Lo statalismo è “il” problema della scuola italiana
Ormai da qualche mese la Fondazione Brandolese ha deciso di occuparsi a tempo pieno alla promozione della libertà scolastica e vuole imporsi come punto di riferimento nel dibattito educativo. Da cose deriva questa urgenza?
La scuola italiana è in difficoltà. Lo è da tanto tempo e, se stiamo alle classifiche stilate da Ocse Pisa, i risultati sono peggiori oggi rispetto a 20 anni fa. Non che siano mancati i tentativi di migliorarla. Quasi tutti i ministri della storia della Repubblica hanno tentato, con proprie riforme, di dare un contributo positivo ma i risultati sono quelli sopra detti. Il fatto è che la scuola italiana presenta una particolarità che la differenzia dalla scuola di quasi tutti gli altri Paesi europei: è statale, cioè gestita direttamente dallo Stato in una percentuale attorno al 90 per cento. Questo fatto, che per alcuni è un pregio, è al contrario un difetto, a parere mio, ma non solo: è il parere dei più, a livello di studiosi dei sistemi scolastici. Questo è “il” problema della scuola italiana. Ma nessuno ci ha mai messo mano e si continua a non vedere, oggi, chi intenda affrontare la questione. Certo, non possiamo non citare, a questo punto, la ormai mitica legge 62/2000 firmata Luigi Berlinguer che chiarisce che pubblico non è uguale a statale riconoscendo quindi il servizio “pubblico” a scuole gestite da enti diversi dallo Stato che rispondono a determinate regole, definite ovviamente dallo Stato, e che vengono perciò dette “paritarie”. Sappiamo tutti che questa legge, importantissima sul piano dei principi è rimasta inapplicata sul piano sostanziale, cioè del finanziamento. Quindi? Quindi siamo fermi allo statalismo. E quindi la Fondazione. La Fondazione “Don Giovanni Brandolese” nasce da un gruppo di persone che avendo per decenni gestito scuole, scuole paritarie per intenderci, ha potuto verificare nell’esperienza alcune questioni di fondo: a) L’educazione è un percorso che implica ragione ed affettività: ragione per conoscere la realtà, affettività per farla propria, per farla diventare fattore costitutivo della persona. b) Ragione ed affettività vivono e si sviluppano dentro una spazio di libertà. L’educazione è un incontro di libertà, avviene nella libertà e al contempo è educazione della libertà. c) Il percorso educativo parte dall’offerta di un’ipotesi positiva di introduzione alla realtà totale che, secondo i passi sopra descritti, può essere accolta, sottoposta a vaglio critico e riespressa in forme sempre nuove dai giovani in formazione. Tutto questo all’interno di un sistema gestito dallo Stato secondo criteri astratti e burocratici (è quasi inevitabile ) è fortemente mortificato aldilà dell’impegno e delle capacità di molti singoli operatori del settore. La scuola fatica a produrre buoni frutti. La ormai lunga storia passata ci dice che continuerà così finché non si avrà il coraggio di rimuovere “il” problema: lo statalismo. Ma chi oggi parla di libertà di educazione? Nessuno, o quasi. Si alza a volte, e molto flebile, la voce delle scuole libere che sistematicamente rischiano di venire tacciate di attentare al bene comune in quanto la loro richiesta appare come una distrazione di soldi pubblici per propri vantaggi. La Fondazione, nata a Lecco, e avendo quindi lanciato il progetto “Lecco fa scuola” non gestisce alcuna scuola. Alza quindi la voce per richiamare l’attenzione su quello che – lo ripeto – è “il” problema. Ed è un problema urgente per almeno due motivi: innanzitutto le scuole libere sono una realtà numericamente residuale e questo rischia di far passare nell’opinione pubblica l’idea che la scuola starale sia “la scuola ”, tout court, non c’è altro e a questo punto qualunque riforma della scuola resterebbe una riforma della scuola statale, perpetuando “il” problema. In secondo luogo duole segnalare che le scuole libere diminuiscono ogni anno. Occorre intervenire per preservare uno spazio seppure piccolo di libertà e di pluralismo scolastico, necessario alla democrazia.
La scelta della scuola spesso è subordinata alla disponibilità economica delle famiglie che in molti casi compiono importanti sacrifici per mandare i ragazzi in scuole private e paritarie che sentono vicino al loro modo di essere. Come è possibile che non siano stati fatti passi avanti?
Le scuole paritarie non sono le “scuole dei ricchi” come un caricaturale luogo comune vorrebbe far credere. Sono per lo più scuole frequentate da famiglie del ceto medio che spesso si trovano a fare grossi sacrifici per poter affermare quello che dovrebbe essere, anzi che è, un loro diritto: scegliere la scuola che considerano migliore per i propri figli. Rara purtroppo è la presenza di famiglie con redditi bassi, non per approccio discriminatorio da parte delle scuole, ma per il fatto che la barriera economica risulta insuperabile, anche a fronte di borse di studio o sconti importanti sulle rette. Questo è un aspetto particolarmente odioso del sistema scolastico italiano, che alla faccia dell’enfasi sempre più marcata sui temi dell’inclusione e della lotta ad ogni forma di discriminazione, mantiene di fatto un sistema scolastico che penalizza i meno abbienti impedendo loro una scelta che – lo ripeto – è un diritto costituzionale. La cosa è paradossale ma sembra non disturbare nessuno. Come mai? Per un motivo molto semplice: la cultura dominante continua a considerare la scuola statale come “la scuola” altro non esiste. Se qualcuno ha lo “sfizio” di fare altro, “che se lo paghi!”. Ogni sforzo per l’inclusione o per la lotta alle discriminazioni si concentra quindi all’interno delle scuole statali. Poi ci sono i casi come quello di Roma via Trionfale che disattendono clamorosamente l’assunto. E dico casi perché via Trionfale non è l’unico e forse nemmeno così eccezionale. Al contrario, in tema di inclusione è interessante notare che le scuole paritarie accolgono ragazzi disabili o comunque richiedenti insegnanti di sostegno in percentuali molto elevate. E c’è un motivo per questo: nelle paritarie è più frequente riscontrare un’attenzione e una cura della persona. Per legge inoltre la scuola non può rifiutare l’accoglienza del ragazzo problematico, ma a fronte di un obbligo imposto dallo Stato, lo stesso Stato non eroga l’adeguato sostegno economico; questo quindi ricade sulla scuola e/o sulla famiglia. Altro esempio di discriminazione.
Di fatto chi sceglie una scuola paritaria per i propri figli deve pagare due volte: le rette e le tasse. Come superare questo gap?
È così, letteralmente. Poniamo: se il Sig. X, miliardario, sceglie per suo figlio (perché la considera ottima) una scuola statale, usufruisce di un servizio pubblico gratuito. Non è che il servizio abbia costo 0. Costa, e neppure poco. È stato calcolato in circa 10.000 euro nel caso di una scuola secondaria di secondo grado. E chi paga? Tutti, compreso il Sig. Y, operaio dell’Ilva. Il quale invece considera ottima per suo figlio una scuola paritaria (sottolineo paritaria cioè che fa un servizio pubblico sancito dallo Stato con legge 62/2000 tanto quanto la scuola statale) e intende esercitare il suo diritto costituzionale a scegliere, perché è sua, secondo la Costituzione, la responsabilità educativa nei confronti del figlio. Ma, ecco: la scuola non è gratuita. C’è una retta. È vero, non 10.000 euro, molto meno. Le rette delle scuole paritarie sono normalmente sotto i 5.000 euro. Ma bisogna pagare. Ecco che il Sig. Y, dopo aver contribuito a pagare il costo della scuola per il miliardario Sig. X si trova a dover pagare una seconda volta, per esercitare la sua libertà di scelta. Una vera tassa sulla libertà. Odiosa. Ma sembra non disturbare nessuno. Il motivo? Lo stesso di cui sopra.
Recenti rilevazioni dicono che le scuole paritarie continuano a perdere iscritti. Secondo lei perché e come si potrebbe frenare questa emorragia?
Conosco il dato. I motivi sono molti ma certamente quello economico è importante. Teniamo presente che gli utenti delle scuole paritarie non sono soprattutto “i ricchi” e neppure, purtroppo, come ho detto le persone meno abbienti. Sono le famiglie del ceto medio e sappiamo che la crisi economica che ha colpito l’economia mondiale ma in modo particolare l’Italia a partire dal 2009 e che, con fasi alterne, ha accompagnato questi anni fino ad oggi, questa crisi ha avuto effetti pesanti proprio sul ceto medio. Accanto a questo ci sono anche motivi di tipo culturale. La mentalità dominante cui sopra ho accennato è appunto dominante. Occorre anche evidenziare come alcuni fattori importanti del percorso educativo, quali l’attenzione alla persona, la sottolineatura del significato da ricercare al di là della conoscenza nozionistica, la ricerca del rapporto con la famiglia vista come alleata e non come controparte, eccetera, sono più normalmente rintracciabili all’interno dell’ambiente delle scuole paritarie rispetto alle scuole statali. Ma questi fattori sono normalmente ignorati nelle classifiche redatte da vari enti considerati autorevoli, che si propongono di segnalare le scuole migliori presenti sul territorio. Al contrario sono fattori che recenti ricerche (per tutte valga il Premio Nobel Heckmann) hanno mostrato come ancora più decisivi per l’apprendimento dei fattori più direttamente cognitivi. In rozza sintesi, le “non-cognitive skills” più importanti delle “cognitive skills”. La conseguenza è che quelle classifiche tendono a sottovalutare il valore delle scuole paritarie, che amo chiamare libere, comunicando alla famiglie messaggi distorcenti. Altro motivo è che in alcune zone del nostro Paese (non è il caso delle nostre zone) mancano proprio proposte di scuole paritarie: non ce ne sono.
Quanto poi al come si potrebbe fermare questa emorragia, bisognerebbe innanzitutto che a livello dell’opinione pubblica o quantomeno della politica, questa emorragia venisse avvertita come problema. Per molti, questo non è affatto un problema. Il dramma o il paradosso è che quello che è un problema, anzi un problema grave, non è avvertito come problema. Di più: per essere più precisi il problema grave non è tanto la riduzione della presenza delle scuole libere, quanto il fatto che in tal modo si perde sempre più di vista quello che ho chiamato “il” problema: lo statalismo, la concezione per cui scuola pubblica coincide con scuola statale e con scuola tout court. La “mission” della Fondazione, e credo di tutte le persone e le realtà presenti nel nostro Paese, che hanno a cuore il bene della scuola e quindi il bene comune, è quella di rovesciare questa cappa che impedisce di vedere e si possa quindi finalmente porre in modo serio il problema della transizione (in realtà è una rivoluzione) verso uno Stato non più gestore del sistema scolastico ma saggio governatore. È necessaria un’azione comune, una grande alleanza fra tutte queste forze dato che la posta in gioco è alta e il percorso difficile. Nell’immediato quindi è importante sostenere le scuole libere da un punto di vista culturale ed economico, sapendo però che la vera battaglia non finisce con la loro difesa lasciando il 90 per cento della scuola italiana nelle secche dello statalismo.
Emorragia che, purtroppo, oggi non è più solo degli alunni, ma anche degli insegnanti che sono sempre più attratti dal posto fisso e sicuro. Perché un docente dovrebbe scegliere la paritaria?
Le ragioni per cui un insegnante sceglie di fare l’insegnante trovano normalmente più riscontro e valorizzazione all’interno dell’impostazione di lavoro vigente in una scuola libera piuttosto che in una scuola statale. Parlo ovviamente in senso generale e statistico. Parlo però anche per esperienza avendo gestito per anni diverse scuole libere. Aggiungo anche che proprio un Convegno tenuto a Lecco anni fa (2007) nel quale veniva presentata e commentata da diversi relatori la ricerca della Fondazione per la Sussidiarietà raccolta in un volume dal titolo Sussidiarietà ed Educazione, numeri alla mano come si addice ad una ricerca statistica, dava ampio riscontro alla verità della mia affermazione. Schematizzando e quindi semplificando mi sento di dire che nessun professore, se fosse libero, lascerebbe la sua cattedra presso una scuola libera. Molti però lo fanno. Perché? Il motivo, anzi i motivi sono sostanzialmente due: motivo economico e garanzia del posto in prospettiva futura. E nonostante ciò molti preferiscono una retribuzione inferiore e un posto di lavoro la cui garanzia per il futuro dipende anche dalla qualità di insegnamento che ciascuno è chiamato ad offrire cercando di dare il meglio di sé in una collegialità da ricercare e costruire.
Cosa pensa dello sdoppiamento del ministero dell’Istruzione e della ricerca dopo le dimissioni di Lorenzo Fioramonti?
Dal mio punto di vista non è questione rilevante. Ci sono pro e contro. Più importante è vedere chi occupa quelle posizioni e quali programmi politici intende perseguire. Ancora più importante è sapere quale concezione di uomo e quindi di società e quindi di scuola sono alla base dell’azione politica.
Oggi che ruolo ha la scuola nel processo di crescita dei ragazzi?
La scuola ha, e non potrebbe non avere, un ruolo importante nella processo di crescita dei ragazzi. Il tempo vissuto a scuola e quello anche fuori che la scuola comunque esige, i rapporti con i compagni di classe, con i professori, tutta una serie di sollecitazioni che l’ambiente veicola fanno sì che la crescita dei ragazzi sia influenzata in maniera importante dalla scuola. Ovviamente la famiglia, gli amici del vicinato, gli ambienti dove si svolgono attività sportive o ludiche e soprattutto la rete, il web, sono altrettanti fattori che influenzano la formazione dei ragazzi. Ma, tornando alla scuola, vorrei dire, a costo di sembrare troppo tranchant, che la scuola è fallimentare in quella che dovrebbe essere la sua missione specifica: trasmettere una cultura, non solo in termini di conoscenze nozionistiche (anche su questo ci sarebbe molto da dire) ma in termini di visione del mondo per cui la realtà venga conosciuta come “cosmos” cioè qualcosa con un significato e un destino, qualcosa di positivo dentro cui anche il singolo, anche io trovo il mio senso. La cultura del nostro Paese, l’Italia all’interno della cultura occidentale che affonda le sue radici nella tradizione giudaico-cristiana oltre che greco-romana, rappresenta un patrimonio di valore inestimabile che deve essere consegnato ai giovani perché liberamente lo passino al vaglio critico della ragione e lo facciano proprio nella forma unica della propria personalità. Ecco, temo che questo processo non avvenga in modo adeguato in tutte le scuole. In alcune sì e fra queste molte sono scuole libere.
Foto Ansa
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!