Lula è presidente, il Brasile sceglie di nuovo il fallimentare populismo di sinistra

Di Paolo Manzo
31 Ottobre 2022
Il maggiore paese sudamericano scommette ancora su un'idea politica che ha fallito in passato e sull'autore del più grande schema di corruzione nella storia dell'America Latina. Sconfitto Bolsonaro, che aveva tutti contro
Lula Presidente Brasile
Supporter di Lula festeggiano per le strade di San Paolo la vittoria del presidente di sinistra (foto Ansa)

Il Brasile svolta a sinistra e, come da pronostico, alla fine Luiz Inácio Lula da Silva ieri ha vinto con il 50,9 per cento dei voti contro il 49,1 del presidente in carica, Jair Messias Bolsonaro. In festa le redazioni di mezzo mondo, fatto salvo il Wall Street Journal uscito con un editoriale durissimo. In Brasile giubilante la principale televisione, la Globo, che ha appoggiato in modo smaccato l’ex presidente e i giornali tutti, con in testa la Folha de São Paulo.

Tutti con Lula, nessuno con Bolsonaro

In festa anche Alexandre de Morães, il presidente del Tribunale Supremo Elettorale, che nelle settimane scorse ha censurato un po’ di notizie non fake, cioè vere ma poco gradite a Lula che ne aveva chiesto l’oscuramento dopo essere uscite su Gazeta do Povo, O Antagonista e Radio Jovem Pan. Una gioia condivisa anche dal suo predecessore, Luís Roberto Barroso, già avvocato dell’ex terrorista Cesare Battisti e da almeno 9 giudici su 11 della Corte Suprema, il STF.

Tutti felici per la vittoria della democrazia sul fascismo incarnato dal genocida, golpista, cannibale e “antidemocratico” presidente uscente che ora, come anticipato da Lula nell’ultimo dibattito e ribadito da molti giornalisti importanti verde-oro (in 5000 hanno firmato un manifesto per la democrazia minacciata a loro dire da Bolsonaro, nessuno contro la censura), “rischia di finire in prigione”.

«Bolsonaro ha avuto quasi tutto contro di lui: la stampa, la magistratura, gli artisti e, soprattutto, i pazzi di cui si è circondato e se stesso. Tuttavia, la differenza con Lula è stata ridicola e la sua forza è impressionante: il 50 per cento del Paese è con lui e avrebbe potuto vincere se avesse mostrato empatia durante la pandemia», ha commentato su Twitter Mario Sabino, giornalista e analista politico fondatore del sito O Antagonista e che da qualche settimana fa le sue analisi sul sito Metropoles. Difficile dargli torto.

«Arroganza ed estremismo, così Bolsonaro ha perso»

«L’1,8 per cento di differenza con Lula, Bolsonaro lo ha perso a causa della sua arroganza e del suo estremismo», analizza invece Hector Schamis, docente presso il Centro per gli Studi Latino Americani dellUniversità di Georgetown, a Washington. Appena ufficializzata la vittoria, Lula ha tenuto il suo primo discorso da neopresidente eletto nell’Avenida Paulista, circondato dalla sua equipe di campagna elettorale, mentre Bolsonaro non ha rilasciato ancora nessuna dichiarazione. A livello di analisi il dato di fatto più rilevante è che il maggiore paese dell’America Latina ha scommesso di nuovo sul populismo di sinistra che ha fallito così spesso in passato in questa parte di mondo, basti pensare a Cuba, al Venezuela o, in tempi più recenti, al Nicaragua e all’Argentina.

L’accusa e la condanna per corruzione di Lula

Lula, che ha già ricoperto due mandati dal 2003 al 2010, è da oggi il solo politico di tutta la storia del Brasile ad avere conquistato per la terza volta la presidenza. Ha vinto facendo appello ai poveri e prima che il suo Partito dei Lavoratori, il PT, cedesse suo malgrado il potere nel 2016 (con l’impeachment di Dilma Rousseff che per la sinistra globale fu un “golpe”), ha orchestrato il più grande schema di corruzione nella storia dell’America Latina, usando la banca nazionale di sviluppo (BNDES), la compagnia petrolifera statale Petrobras, il parlamento e multinazionali private come Odebrecht per fare cassa.

Decine di miliardi di euro di tangenti, poi solo in parte restituite. «Una macchina del denaro progettata per cementare il suo partito al potere», scrive oggi il Wall Street Journal. Nel 2018 Lula e i suoi complici furono catturati solo perché i pubblici ministeri trovarono tracce del denaro e un giudice onesto consentì loro di seguirle, un miracolo vista la storia brasiliana. La condanna per corruzione di Lula nel 2017 è stata annullata per un cavillo lo scorso anno, ma a differenza di quanto dicono lui e la Globo, non è mai stato scagionato.

I numeri positivi di Bolsonaro non sono bastati

Durante la sua presidenza Bolsonaro ha fatto bene in economia: inflazione al 7 per cento, minore di quella statunitense e metà di quella italiana, disoccupazione sotto il 9 per cento, pil cresciuto del 4,6 per cento nel 2021 e previsioni di un + 3 quest’anno, ma ha faticato a raccontarla contro i media e le élite che non hanno mai visto di buon occhio il suo conservatorismo e lo hanno dipinto da 4 anni a questa parte come una minaccia per la democrazia. La deforestazione dell’Amazzonia è continuata durante la sua presidenza ma, per la cronaca, il ritmo del disboscamento è stato più veloce durante il primo mandato quadriennale di Lula, tra 2003 e 2006. Eppure Bolsonaro è stato etichettato dalla rivista scientifica Nature e da Greta Thunberg come il nemico numero uno della foresta pluviale, un “ecocida”.

Con Lula, che ha fondato nel 1990 il Forum di San Paolo con Fidel Castro, adesso l’America latina è quasi tutta governato da socialisti e comunisti. Dal Cile all’Argentina, dal Perù alla Bolivia, dalla Colombia al Venezuela, dall’Honduras a El Salvador, dal Nicaragua a Cuba fino al Messico. Il loro grande problema, oltre a una tendenza naturale all’autoritarismo, è la gestione dell’economia, disastrosa. A partire dal primo gennaio 2023, quando si insedierà alla presidenza, vedremo se Lula saprà fare meglio della sua delfina Dilma Rousseff, che senza pandemia e in appena due anni (tra 2015 e 2016) fece precipitare il Brasile nella peggior crisi economica dell’ultimo secolo.

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