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Maffei: «90° minuto? Messa cantata del calcio, ma è giusto chiuderlo»

«Ha legato almeno tre generazioni di italiani. Ma oggi non credo abbia più senso. I diritti costano troppo. È come comprare uno spezzatino al prezzo del filetto». Ecco i ricordi di Fabrizio Maffei, conduttore di 90° minuto dopo Paolo Valenti. «Eravamo una nazionale e Valenti il nostro commissario tecnico». La Rai deciderà probabilmente di chiudere la trasmissione

Daniele Guarneri
02/12/2011 - 14:18
Sport
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Di programmi che aprono e chiudono dopo poche puntate ce ne sono parecchi ogni anno. Il format non piace, lo share non soddisfa i dirigenti e la trasmissione chiude. Però se si tratta di 90° minuto è normale fermarsi un attimo a riflettere. Chi non si ricorda di Fabrizio Maffei, Brun Pizzul, Luigi Necco, Tonino Carino, Pier Paolo Catozzi, Lamberto Sposini, Tonino Raffa, Giampiero Galeazzi, Carlo Nesti e tutta quella banda di inviati che dai vari stadi mostravano e commentavano in 3 minuti circa le partite della domenica? E più l’età avanza più il cuore si fa piccolo al pensiero che un altro programma che ha fatto la storia della tv e non solo della Rai non ci sarà più. I più grandi rammenteranno sicuramente Paolo Valenti, lo storico conduttore, il primo, quello che l’ha inventata – insieme a Maurizio Barendson e Remo Pascucci – e guidata dal 1970 al 1990, fino alla sua morte. Sono diventate famose le sue espressioni, i suoi sorrisi, i suoi giri di parole e soprattutto le sue giacche old style al punto da sembrare polverose. Ma i sentimenti nulla possono contro il dio ascolto e così il prossimo Cda Rai si vedrà costretto a decidere se continuare a offrire una trasmissione che del passato ha veramente poco (forse solo il nome) oppure tagliare col calcio pomeridiano e rimandare tutti alla Domenica sportiva in seconda serata.

«Non posso che associarmi al grido di dolore della signora Valenti», dice a Tempi.it Fabrizio Maffei, colui che prese il timone della trasmissione dopo la scomparsa dello storico conduttore. «Sappiamo tutti cos’è stato 90° minuto per il popolo italiano. Una trasmissione che ha raggiunto i 20 milioni di spettatori. In tempi così lontani riuscivamo a fare vedere i gol della Serie A poco dopo la fine delle partite. Da ogni stadio, dopo aver montato i film dei match, partivano delle staffette dirette alle sedi regionali della Rai. Lì, attraverso collegamenti con la sede di Roma, si parlava con l’inviato e si trasmettevano i riassunti delle partite. Oggi con la tecnologia che abbiamo a disposizione si fa fatica a capire cosa riuscivamo a fare. 90° minuto è stata una pietra miliare dell’informazione che ha unito almeno tre generazioni di italiani. E non dimentichiamoci le battaglie di Valenti contro la violenza negli stadi. Fu il primo a parlarne».

Come definirebbe 90° minuto?
«La Messa cantata del calcio. Breve, meno di un’ora. Diretta con simpatia e professionalità. Elementi essenziali del successo. Per capirci: quando Mediaset acquistò i diritti per trasmettere le sintesi della Serie A decise di cambiare completamente il format. Realizzò una trasmissione di quasi due ore e mezza. Mi creda, aspettare così tanto per vedere i gol di 9 o 10 partite era veramente assurdo. Erano riusciti a snaturare completamente il senso del programma. E hanno fallito».

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Ma oggi ha ancora senso realizzare la trasmissione?
«Sono sincero, credo proprio di no. I costi richiesti per i diritti sono ingiustificati per gli ascolti del programma. Le grandi squadre giocano o il sabato o la domenica sera. Nel pomeriggio rimangono quasi sempre partite di seconda fascia. Al grande pubblico, cioè i milioni di tifosi di Juve, Inter, Milan e Napoli, non interessa guardare i gol di Lecce, Novara, Catania e Cesena. Con tutto il rispetto per queste squadre, è giusto che la Rai faccia le sue riflessioni e prenda delle decisioni. Oggi, nell’era del calcio spezzatino, i costi dei diritti sono troppo elevati, direi anche ingiustificati. È come comprare uno spezzatino al prezzo di un filetto. Non ha senso».

Com’è andata quando le hanno proposto di condurre 90°? Se lo aspettava?
«Ha farmi la proposta è stato Gilberto Evangelisti, allora direttore del pool sportivo della Rai. Ricevetti una grossa offerta dalla Fininvest: la direzione della redazione sportiva di TeleCapodistria, un’offerta importantissima per la mia carriera, ma non me la sentivo di trasferirmi a Milano con tutta la famiglia. Non ero pronto. Evangelisti, venuto a conoscenza di questa trattativa con la Fininvest, mi chiamò nel suo ufficio e mi disse: “Fabrizio, non ti posso offrire i soldi che ti hanno promesso gli altri. Però posso proporti la conduzione di 90° minuto”. Tutto qui. Non ci pensai un attimo. Era un’offerta che mi riempiva di orgoglio e di gratitudine. Essere l’erede di Paolo Valenti. Non ebbi alcun dubbio e firmai il mio contratto».

Chi è stato per lei Paolo Valenti?
«Un padre, un amico, un maestro. Così come lo è stato per tutti. Era una persona attenta, sensibile, non era un accentratore. Grazie a lui moltissimi giornalisti delle sedi regionali sono diventati famosi in tutta Italia, gli ha permesso di fare carriera, di migliorarsi, di confrontarsi col grande pubblico. Per Paolo tutti eravamo protagonisti allo stesso modo. Eravamo una vera e propria squadra. Permettetemi, eravamo una nazionale e lui era il commissario tecnico. Per farvi capire quanto lui tenesse a ognuno di noi: quando lo contattavano i colleghi della carta stampata per dei servizi fotografici lui dava appuntamento a Roma e poi ci chiamava tutti. Nelle fotografie eravamo tutti presenti. Si immagini Carino, Castellotti, Necco, Bubba, Nesti e gli altri tutti insieme. Come una classe in gita scolastica a Roma. Era come vivere un film di Verdone o di Totò. Uno spasso unico, dalla mattina alla sera. Ho ricordi davvero bellissimi. Mi creda, eravamo uno spettacolo nello spettacolo».

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