

Elisabetta Longo
05/06/2016 - 3:00
Chiesa
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Maria-Elisabetta-Hesselblad-santa-valliOggi è stata canonizzata a Roma Maria Elisabetta Hesselblad, nata luterana a Faglavik, Svezia, il 4 giugno 1870 e morta cattolica a Roma il 25 aprile 1957, nel convento di Santa Brigida, dopo aver girato il mondo. Quinta di tredici figli, Maria Elisabetta ha convissuto ogni giorno della sua vita con i dolori atroci del Morbo di Chron, che le provocavano ulcere e sanguinamenti senza fine. Nonostante la sofferenza personale, non ha mai smesso di dedicarsi agli altri, fin dall’adolescenza, quando in cerca di fortuna si è trasferita a New York, lavorando come infermiera. Ed è proprio curando una malata irlandese cattolica che Maria Elisabetta si incuriosisce per quella fede così diversa dalla sua, rigida, luterana.
Non capiva che cosa fosse quella strana collanina da cui la malata non voleva separarsi e che altro non era se non un rosario. La santa svedese non l’aveva mai visto perché la sua religione non prevede la devozione alla Madonna, spiega a tempi.it Aldo Maria Valli, giornalista e vaticanista Rai, che ha raccontato la storia della santa nel libro La ragazza che cercava Dio (Ancora, 160 pagine, 15 euro).

Perché si è interessato alla vita di Maria Elisabetta?
Per caso, perché come tanti altri passanti ero attirato dalla bellezza del convento di Santa Brigida, in piazza Farnese, nel cuore della Capitale. Con il suo bianco candore e il suo campanile l’edificio svetta sulla piazza. Un giorno ho bussato e mi hanno aperto le suore brigidine, inconfondibili per via del loro copricapo, un velo nero con una croce bianca di lino cucita sopra. Il silenzio e la pace che regnano in quel luogo di preghiera contrastano molto con il rumore della piazza, sempre brulicante di persone. Sono state proprio loro, in seguito, a chiedermi di narrare la vita di Elisabetta, beatificata nel 2012, e appena fatta santa. Grazie al dialogo con madre Tekla, che oggi dirige l’ordine, è nato questo libro.

Fin da bambina la vita della santa sembra piena di premonizioni sul suo destino.
La Svezia in cui è cresciuta Maria Elisabetta era molto diversa dallo Stato che conosciamo oggi: era un paese povero, dal quale tutti fuggivano, per lo più diretti in America. Già tra i banchi di scuola, da piccola, la santa si chiede come mai i cristiani fossero divisi in tante fedi, pur avendo letto nella Bibbia l’espressione “un unico ovile”. Per lei sarà sconvolgente vedere come gli irlandesi cattolici siano attaccati ai loro rosari, simbolo della fede nella Madonna che lei luterana non aveva mai conosciuto. Grazie all’amicizia con un padre gesuita intraprenderà il cammino fino alla conversione e passo dopo passo prenderà consapevolezza di voler seguire i dettami di santa Brigida, svedese come lei.

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Santa Brigida è vissuta nel 1300, santa Maria Elisabetta invece ha visto i due conflitti mondiali. Quali sono i punti in comune tra le due donne?
Io penso che entrambe siano state due sante molto concrete, molto impegnate a servire Cristo piuttosto che a farsi spaventare dalle difficoltà del clima in cui stavano vivendo. Santa Brigida ha assistito all’inizio dello scioglimento della Chiesa, eppure ha continuato a rimanere fedele ai suoi principi, fatti di obbedienza, austerità, preghiera. Santa Maria Elisabetta invece ha visto il mondo spaccato dalla guerra, eppure non ha avuto paura, e lo ha dimostrato ospitando nel convento di piazza Farnese tanti ebrei che rischiavano la deportazione. Inoltre, ha continuato a lottare ogni giorno con gli atroci dolori provocati dalla sua malattia, senza mai dar retta ai medici che le dicevano di riposare o fermarsi.

Il miracolo che ha aperto la strada alla sua beatificazione è avvenuto nel 1985 e ha coinvolto proprio una suora brigidina, di origine indiane, affetta da una grave forma di tubercolosi ossea. Il secondo miracolo, quello che l’ha resa santa, è accaduto invece nel 2015, e riguarda un bambino cubano affetto da tumore al cervelletto.
È particolarmente significativo che il miracolo definitivo riguardi un bambino di Cuba, per quello che Cuba ha rappresentato per la religione cattolica. Nel 2012, quando Maria Elisabetta era appena stata fatta beata, ho seguito il viaggio di papa Benedetto XVI a L’Avana. In quell’occasione mi sono recato al convento delle Brigidine, una roccaforte di silenzio e preghiera nelle strade animate e colorate della città. Mi ha molto colpito. E mi ha colpito ancora di più sapere che era stato proprio un bambino cubano il destinatario della grazia. Nel febbraio 2014 Carlos Miguel, dopo tre lunghissimi interventi, continuava a peggiorare e a soffrire. Allora una suora brigidina del convento di L’Avana ha proposto ai genitori di pregare l’allora beata Maria Elisabetta, al cospetto di una sua reliquia. Dopo qualche giorno Carlos riprese a camminare, fino a guarigione completa e rapida.

Tags: Benedetto XVIcanonizzazionecubasantasvezia
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