Ma quale torturatore italiano? E’ un’altra bufala di RaiNews24

Ci risiamo. Dopo il fosforo bianco arrivano i torturatori italiani. In un paese libero dalla sindrome d’autoflagellazione e capace di distinguere tra giornalismo e spazzatura queste righe sarebbero inutili. Nei paesi normali i giornalisti normali prima di trasformare una diceria in notizia verificano e ricercano. A Rainews24 le dicerie utili alla causa passano direttamente alla prima pagina. è successo con il fosforo bianco. Risuccede con la voce sulla presenza d’italiani tra le fila dei torturatori nella prigione di Abu Ghraib. Stesso autore, stessa testata, stessi metodi.
S’inizia con l’intervista in Giordania ad Ali Shalal el Kaissi il prigioniero incappucciato, con le braccia aperte legate ai fili della corrente protagonista di una delle foto-simbolo delle torture di Abu Ghraib. El Kaissi ricorda ogni momento delle torture subite, cita i nomi di tutti gli aguzzini condannati poi dalle corti marziali dell’esercito statunitense. L’accenno ai nostri connazionali arriva solo alla fine. Ed è assai meno chiaro. L’intervistatore lo sollecita a parlare, chiede esplicitamente se ad Abu Ghraib ci fossero anche italiani. Al Kaissi ammette di non averne visti, ma cita la storia raccontatagli da un tale Haitham Abu Ghaith, un presunto ex diplomatico iracheno convinto d’aver sentito voci italiane durante gli interrogatori.
L’inchiesta, così la chiamano gli autori, finisce qua. Nessuno va a cercare Haitham Abu Gaith. Nessuno si chiede chi sia veramente visto che Abu Gaith è solo un classico soprannome arabo. Abu significa padre e Gaith dovrebbe essere il nome del figlio. Ma potrebbe anche essere un nome di battaglia come l'”Abu Mazen” del presidente palestinese Mahmoud Abbas o l’Abu Ammar di Yasser Arafat. Gli autori della cosiddetta inchiesta utilizzano una fonte di seconda mano, ma non si chiedono neppure se esista veramente. Anche la Caci international e la Titan Corp, le due ditte che secondo al Kaissi ingaggiavano mercenari stranieri utilizzati nelle carceri, restano avvolte dal mistero. Bastava cercare su internet i siti web delle due rispettive compagnie (come ha fatto chi scrive), chiamarle e chiedere informazioni sulla presenza in Irak di contractor italiani. Almeno avremmo una smentita o una conferma ufficiale. Ma ai nostri segugi i fatti interessano poco. L’importante è buttar lì la parola italiani, spingere il paese nel calderone della vergogna, alimentare l’odio di chi per cancellare una vignetta stupida brucia ambasciate e consolati. Tutto il resto non conta. Non conta l’immagine del paese. Non conta l’incolumità degli italiani nei paesi islamici. Non conta quella dei nostri soldati a Nassiriya. Conta solo la gioia pre elettorale, la soddisfazione meschinella per quella calunnietta oltraggiosa sulla nostra presenza in Irak.

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