
Chissà se un giorno la vicenda giudiziaria di Calogero Mannino finirà sui libri di storia come emblema del cortocircuito politico-giudiziario che ha caratterizzato i nostri anni. Oppure se, come dobbiamo giudicare noi contemporanei, essa – dopo gli sconquassi prefigurati sulle prime pagine dei giornali e nelle trasmissioni tv di prima e seconda serata – finirà invece nel dimenticatoio, in qualche breve accanto alle previsioni meteo, al tg di mezzanotte.
Grand guignol manettaro
«Si sono portati via la mia vita» ha detto l’ex ministro Dc in una recente intervista a Tempi. Ventotto anni su e giù per le scale dei palazzi di tribunali, una gogna infinita con addosso il marchio del “mafioso”, il processo costante dentro e fuori le aule giudiziarie. Quando ci parlò, si era all’indomani della sentenza d’appello che lo aveva scagionato di aver fatto parte della cosiddetta “trattativa Stato-mafia” e Mannino ripeté quel che sentiamo ripetere da anni alle vittime del grand guignol manettaro: contro di me accuse fantasiose, «Corriere della Sera, La Repubblica e Il Fatto Quotidiano non hanno riportato la notizia della mia assoluzione», «mentre ero in carcere mi è stato diagnosticato un cancro, e sono stato ricoverato, uscendo dal carcere, all’Ospedale San Camillo soltanto dopo la visita in cella del presidente Francesco Cossiga».
Una vittima di Cosa nostra
Quando cambierà questa situazione? Non a breve, secondo noi. E nemmeno secondo Mannino che giustamente notava che finché «ci saranno forze politiche che temeranno alcuni magistrati delle procure questo sarà un argomento impossibile». C’è da augurarsi allora che almeno gli storici del domani sapranno leggere il presente con più distacco, magari basandosi sulle carte, tra cui quelle rese note l’altro giorno. Sono infatti state rese pubbliche le motivazioni con le quali i giudici di Appello hanno scagionato l’ex ministro. E in queste si legge che Mannino non solo non è stato complice della mafia, ma era «una vittima designata della mafia, proprio a causa della sua specifica azione di contrasto a “cosa nostra” quale esponente del governo del 1991».
Parole pesantissime che fanno a pezzi vent’anni di trasmissioni tv e mandano al macero milioni di copie di giornali che sulla fake news del “Mannino mafioso” hanno sperperato tonnellate di inchiostro.
Fiducia nella magistratura?
Commentando la notizia, Mannino ha risposto così a una domanda del sito LiveSicilia:
Non le sento ripetere il refrain che va di moda in Italia, quello della “fiducia nella magistratura”. Lei non ne ha più?
«È una frasetta ipocrita. Se lei prende i giornali di oggi (ieri per chi legge, ndr), parlo dei grandi giornali nazionali, non trova notizia di questa sentenza. Giornali che hanno riservato pagine intere all’accusa stanno venendo meno al dovere dell’informazione. E questo è determinato da questo combinato circuito mediatico-giudiziario che è un problema politico grave, serio, che un giorno questo Paese dovrà affrontare. Io vedo un ruolo sussidiario di certa stampa rispetto alle azioni giudiziarie. È triste che due quotidiani come il Corriere della Sera e la Repubblica oggi ignorino questa sentenza».
E giustamente il Riformista ha titolato un’altra intervista “Storia d’Italia cancellata, va riscritta”. Dato che non lo vogliono fare i giornalisti, speriamo ci pensino gli storici.
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