«Ladies and gentlemen, quello che vi dico non è basato su informazioni segrete o su informazioni di intelligence militare» ma «sul report dell’Agenzia atomica internazionale». Notizie pubbliche sullo stato di avanzamento del programma nucleare iraniano che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha illustrato all’Assemblea generale dell’Onu con un disegno a effetto: una bomba pronta a esplodere. Nonostante gli attacchi informatici alle centrali nucleari in costruzione e ai tecnici che si occupano della produzione dell’uranio arricchito abbiano ritardato l’attuazione del suo programma nucleare, l’Iran potrebbe possedere la capacità di distruggere Israele entro la primavera del 2013, al massimo entro l’estate. Se l’Iran riuscirà a dotarsi della capacità di costruire bombe atomiche non solo destabilizzerà l’intero Medio Oriente «ma ci si troverà di fronte a un deterrente a disposizione del jihad», spiega a tempi.it Carlo Panella, esperto di politica internazionale e firma del Foglio.
Cambierà qualcosa dopo il discorso di Netanyahu all’Onu?
Non cambia nulla. L’obiettivo di Israele è fermare il programma nucleare iraniano. Netanyahu e il suo governo per ora si limitano a fare pressioni sull’Occidente perché rivolga la sua attenzione a un pericolo internazionale che minaccia direttamente Israele e tutta la regione.
Israele sarebbe pronta a colpire se non bastassero le pressioni internazionali?
La preoccupazione di Netanyahu nasce dall’evidente impossibilità di fermare il programma attraverso i negoziati. I vertici militari, però, per ora non sono convinti di attaccare l’Iran. E non credo che si arriverà allo strike nel 2012 comunque. Quando Israele ha intenzione di attaccare solitamente non lo dice.
Dal discorso del premier israeliano emerge la necessità di agire in tempi stretti contro un pericolo imminente. Possibile che il paese guidato da Mahmoud Ahmadinejad abbia davvero l’intenzione di “eliminare Israele”?
È proprio per questo motivo che l’atomica iraniana è un pericolo per il mondo e per Israele. La ragione di fondo è che l’Iran agisce in una logica soltanto in parte politica e in buona sostanza apocalittica. L’eliminazione di Israele potrebbe rientrare in questa visione.
Ahmadinejad ha parlato nei giorni scorsi di «una primavera che è appena iniziata». Gli sciiti iraniani venerano il dodicesimo imam dell’islam, Muhammad al Mahdi, scomparso dalla terra nel decimo secolo e del quale è atteso il ritorno, per salvare il genere umano. Si riferisce al fatto che il presidente iraniano ha dichiarato più volte di avere la sensazione che il suo arrivo ci sarà presto?
È un quadro molto fosco. Questo misticismo apocalittico è molto simile a quello hitleriano, e sfugge alle considerazioni dell’amministrazione americana e ai governi europei. Immaginiamo cosa succederebbe se avessero la bomba atomica. Il paragone con Hitler ha un senso, in questa visione. Gli iraniani sono convinti di agire nell’imminenza dell’apocalisse. E a differenza del Pakistan, che, pur dotato di un arsenale nucleare, continua a muoversi in un’ottica geopolitica e nazionale, l’Iran potrebbe usare la bomba atomica in funzione del jihad.
E Israele?
Dopo la visione apocalittica iraniana, l’incapacità di azioni politiche e l’ignavia occidentale, il terzo elemento di preoccupazione sono proprio gli errori marchiani del governo israeliano. Netanyahu ha senz’altro il merito di essere riuscito a denunciare il pericolo iraniano, ma ha isolato Israele. Un disastro che è iniziato con la rottura diplomatica con la Turchia, dopo la vicenda dell’assalto delle navi dirette a Gaza della Freedom Flottilla. Uno dei pochi dati positivi per Israele, per ora, è che l’esercito siriano, l’unico regolare e ben addestrato in grado di reagire contro Israele in seguito a un eventuale strike, è fuori gioco a causa della rivoluzione.