Liberate la scuola (che si è già liberata da sola)
Una rivoluzione. È questo quello a cui stiamo assistendo nella scuola italiana, travolta, come tutto il Paese, dalle conseguenze della pandemia. Ma, contrariamente a quanto ci si sarebbe potuto aspettare, la scuola (presidi, insegnanti, alunni e famiglie, gestori e dirigenti) ha avuto una reazione creativa senza precedenti. Trasformazione digitale in una settimana, didattica a distanza in dieci giorni, nuove modalità di insegnamento e apprendimento a distanza sperimentate e condivise nelle scuole e tra le scuole, famiglie che collaborano alla crescita e al lavoro dei ragazzi. Tutto ha preso forma, non senza difficoltà e tentennamenti, non senza differenze tra le diverse aree del Paese, in un crescere di protagonismo e capacità creativa che credevamo sepolti sotto la burocrazia in cui affonda la scuola italiana.
Le cose più rilevanti che tale situazione ha portato alla luce sono due. La prima è che, con buona pace dei sindacati della scuola che hanno provato ad opporsi a questa rivoluzione creativa, la scuola è fatta per crescere i ragazzi (non per garantire posti di lavoro agli insegnanti) e che tutti possono collaborare a questo scopo. Per farlo si lavora insieme («per educare un bambino ci vuole in villaggio», ci ricordava papa Francesco), si sperimenta, ci si mette in discussione. Quando lo scopo è chiaro e condiviso, la creatività si sprigiona e le rendite di posizione sono subito messe in discussione.
La seconda è che molto di quello che esisteva nella scuola italiana era inutile: procedure e circolari dei dirigenti sono diventate lettere aperte o videochiamate su Zoom. Temute verifiche e severe valutazioni sono diventate la preoccupazione comune che ciò che viene spiegato sia compreso nel suo significato da bambini e ragazzi. Cittadinanza e costituzione, ecologia e legalità, bullismo e droga hanno lasciato spazio al rapporto fecondo della trasmissione del sapere (letteratura e matematica, greco e inglese), attraverso cui comunicare il senso delle cose.
Esiste naturalmente anche un’altra faccia della medaglia, che riguarda le scuole dell’infanzia (e i servizi di nido), e, più in generale, le scuole paritarie. Nidi e scuole dell’infanzia, siano esse private, convenzionate o accreditate presso i loro Comuni, si sono trovati nell’impossibilità di svolgere l’attività di custodia dei piccoli utenti. Hanno quindi attivato forme di aiuto e sostegno a distanza, cercando di supportare i genitori anche in questa nuova situazione. Le famiglie hanno però, in molti casi, sospeso il pagamento della retta, e i Comuni si sono affrettati a comunicare la sospensione dei contributi a partire dal mese di marzo. Risultato: educatrici in cassa integrazione (con l’80 per cento dello stipendio, che viene però anticipato dalla scuola), costi fissi a carico del gestore, zero entrate. In un colpo solo rischiamo in questo modo di perdere il 30 per cento dei servizi di infanzia. Da qui nascono sacrosanti appelli perché anche questo settore sia considerato strategico e sostenuto dalle politiche di aiuto delle amministrazioni pubbliche.
Le scuole paritarie (dalla primaria alla secondaria di secondo grado) si sono trovate in una situazione non dissimile, e la pandemia ha mostrato l’equivoco tutto italiano di un servizio pubblico pagato privatamente. Molte famiglie, anche colpite nella loro situazione reddituale dalle conseguenze del lockdown, hanno interrotto (o ridotto) i pagamenti delle rette, rendendo complesso far quadrare i conti in una situazione in cui invece la didattica è garantita e gli insegnanti, come non mai, al lavoro. Si potrebbe cogliere l’occasione e sanare una volta per tutte l’equivoco di cui sopra: rendere detraibili al 100 per cento le spese per l’istruzione obbligatoria dei figli. Sarebbe semplice, forse troppo semplice.
Ma la scuola ha dimostrato che, liberata da lacci e vincoli burocratici, esprime meglio il proprio scopo. Assecondiamo questo impeto di libertà, permettendo più autonomia organizzativa e meno circolari; valorizziamo i nostri insegnanti, veri angeli delle famiglie e dei ragazzi, tanto quanto medici e infermieri lo sono di anziani e malati. Mi permetto di avanzare altre due proposte per liberare, un pochino e per sempre la scuola.
Rendiamo idonei all’insegnamento tutti coloro che si sono laureati e hanno maturato corsi in didattica e antropologia (i famosi 24 crediti formativi richiesti per l’accesso ai concorsi pubblici). Basa specializzazioni, corsi abilitanti a numero chiuso, concorsoni ordinari e straordinari abilitanti. Se una persona può accedere ad un concorso per una cattedra, è idoneo ad insegnare. Sia consentito ai nostri giovani di sedersi in cattedra, aiutati magari da chi ha più esperienza, accompagnati nei primi anni con forme di tirocinio. Non supplenti, quindi, ma insegnanti, a tutti gli effetti.
Il calendario scolastico sia per tutti dal 1 settembre al 30 giugno. All’interno di questo periodo le singole scuole organizzano i 200 giorni di frequenza, le vacanze, i recuperi, i corsi di approfondimento, la didattica in presenza e a distanza. Il mese di luglio sia dedicato ad esami e recuperi, l’agosto alle meritate vacanze.
Non serve tenere in ostaggio dirigenti, insegnanti e famiglie, limitare la loro capacità di scelta, di lavoro e di insegnamento. Liberate la scuola, se lo è meritata.
Foto Ansa
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