Mani pulite. La trattativa segreta Stato-magistrati

Di Emanuele Boffi
06 Aprile 2023
In un libro l'ex pm del pool di Milano, Gherardo Colombo, scrive che ai tempi di Tangentopoli si proponeva agli indagati una «scambio tra ricostruzione dei fatti ed estromissione dal processo»
Da sinistra a destra i magistrati della procura di Milano Francesco Greco, Francesco Saverio Borrelli,, Gherardo Colombo e Ilda Boccassini, 3 novembre 1995 (Ansa)
Da sinistra a destra i magistrati della procura di Milano Francesco Greco, Francesco Saverio Borrelli,, Gherardo Colombo e Ilda Boccassini, 3 novembre 1995 (Ansa)

Ieri si è parlato del Riformista perché Piero Sansonetti ha annunciato che lascerà la direzione per andare a guidare l’Unità e gli è subentrato – colpo di teatro! – Matteo Renzi nelle vesti di direttore editoriale. Auguri sinceri a entrambi, ma non è questa la notizia di cui vogliamo parlare.

Il fatto è che ieri il giornale più garantista d’Italia recitava in un titolo d’apertura scritto tutto in maiuscolo: “Nel ’92 fu colpo di Stato. Le clamorose rivelazioni dell’ex pm Colombo”. Occhiello: “La procura propose la resa alla classe politica (alla Dc?) offrendo impunità in cambio di dimissioni”.

Lo scambio

È da poco andato in libreria L’ultima Repubblica, volume postumo di memorie di Enzo Carra, l’ex portavoce del dc Arnaldo Forlani, e divenuto noto ai più per l’immagine che lo ritrae con gli schiavettoni ai polsi durante il suo arresto a Milano nel febbraio del 1993. Quella foto è una delle immagini simbolo di Tangentopoli. Per alcuni, i più, fu il segno che anche i potenti, finalmente, finivano in gattabuia. Per gli altri, i pochi garantisti, un indegno simbolo della furia ideologica giustizialista: un’inutile e vendicativa gogna.

L’introduzione al volume è firmata da Gherardo Colombo, l’unico appartenente al pool di magistrati di Mani pulite che, negli ultimi anni, ha aperto a un ripensamento critico di quella stagione. E, a un certo punto, Colombo scrive queste parole: «Eppure non una persona sarebbe andata in carcere se, come suggerito nel luglio 1992, ben prima (data la rapidità dell’evolversi di quegli eventi) della nomina di Martinazzoli, la politica avesse scelto di seguire la strada dello scambio tra ricostruzione dei fatti ed estromissione dal processo. Chi avesse raccontato, restituito e temporaneamente abdicato alla vita pubblica non avrebbe più avuto a che fare con la giustizia penale».

Una (non) notizia

È una notizia questa? Sì e no, verrebbe da dire. Sì, e clamorosa, come giustamente fa notare Sansonetti, perché Colombo «svela un aspetto finora sconosciuto di quella stagione. Sconosciuto e sconvolgente. Ci dice che nel luglio del 1992, quando le indagini erano ancora alle prime battute, fu suggerito ai politici di confessare i propri delitti e di uscire dalla vita pubblica in cambio dell’impunità». Ci fu, insomma, una «trattativa segreta Stato-Tangentopoli. Ovviamente del tutto illegale» perché, scrive ancora Sansonetti, si tratta di “minaccia a corpo politico” (articolo 338 cpp) che prevede pene fino a sette anni di reclusione.

Ma quello che ammette Colombo con trent’anni di ritardo è anche una “non notizia” perché già allora era noto che il modus operandi del pool era “o parli o resti in carcere”. Il fatto è che, sebbene fossero i magistrati i primi a non rispettare la legge, a tutti andava bene. Anzi, in tutta Italia e in tutte le redazioni d’Italia si faceva il tifo per gli eroi di Mani pulite. Sui cavalcavia si appendevano gli striscioni con sopra scritto: “Di Pietro arrestali tutti”.

In pochissimi ebbero il coraggio di dire come stavano le cose. Erano gli stessi che inorridivano davanti alle fotografie di Carra con le manette ai polsi. Una sparuta minoranza, oggi come allora.

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