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Liberalizzazioni, negozi aperti 24 su 24: sì o no? L’intervista doppia

Gli orari dei negozi sono stati liberalizzati con il decreto "salva Italia", ma è una norma che conviene? Intervista doppia al liberista Carlo Stagnaro e a Mauro Toffetti, presidente di Confesercenti. Il primo: «Tutti potranno gestire meglio il proprio tempo». Il secondo: «La grande distribuzione ucciderà i piccoli negozi»

Carlo Candiani
13/01/2012 - 11:33
Interni
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Si fa presto a dire “liberalizziamo”, più difficile è entrare nel merito e capire se una liberalizzazione convenga davvero o meno. Così, la possibilità per i negozi di rimanere aperti con orario flessibile anche sette giorni su sette, approvata con il “salva Italia”, sta creando molte polemiche tra gli economisti e i commercianti. Tempi.it ha contattato due esperti, dalle visioni differenti, e ha posto le stesse domande a entrambi. Il primo è il liberista Carlo Stagnaro (S), direttore Ricerche dell’Istituto Bruno Leoni. Il secondo è Mauro Toffetti (T), presidente di Confesercenti.

Liberalizzando l’orario dei negozi, ci ritroveremo in un mercato senza regole?
S
: Penso che liberalizzazione e deregolamentazione nel maggior numero di casi siano sinonimi, come pure in questo: liberalizzare vuol dire lasciare ai gestori dei servizi commerciali la possibilità di scegliere quando tenere aperto, e per fare ciò è necessario cancellare delle regole, come il numero massimo di ore giornaliere e il numero massimo di domeniche mensili o annuali di apertura.
T: Sì, ci sarà una vera deregulation mentre questo settore, dove convivono la grande distribuzione e il piccolo negozio, avrebbe bisogno di più norme: è come mettere due pugili di due categorie diverse a combattere sullo stesso ring. È sempre pugilato, ma le regole devono essere omogenee.

Alla liberalizzazione si obietta che farà chiudere i piccoli negozi a vantaggio delle grandi catene di vendita.
S
: Penso che sia un’obiezione sbagliata per due ragioni: anzitutto perché la possibilità di aprire di notte o di domenica non è un obbligo. Verosimilmente non tutti terranno aperto non-stop; quello che probabilmente accadrà è che le grandi catene o i negozi più piccoli si specializzeranno nella particolare fetta di mercato, quella delle persone che hanno esigenza di comprare nelle ore serali e nei giorni festivi. In secondo luogo, se ci sarà movimento di consumatori anche nelle ore notturne, impedirlo vorrà dire passare sopra la libertà di queste persone nel riorganizzare la propria giornata. Anche se è una minoranza, va rispettata la scelta di organizzare il proprio tempo al meglio.
T: È un’obiezione giusta, perché la grande distribuzione non ha come obiettivo principale la vendita di beni. In realtà utilizza la vendita per fare cassa. Per esempio, hanno dei grandi centri acquisti, più volte sanzionati dall’authority perché fanno “cartello”, strangolano i fornitori, si permettono di trattare un prezzo vantaggiosissimo, a discapito della piccola distribuzione che non ha questa potenzialità.

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Aumenteranno le vendite?
S
: Non è automatico né scontato. Però, più ancora di un probabile effetto positivo, insisterei sulla maggiore libertà che questa possibilità dà a ciascuno di noi di gestire meglio il proprio tempo. Sarà il cliente, e non il negoziante, a decidere quando andare a fare la spesa: mi sembra qualcosa che vada nell’interesse di tutti, incluso il negoziante stesso, quando avrà bisogno di qualche bene che non vende lui stesso.
T: Non è assolutamente automatico. Già immagino città deserte piene di negozi mentre colonne di macchine si dirigono verso i grandi centri commerciali. Perché non è paritetico il rapporto e non è coerente a questo tipo di attività.

Questa norma è avversata proprio dalla categoria interessata: ma se fosse chiaramente sviluppista non dovrebbe dare benefici a un settore che già boccheggia?
S
: Credo che sia una resistenza di tipo culturale, contro il nuovo e contro l’innovazione, e per certi versi per una paura, anche comprensibile, di dover fare fronte a una concorrenza più agguerrita. Nel breve termine, non c’è dubbio che i piccoli esercizi dovranno impegnarsi di più di fronte ai nuovi stili di consumo che s’imporranno, perché la loro gestione dei costi è più rigida rispetto alla grande distribuzione che si può organizzare in modo più rapido. Nel medio termine, se i piccoli esercizi si sapranno organizzare, consorziandosi, potranno rendere questa norma da vessatoria a una vera opportunità.
T: Una norma come questa viene fatta non per una reale liberalizzazione del commercio, ma perché si pensa che sia una scorciatoia per facilitare un settore piuttosto che un altro. Per quanto riguarda l’opzione del consorzio tra piccoli esercizi, ci vorrebbe un grande sforzo organizzativo che noi come associazioni potremmo mettere in campo. Stiamo parlando dell’acquisto cooperativo o consortile, che è molto difficile. Ci sono state esperienze positive nel passato, è difficile ma non impossibile. Ci lavoreremo.

L’attenzione del consumatore è sempre rivolta al contenimento dei prezzi. Questa norma aiuterà il risparmio?
S
: È difficile dirlo, accadrà solo se si favorirà una maggiore competizione. I risparmi per il consumatore non saranno monetizzabili, ma risparmierà comunque potendo gestire meglio il proprio tempo.
T: Sinceramente non lo so. Però posso spiegare che cos’è la vendita compulsiva: il grande store attrae i clienti scontando alcuni prodotti civetta, ma alla fine recupera i prezzi scontati inducendo all’acquisto di altri prodotti: nessuno vende sottocosto, da nessuna parte. Sia chiaro che noi non siamo contro la grande distribuzione, ha un suo valore, ma con l’applicazione di questa norma il più forte diventerà ancora più forte.

La norma solleva anche obiezioni di tipo sociale e culturale. Da una parte si punta a una migliore qualità della vita, dall’altra si segnala la perdita del diritto al giorno di riposo. Anche il tempo libero diventa tempo di consumo.
S
: A me pare vero il contrario. Bisogna dare a tutti la possibilità di scegliere quando andare a fare acquisti, così che il tempo passato in famiglia possa essere valorizzato al massimo. Quante volte accade di uscire di casa per fare la spesa solo perché il negozio sta per chiudere?
T: L’aspetto sociale è importantissimo. Riteniamo che il negozio di vicinato e il centro commerciale naturale abbiano una funzione sociale precisa: non si spiegherebbe altrimenti perché, ad agosto, i sindaci ci chiedano uno sforzo per tenere aperto e offrire il nostro servizio. Insomma, delle due l’una: o noi siamo liberalizzati rispetto al mercato o siamo un centro servizi. Questa contrapposizione, a favore della grande distribuzione, penalizzerà il commercio di vicinato e comporterà la chiusura di molti negozi, creando il deserto nelle periferie e anche in alcuni centri città. Non ci sarà più un presidio territoriale, sempre più i quartieri periferici diventeranno dormitori, come già succede oltralpe.

C’è la possibilità di trovare un compromesso su questa norma?
S
: In questi casi non è ragionevole cercare mediazioni, anche perché non stiamo parlando di una questione puramente tecnica, ma anche di principio. Bisogna fare una scelta: tuteliamo la libertà degli esercenti di organizzarsi e quella del consumatore di gestire meglio il proprio tempo o no? La scelta politica deve essere netta.
T: Soluzioni di compromesso non ne vedo. Questa è una contrapposizione difficile da sanare. Stiamo valutando delle forme di protesta civile: stiamo pensando a una serrata ad agosto. Vedremo poi se qualcuno ci verrà a chiedere se, per cortesia, possiamo tenere aperti i negozi. Sono pessimista, la norma sarà applicata e poi saremo nel far west, senza regole. In Lombardia, con l’attuazione dei distretti del commercio, abbiamo trovato una soluzione di stabilità e di armonia. Non vorremmo perderla.

Tags: carlo stagnaroconfesercentigoverno montiistituto bruno leoniliberalizzazionimauro toffetti
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