Tremende bazzecole

«Lo Stato non ha il diritto di impormi le sue scuole». Firmato G. Salvemini

scuola-torino-ansaPubblichiamo la rubrica di Annalisa Teggi contenuta nel numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)

«L’ideologia fa perdere un sacco di tempo perché non ha idee» è una sintesi efficace di suor Anna Monia Alfieri, presidente di Fidae Lombardia, che ho conosciuto lo scorso 4 giugno partecipando a un convegno sulla libertà educativa all’Expotraining di Milano. Solo un’ideologia avvizzita si oppone oggi alla necessità di avere un sistema educativo plurale, ed è un attrito che genera un ritardo colpevole a danno dei nostri figli.

Chi si sente più tutelato dicendo che la funzione di gestire la scuola va lasciata solo allo Stato, a ben vedere sta dicendo che lo Stato va lasciato da solo in un compito così enorme. Chi da tempo difende un’integrazione tra scuola statale e paritaria lo fa per partecipare insieme allo Stato alla cosa pubblica.

Il principio è noto: la funzione pubblica di un ente non si identifica con il suo gestore, ma con lo scopo che ha. E a confermarlo ci sono esempi alla mano: i taxi svolgono un compito pubblico pur essendo gestiti da privati. Eppure a questo punto del ragionamento, salta sempre su quello che dice che il tassista non va bene, perché è più logorroico del taciturno guidatore di autobus, cioè salta fuori il pregiudizio sulla presunta faziosità delle scuole paritarie.

[pubblicita_articolo]Premesso che c’è una grande differenza tra avere una visione educativa ed essere faziosi, va detto che c’è una piaga pure peggiore della faziosità ed è la neutralità. Quando un ragazzo va a scuola incontra un maestro e non una lavagna. Quando Giotto andò nella bottega di Cimabue – m’immagino – non si trovò di fronte un manuale d’arte, ma un pittore all’opera. Allo stesso modo, l’identità di un ragazzo si accende solo interagendo con un esempio umano vivo, che rende ragione di una sua proposta culturale e perciò genera un confronto dialettico. A quanto so, Giotto non diventò una pigra fotocopia del suo maestro.

Ma di fronte a un muro di equilibrate ed equidistanti nozioni, un ragazzo si spegne; anzi, non sboccia neppure. E questo tradisce la missione pubblica della scuola. Nel corso del convegno citato, il professore Pierpaolo Triani ha affermato che l’educazione non è un bene individuale, bensì personale e cioè sociale. Lo disse anche Milton Friedman, premio Nobel per l’economia nel 1976: «Il guadagno che un bambino ricava dall’istruzione non va a vantaggio dello stesso bambino o dei suoi genitori, ma anche a vantaggio degli altri membri della società. L’istruzione di mio figlio contribuisce anche al vostro benessere».

Educare una persona è un bene pubblico; e quando un genitore si batte per un’equità fiscale, che gli permetta di essere libero di scegliere la scuola che ritiene migliore per adempiere a questa gigantesca missione, non sta pensando in modo individualistico, ma sociale. Pensa alla presenza di suo figlio come un bene per la società di domani, e allora si guarda attorno. Non vuole accettare la scuola di stradario, tutt’al più vuole poterla scegliere; e questo accade solo in un contesto di proposte diversificate, dove anche una scuola statale viene valorizzata per i suoi meriti e non perché è l’unico mezzo di trasporto disponibile. Lo disse già negli anni Venti Gaetano Salvemini in Cos’è la laicità: «Lo Stato ha il dovere di educare bene i miei figli, se io voglio servirmi delle sue scuole. Non ha il diritto di impormi le sue scuole».

@AlisaTeggi

Foto Ansa

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3 commenti

  1. bernardo

    “I cattolici rivendicano le loro libertà in base ai principi nostri e negano le nostre libertà in base ai principi loro”
    firmato G.Salvemini

  2. gianni

    le battaglie per i principi erano anche quelle dei farisei, che sempre si nascondevano dietro l’osservanza della legge, e volevano far coincidere quest’ultima con il loro punto di vista.
    Senonché ci sono belle differenze tra potersi permettere un’educazione privata e il non poterselo permettere.
    Fino all’inizio degli anni ’60, io andavo dalle orsoline, e mi ricordo che le rette erano assolutamente accettabili anche da una famiglia di due (due ) onesti (e modesti) lavoratori.
    Ora non ditemi che tutte (anzi la maggior parte) delle parificate propongono rette di questo tipo.
    E non ditemi che le vostre battaglie sono sempre orientate alla difesa dei più deboli perché a me spesso, sembrano orientate alla difesa del privilegio, ovvero delle differenze economiche e giuridiche, che nella nostra società dilagano e sembrano non rallentare ancora.

    1. giovanna

      Scusa, Gianni, ma le tue parole iniziali stridono con la tua conclusione!
      Infatti, se oggi le scuole paritarie non possono più permettersi di proporre rette accettabili , bisognerebbe sostenerle , invece che criticare questo fatto, che non dipende da loro, almeno pensando alle scuole cattoliche !
      Oppure credi che le suore , le poche rimaste, di solito molto anziane, dovrebbero continuare ad insegnare senza percepire uno stipendio, come probabilmente ai tuoi tempi ?
      Ora gli insegnati nelle scuole paritarie sono quasi, o senza quasi, tutti laici, e devono essere pagati, occorrono adeguamenti di aule e strutture molto costosi, ci sono mille e mille spese….se lo Stato non contribuisce, almeno in minima parte rispetto alla scuola statale, un po’ di più del decimo che dà oggi, come credi che i più deboli possano accedere alla scuola non statale ?
      Non crederai, seriamente, che le scuole pubbliche paritarie cattoliche, siano costituite a scopo di lucro ?!
      Forse non conosci il settore !

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