
Tentar (un giudizio) non nuoce
Leone XIV. Il Papa che sfida le logiche del mondo

Qualche vecchio milanese ci ha già scherzato. “Il Prevost diventa Papa” perché Prevost, da noi, è anche il preposto, cioè il parroco della chiesa prepositurale, la più importante delle città prive di una vera cattedrale. La battuta è riuscita, ma contiene un fondo di verità. Perché Robert Francis Prevost, oggi Papa Leone XIV, si è presentato come un pastore. E come un pastore ha parlato, attento alla dimensione umana, sensibile alle inquietudini profonde del gregge che gli è stato affidato.
La sua prima parola non è stata casuale, ma carica di significato. Pace. Un bisogno che alberga nel cuore di ogni uomo e che non si spegne nemmeno davanti alla tragica evidenza. Ogni giorno migliaia di persone muoiono nei conflitti tra Russia e Ucraina, nei bombardamenti di Gaza, negli oltre cinquanta focolai di guerra che infiammano il mondo. Eppure, la domanda di pace non viene mai meno perché ci abita. È scritta in noi.
Ma la pace, quella vera, non è una tregua. Non è un armistizio. È qualcosa di più, è ciò che solo Cristo risorto può dare. È la certezza che la morte non ha l’ultima parola. Senza questa speranza, che senso avrebbe una pace umile, disarmata, disarmante? Sarebbe solo una fragile illusione. Invece può diventare realtà se nasce dalla consapevolezza che siamo tutti figli dello stesso Padre. Solo così potremo riconoscerci fratelli. Solo così una pace autentica potrà radicarsi nella storia.
Pace e profitto
Mi ha colpito la centratura in Cristo delle parole di Leone XIV. «Dio ci vuole bene. Dio vi ama tutti. Il male non prevarrà». Lo ha detto con forza, senza esitazioni. Perché è convinto che Cristo precede il mondo, che l’umanità ha bisogno della sua luce, che è Lui il ponte necessario per raggiungere Dio e il suo amore. È questa la premessa per costruire davvero ponti, per praticare un dialogo che non sia finzione. Senza questa evidenza, la pace rimane una parola vana.
C’è un secondo elemento decisivo, il nome scelto. Leone XIV. Un nome impegnativo. Il riferimento al suo predecessore, Leone XIII, autore nel 1891 della Rerum Novarum, è inevitabile. Fu lui a denunciare, per primo, gli effetti disumanizzanti di un’economia centrata sul profitto e disattenta alla dignità della persona.
Vi confesso una cosa. Se io avessi potuto indicare un nome tra i cardinali in Conclave, che sarebbe stato uno tra i più adatti in questo momento storico, avrei pronunciato proprio il nome di Robert Francis Prevost. E lo dico con molta umiltà sapendo bene che molti di coloro di cui si era fatto il nome, erano altrettanto all’altezza. Oggi il nostro Papa è Leone XIV. Ed oggi più che mai serve un pensiero che sia diverso dal mainstream, ma non ideologico. Radicato nella realtà, e profondamente umano. E sono convinto che un filo spirituale che lega sant’Agostino, con la sua intelligenza e il suo modo straordinario di stare dentro l’esperienza, possa offrire alla Chiesa parole autentiche, capaci di illuminare l’economia e la società di oggi.
Senza slogan, senza ingenuità
Che questo richiamo possa arrivare dal primo Papa americano rende tutto ancora più significativo. Americano sì, ma non solo statunitense. Leone XIV è cittadino degli Stati Uniti e del Perù. E ha svolto gran parte della sua missione nelle periferie più povere dell’America Latina. Quelle che Papa Francesco ha sempre messo al centro.
Tra i cardinali americani era forse quello più lontano dal pensiero dominante negli Stati Uniti. E proprio per questo da lui possiamo attenderci qualcosa di originale, un recupero profondo della dottrina sociale della Chiesa. Un pensiero forte sull’economia, sul lavoro, sull’impresa, sulla giustizia sociale, sull’ambiente. Senza slogan, senza ingenuità. Con la lucidità di chi sa stare nella complessità e indicarvi una via.
Per tutte queste ragioni, sono convinto che papa Leone XIV saprà offrire alla Chiesa e al mondo una guida forte, autorevole, ma anche profondamente evangelica. In continuità con i suoi predecessori, da Giovanni XXIII a Francesco. Una guida che non rincorrerà lo spirito del tempo, ma lo interrogherà. Che saprà farsi ascoltare. E che potrà insegnarci a prendere sul serio le sue parole. A farne carne. A trarne, finalmente, le necessarie conseguenze.
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