
Memoria popolare
«Un luogo dove la coscienza cristiana diventava iniziativa». Storia di Mp a Napoli

Dalla metà degli anni Settanta a metà degli anni Novanta Napoli e la Campania furono attraversate da una presenza nuova nel panorama cattolico e sociale: il Movimento Popolare, espressione dell’esperienza di Comunione e Liberazione. Nato a livello nazionale nel 1975, il Mp si proponeva come strumento per portare nella vita pubblica la tensione educativa e comunitaria del movimento ecclesiale fondato da don Luigi Giussani. A cinquant’anni da quegli inizi, ne parliamo con Antonio Romano – noto come Tonino fra gli amici – già responsabile di Comunione e Liberazione in Campania e presidente del Mp campano dalla fine degli anni Ottanta al 1993, collaboratore di don Giussani e ancora oggi punto di riferimento per tanti amici.
Tonino, com’era la Napoli che ha accolto il Movimento Popolare?
Con riferimento alle problematiche, non tanto diversa da oggi. Era una città attraversata da tensioni ideologiche forti, con una vitalità straordinaria ma anche con molte fratture: tra centro e periferia, tra politica e società, tra giovani e istituzioni. Comunione e Liberazione era già presente, attraverso gruppi studenteschi e universitari. L’arrivo del Mp fu per noi una possibilità nuova: non per “entrare in politica” nel senso tradizionale, ma per testimoniare pubblicamente una fede che voleva diventare carne nella vita sociale. Vedevamo l’opportunità di un luogo dove la fede potesse generare opere e giudizi, un luogo che ci aiutasse a stare nella realtà con coscienza e responsabilità, senza escludere e censurare nulla, fino alla politica.
Don Giussani sottolineava come le opere nascano dalla fede come la pianta dal seme. Come si è tradotto questo a Napoli?
Giussani ci ha educati a non separare la fede dalla vita. «Fede è riconoscere una Presenza ora», ci diceva. E questa Presenza genera un cambiamento, genera opere. Così, anche a Napoli e in Campania il Movimento Popolare non è mai stato un partito, ma un luogo dove la coscienza cristiana diventava iniziativa. Ricordo ancora quando andavamo a distribuire volantini nelle scuole o nelle piazze: lo facevamo non per propaganda, ma perché ci stava a cuore il destino delle persone che incontravamo. Le opere, le iniziative culturali, i doposcuola, l’impegno sociale… tutto nasceva dal riconoscimento che Cristo è presente ora, nella storia.
Il Mp non è stato solo un’impresa individuale o di pochi eletti. Qual è stato il rapporto tra libertà personale e responsabilità comunitaria?
Per noi è stato fondamentale scoprire che la libertà vera si gioca in un’appartenenza. Non eravamo eroi solitari, ma uomini che cercavano insieme. La comunità era il luogo dove la persona si dilatava, si formava. Questo valeva sia nell’ambito della militanza, sia nell’aiutarsi tra noi a vivere. C’era una solidarietà profonda. E l’impegno pubblico, anche elettorale o sociale, nasceva da questo tessuto. Come diceva don Giussani, «la Chiesa è una compagnia di uomini che camminano insieme». Il Mp, per molti di noi, è stato una scuola di compagnia cristiana che prendeva sul serio la vita concreta.
Quali sono stati i momenti in cui il Movimento Popolare a Napoli ha inciso di più nel contesto campano?
Ce ne sono molti. Ricordo il primo convegno del Movimento Popolare organizzato da Michele Morese a Mercato Sanseverino (Salerno). Era il 1976, io ancora un ragazzo diciottenne. Il titolo, se ben ricordo, era “L’impegno dei cattolici popolari nella politica”. Erano presenti l’allora ministro per lo Sport Bernardo D’Arezzo, l’onorevole Ciriaco De Mita e tanti deputati della regione Campania. Colpì molto l’intervento di Saverio Allevato, della comunità di Roma e responsabile per il Mp del Sud Italia. Già dal primo momento si coglieva che qualcosa di grande stava accadendo.
Ricordo poi la campagna referendaria sull’aborto, nel 1981. Non si trattava solo di un voto, ma di una battaglia culturale e di testimonianza. Una giornata ci vide passare dall’attacchinaggio per le strade della città a pregare e trepidare insieme per l’attentato al Santo Padre Giovanni Paolo II.
Poi la partecipazione alla campagna elettorale del 1983 con la candidatura nella Dc al Senato del professor Goffredo Sciaudone nel collegio uninominale più “rosso” dell’epoca, il quartiere Stella di Napoli. Pur se il professor Sciaudone non venne eletto, ebbe la più bella affermazione nella Dc del tempo. Facemmo incontri, volantinaggi, dialoghi nelle scuole, nelle parrocchie e una grande festa finale al Vomero con un giovanissimo Roberto Formigoni.

Poi la grande mobilitazione per la libertà di educazione, col referendum sulla scuola nel 1985: ricordo con commozione i tavoli nelle piazze, i convegni, la tenacia con cui ci battevamo per il diritto delle famiglie a educare i figli secondo i propri ideali. Diritto che ancora oggi bisogna lottare per difendere!
Un momento particolare è legato all’emergenza del terremoto dell’Irpinia nel 1980: Cl e Mp furono tra i primi a intervenire. Non a parole, ma creando due campi di accoglienza per i terremotati di Nusco e Montoro (la mia città natale). In quell’occasione conobbi uno dei miei più grandi amici storici, Marco Bersanelli, famoso astrofisico. Come Cl ed Mp organizzammo raccolte di beni di prima necessità e coordinammo localmente i volontari in Irpinia. Quel tempo ci fece toccare con mano che l’opera nasce sempre da un bisogno che si incontra. Con la stessa logica, non posso non ricordare il lavoro svolto per Italia ’90 [i mondiali di calcio, ndr] con la cooperativa Cascina di Roma coinvolgendo adulti e giovani. Nel 1992, all’inizio della bufera di Mani pulite, realizzammo un Happening per i giovani di Napoli che raccolse l’attenzione di autorità di governo che presenziarono e della cittadinanza che intervenne numerosissima, tanto da far sembrare piccola la Mostra D’Oltremare [la struttura fieristica di Napoli, ndr].
Ricordo, infine, la mobilitazione e il volantinaggio dopo l’uccisione di Giovanni Falcone. Con la gratitudine che solo i capelli bianchi sanno donare è evidente come il metodo e il porsi con giudizi anche forti da parte del Mp ha letteralmente salvato tanti giovani dalla deriva giustizialista, deriva che ha avuto uno spunto grave nella pur giusta rabbia provata da tanti in quei terribili momenti. Tutto era occasione di testimonianza e il volantino del Mp dell’epoca resta personalmente un punto di giudizio e compagnia esemplare anche per l’oggi.
Una considerazione che potrebbe tornare utile per il nostro presente: la spinta propulsiva per tante iniziative nel sociale e in politica derivava anche da una presenza viva nelle università. Presenza testimoniata dalle forti affermazioni dei Cattolici Popolari nelle diverse elezioni studentesche in un clima spesso ostile. Eravamo in prima fila e spesso vincenti, fino ad avere la più forte rappresentanza nel Consiglio di amministrazione dell’Università, perché presenti sui bisogni dei giovani universitari.
Il Mp in Campania ha avuto rapporti sia con la Chiesa locale che con la Dc. Com’è stata gestita questa presenza pubblica?
Con la Chiesa c’è sempre stato un rapporto di leale confronto e servizio. Alcuni vescovi ci guardavano con simpatia, altri con prudenza. Ma noi, sempre nella sequela alla Chiesa, nelle questioni squisitamente laiche non cercavamo il consenso: cercavamo di essere fedeli a Cristo e alla realtà, dando con semplicità il nostro contributo. Sempre pronti a confrontarci.
Con la politica il rapporto era molto delicato. Sostenevamo candidati della Dc che condividevano la nostra sensibilità, ma senza mai perdere il nostro “centro”. Non volevamo diventare una corrente. Se c’era qualcosa da criticare, lo facevamo. La cosiddetta “distanza critica” ci è stata insegnata in azione: impegnarsi fino in fondo, sporcarsi le mani (altro che “mani pulite”), ma mai identificarsi con nessuna formula umana. Il punto non era “fare carriera” o raggiungere l’egemonia (su cosa? su chi?), ma vivere la responsabilità cristiana nel mondo.
Guardando indietro, chi sono stati i volti, le persone con cui hai condiviso quella stagione del Movimento Popolare?
È difficile nominare tutti, ma alcuni volti restano scolpiti nella memoria come pietre d’angolo di questa storia. Innanzitutto vorrei ricordare tre persone che sono all’origine della nostra vicenda: il professor Goffredo Sciaudone, direttore e maestro della scuola medico-legale dell’Università di Napoli, da poco scomparso, il professore Armando Carotenuto (che ha avuto un ruolo non secondario nel sostenere il riconoscimento della stessa Fraternità di Comunione e Liberazione da parte dell’Abate di Montecassino) e il professor Gianni De Medici. Sono stati tra le primissime anime del Movimento Popolare a Napoli. Tutti con una intelligenza limpida, profondità culturale e una capacità unica di tenere unite ragione e fede. Diversi, ma uniti da un amore grande per Cristo e per il popolo.
Ricordo con riconoscenza anche Michele Morese, tra gli organizzatori del primo convegno campano del Mp nel 1976: oggi imprenditore del legno di livello nazionale, ma prima di tutto uomo di fede e di amicizia. Portava nel cuore un’idea alta del bene comune, e ha sempre saputo vedere oltre le formule e le ideologie, con uno sguardo laico ma profondamente cristiano. Fu tra i primi a credere nella necessità di opere stabili, concrete, capaci di esprimere una carità intelligente e strutturata. Ora vive il suo impegno sostenendo il Banco alimentare campano. Della mia generazione, ricordo particolarmente con stima Vitaliano Sena, che con la sua pronta disponibilità si spese sempre con grande dedizione in tutte le necessità e i bisogni che emergevano nelle battaglie quotidiane a Napoli.
Ricordo con grande commozione i primi amici con i quali ho condiviso le battaglie ideali e la vita quotidiana nell’appartamento ai Quartieri spagnoli, all’indirizzo vico San Mattia: Renato Pelella, Massimo De Santo, Giuseppe Mancinelli, Biagio Tallarico, Gaetano Veneri e Armando Valentino. E poi una moltitudine di amici: studenti, insegnanti, famiglie, sacerdoti. Tra questi ultimi come non ricordare il camilliano padre Antonio Puca, con cui abbiamo condiviso la casa nella prima sede del movimento in vico Paparelle al Pendino, 32. Padre Antonio ancora oggi svolge il suo ministero nel servizio agli ammalati e alle nostre comunità.
Una compagnia vera, dove ciascuno portava qualcosa di unico, dentro un cammino comune. Insieme abbiamo costruito qualcosa che ha lasciato il segno e che ancora adesso continua a generare, anche grazie alla nuova generazione di adulti che oggi è impegnata nell’esperienza del movimento. A tutti loro dobbiamo molto: senza il loro coraggio e la loro dedizione, il Mp a Napoli e in Campania non sarebbe nato come è nato. Così come per l’esperienza di Cl.
Il Movimento Popolare si è sciolto nel 1993. Cos’è rimasto, secondo te, di quell’esperienza?
È rimasto quello che ci ha generato: la fede vissuta come giudizio e come affezione alla realtà. Il Mp è finito come struttura, ma non come presenza. E posso dire che, lì dove sono oggi, in tutto quello che faccio insieme ad altri amici c’è ancora quell’origine. La Fondazione Romano Guardini, oltre ad essere l’ente gestore dell’Istituto Sacro Cuore di Napoli, nasce proprio dal desiderio di dare voce pubblica a un’esperienza di fede capace di confrontarsi con la complessità del presente. Infatti porta anche avanti progettualità con percorsi culturali, formativi ed educativi rivolti ai giovani e alle famiglie del nostro territorio. Così come il Banco alimentare della Campania, che ogni giorno aiuta migliaia di famiglie in difficoltà, è una forma concreta di carità organizzata, di solidarietà cristiana strutturata, nata da uno sguardo che vuole riconoscere il bisogno dell’altro come una chiamata. E poi c’è Portofranco Napoli, un luogo che accompagna tanti ragazzi, da oltre 20 anni nello studio e nella crescita personale. Poi c’è il lavoro di tanti professionisti che hanno, in rapporto con la nostra storia, generato aziende di servizi e di formazione professionale dando nuove opportunità a tanti giovani del nostro territorio. Laddove tanti seguivano l’invito a “fuggire via” da Napoli, eravamo lì a costruire e a credere che la libertà di ognuno potesse sbocciare dentro una compagnia umana, e che la cultura non fosse un accessorio, ma la strada per il riscatto e la libertà della persona.
Non si tratta di nostalgia: è una presenza che continua, un’opera che cresce perché c’è Qualcuno che continua a chiamare. Ma gli esempi sono troppi da ricordare e non vorrei far torto a nessuno…
* * *
Il Movimento Popolare ha attraversato una stagione della storia italiana ed ecclesiale lasciando segni profondi anche a Napoli e in Campania. Più che una sigla, è stato un metodo: vivere la fede come qualcosa che genera cultura, amicizia, impegno. Oggi quella storia continua nelle opere vive di chi, come Antonio Romano, non ha mai smesso di servire il popolo da cui è nato. Come ci ha insegnato don Giussani, «la fede genera un popolo». E quel popolo – nonostante tutto – è ancora in cammino.
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