Leggere i russi per restare umani. Meno ideologia, più Dostoevskij

Di Pietro Tosco
03 Marzo 2022
Il corso sospeso a Paolo Nori in Bicocca e la grottesca prepotenza della cancel culture nostrana. Non è censurando la cultura russa che si fermerà la guerra in Ucraina
Un murale con il volto di Fedor Dostoevskij
Un murale con il volto di Fedor Dostoevskij alla fermata della metro di mosca Dostoevskaya (foto Ansa)

Mentre l’Università Nazionale Karazin, tra le più importanti e antiche dell’Ucraina, veniva distrutta dalle bombe nel centro di Charkiv, dalle nostre parti qualcuno di molto illuminato all’Università Bicocca di Milano decideva di sospendere un corso dello scrittore Paolo Nori su Dostoveskij. Per prudenza, diceva, per «evitare qualsiasi polemica in quanto momento di forte tensione».

Il corso di Nori in Bicocca: «Vado a farlo altrove»

Il caso è noto e solo in parte rientrato per il grande scalpore che ha creato: dopo che il prorettore Casiraghi ha ripristinato il corso, ha spiegato che la sua intenzione originaria era quella di ristrutturarlo «aggiungendo a Dostoevskij alcuni autori ucraini», e allora Nori ha fatto sapere che «il corso che avrei dovuto fare in Bicocca lo farò altrove». Ironia della sorte: l’Università che voleva evitare polemiche è invece riuscita a salire alla ribalta della cronaca, scatenando un’ondata tale di proteste per poi tornare sui propri passi con una toppa peggiore del buco.

Questa vicenda sarà ricordata probabilmente come un fatto grottesco in un momento tragico. Eppure non può non fare pensare. Perché certamente, se da una parte la guerra scatenata da Putin in terra ucraina è un conflitto ingiusto e sciagurato da condannare, dall’altra apre squarci non meno drammatici su quello che sta vivendo il mondo occidentale. C’è forse meno prepotenza nella cancel culture nostrana di quanta ce ne sia nell’artificiosa rilettura della storia che ha raccontato Putin nel suo discorso a giustificazione dell’invasione ucraina?

Invece di cancellare bisognerebbe leggere

Il caso Dostoevskij della Bicocca, insieme a tanti altri di questi giorni, come quello del fotografo russo Alexander Gronsky, che si è visto annullare la partecipazione al Festival della Fotografia Europea di Reggio Emilia (e contemporaneamente è stato arrestato a Mosca perché manifestava contro la guerra) o quello del regista Karen Georgievich la cui retrospettiva è stata cancellata dal Museo nazionale del Cinema di Torino, o quello del direttore d’orchestra Valery Gergiev che non si potrà esibire alla Scala, sono forse meno distruttivi delle bombe sull’Università di Charkiv? Tutti colpevoli solo perché russi, in un contesto in cui la Russia sta insanguinando l’Ucraina?

Invece di cancellare, forse bisognerebbe ragionare, leggere, capire. E perché no, riavvicinarsi a quello sconfinato universo che è la letteratura russa. Che invece di squarci, può aprire mondi. Lo ricordava Aleksandr Solženicyn nella sua memorabile ma dimenticata lezione di Harvard (1978). In quel momento l’Unione Sovietica iniziava il suo declino e Solženicyn, che l’aveva combattuta in patria e per questo era in esilio, ne spiegava oltreoceano i tragici errori perché fossero a tutti di monito. Ma allo stesso tempo ammoniva l’Occidente contemporaneo di non essere tanto meglio per la sua “persistente cecità” che veniva da una “presunta superiorità”.

Un mondo avviluppato in se stesso, l’Occidente, che era tutt’altro che un modello: «Si pensa che tutti gli altri mondi siano temporaneamente impediti (da leader malvagi o da gravi crisi o dalle loro barbarie e incomprensioni) di perseguire la democrazia pluralistica occidentale e di adottare il modo di vita occidentale. I paesi sono così giudicati sul merito del loro progresso in questa direzione. In realtà tale concezione è frutto dell’incomprensione occidentale dell’essenza degli altri mondi, ed è il risultato sbagliato del volere misurare tutto con il metro occidentale».

L’ideologia spiegata da Grossman

Pensare di fermare l’invasione ucraina censurando la cultura russa è profondamente sbagliato, miope e avvicina tragicamente ciò che si vuole combattere: l’ideologia. Un nemico non meno terribile della forza brutale della guerra.

Oggi nelle nostre case e nelle nostre università dovremmo invece leggere e conoscere di più i russi. Per cambiare metro, per aprirsi “all’essenza di altri mondi”. Mondi che sono vicini e lontani, universali e particolari. Mondi che la letteratura russa è riuscita ad esprimere in modo grande e sublime.

Basterebbe, ad esempio, aprire una pagina “a caso” di quel capolavoro che è Vita e destino di Vasilij Grossman, struggente e meravigliosa epopea sulla Battaglia di Stalingrado. L’ideologia nel romanzo assume un volto incredibilmente ben delineato, descritto nella sua ambivalenza ammaliatrice che ne rivela insieme la menzogna originaria e la violenza vorace. La falsificazione della realtà e la ferocia pratica dei due regimi del Novecento, quello nazista e quello comunista, nel libro sono due facce della stessa medaglia, la prassi ideologica, capace di operare una tragica snaturazione dell’umano con cui la storia non smette mai di fare i conti.

Cosa ci dicono Tolstoj e Bulgakov

Ma all’ideologia per Grossman non ci si può opporre se non con la libertà, unica risposta non ideologica, quella forza inestirpabile costitutiva dell’animo umano, che cautamente, ma con grande forza di resistenza, riesce inaspettatamente a far riemergere tracce umane dalla desolazione, evocando una speranza che è ad un tempo amara e realista. Grossman in effetti avrebbe molto da dire in questo momento. Lui che aveva in sé tutto ciò di cui si parla oggi, perché era ucraino di nascita, ebreo di sangue, russo di cultura e sovietico di passaporto.

E con lui, molto avrebbe da dire anche Lev Tolstoj, profondamente segnato dall’esperienza della Guerra di Crimea, che descrisse nei Racconti di Sebastopoli: nessuno in Russia prima di lui aveva descritto la guerra in quel modo, con spietata verità e assenza quasi totale di romanticismo guerriero e patriottismo sentimentale. E ancora, oggi varrebbe la pena leggere La guardia bianca di Michail Bulgakov, che racconta la Kiev sfigurata della Guerra Civile seguita alla Rivoluzione d’Ottobre: un affresco di personaggi, storie, vite, dove storia e letteratura diventano un tutt’uno tragico e lirico allo stesso tempo. Per non parlare, ovviamente di Dostoevskij. Forse che i Demoni non avrebbero da dire sul radicalismo nefasto che vediamo oggi in situazioni diverse ma non così lontane?

«Non c’è posto per Dostoevskij nella nostra ideologia»

Già, la letteratura e Dostoevskij. Non è un caso che in Vita e destino lo si trova citato in un dialogo molto emblematico. Un gruppo di intellettuali, mentre la guerra avanza, discute di letteratura e uno di loro inizia a discorrere di come sia sempre più censurato nella Russia sovietica: «Abbiamo dimenticato Dostoevskij… Nelle biblioteche lo prestano malvolentieri e le case editrici non lo ristampano». Perché?, si chiede. Gli risponde un altro: «I geni non possono essere ammaestrati. Non c’è posto per Dostoevskij nella nostra ideologia. Per Majakovskij sì. Non per niente Stalin lo ha definito il migliore, il più dotato. Majakovskij è lo Stato fatto carne, fatto emozioni. Dostoevskij, invece, è l’uomo e basta, anche quando è dentro a uno Stato».

Sì, basta leggere una pagina così per bruciare in un istante qualsiasi parola sul caso della Bicocca. L’uomo e basta, come affermava lo stesso Dostoevskij nel suo Diario di uno scrittore, a proposito del suo ideale artistico: «In pieno realismo trovare l’uomo nell’uomo. È un tratto russo per eccellenza, e in questo senso io sono certo “popolare” […], e benché sia sconosciuto al popolo russo di oggi, sarò noto a quello di domani. / Mi chiamano psicologo: non è vero, io sono solo un realista nel senso più alto, cioè raffiguro tutte le profondità dell’anima umana».

Ecco, più Dostoevskij e meno ideologia: aiuterebbe a restare uomini, di fronte a questa umanità nuovamente ferita dalla bestialità della guerra. Come, meglio di chiunque altro, ha detto Cesare Pavese: «Idiota e lurido Kant, se Dio non c’è tutto è permesso. Basta con la morale. Solo la carità è rispettabile. Cristo e Dostoevskij. Tutto il resto sono balle».

* * *

Laureato in Lettere e Filosofia, Pietro Tosco ha conseguito il dottorato in Letterature Straniere e Scienze della Letteratura. In Russia ha studiato per anni la figura e l’opera di Vasilij Grossman, di cui ha contribuito a fondare il Centro Studi internazionale che ne porta il nome.

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.