“Legge bavaglio: ci riprovano. Fermiamoli di nuovo”. Questo il testo, vergato su un simbolico post-it, della protesta che corre sulla rete. Tra le varie norme contenute nel disegno di legge Alfano sulle intercettazioni, infatti, ci sono alcune righe che potrebbero andare a colpire milioni di blog italiani, già comparse nella prima stesura del provvedimento e nelle sue ulteriori riproposizioni, e tornate d’attualità in questi giorni. Si tratta esattamente dell’articolo 1, comma 29: “Per i siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono”.
Dunque, basta una richiesta (fondata o meno) perché un portale online sia obbligato a rettificare entro 48 ore. L’hanno chiamata “norma ammazza blog” e l’avvocato Guido Scorza, esperto nel settore web, ha calcolato che i blogger rischierebbero fino a 12.000 euro per difendere la loro libertà di parola: «Imporre un obbligo di rettifica a tutti i produttori non professionali di informazione, significa fornire ai nemici della libertà di informazione una straordinaria arma di pressione, se non di minaccia, per mettere a tacere le poche voci fuori dal coro».
Oltre cento tra associazioni, blogger, gruppi di attivisti in rete e politici sostengono che la misura non solo mette un bavaglio alla libertà di espressione sulla Rete, ma accosta ingiustamente blog individuali a testate registrate, equiparando dunque opinioni personali a editoria vera e propria. E non ultimo tocca pesantemente le finanze di chi si rifiuta di rettificare quello che ha ritenuto di pubblicare. In effetti, il comma è formulato in modo tale da non fare alcuna distinzione esplicita tra un giornale online e un sito personale. Ma la minaccia di sanzioni b è davvero un’arma sproporzionata? E cosa cambierà?
Secondo Massimo Mantellini, storico blogger e noto esperto di Internet e nuove tecnologie, per moderare i rischi di eccessi diffamatori sarebbero più idonei strumenti efficaci di confronto e correzione di errori e falsità eventuali, da associare ai mezzi legali che già esistono. Fatta questa doverosa precisazione, Mantellini invita sommessamente a mantenere la calma: «Il comma sull’obbligo di rettifica non è una norma che spegne la rete italiana, non è un decreto ammazza-blog come in molti in questi giorni stanno ripetendo». Come spesso accade, «la rete si mobilita e viene invitata a farlo con tutto il solito corteo di indignazione, rimandi, passaparola, sticker da appendere sul proprio blog, pagine su Facebook». Dentro questa mobilitazione c’è un po’ di tutto: «I molti autenticamente preoccupati, i professionisti dell’indignazione, i tanti che sfruttano il tema per ragioni di opposizione politica». Ma soprattutto «c’è un riflesso condizionato che io trovo ogni volta più pericoloso: ad ogni vaneggiamento grande o piccolo, del legislatore o del magistrato, dell’esponente politico o del commentatore Tv si risponde sempre e comunque con la mobilitazione generale e con grandi significative semplificazioni del contesto. La misura della protesta è sempre più spesso la quantità e non la qualità, i toni urlati e non il ragionamento e questo metodo di lotta e di contrapposizione ai cattivi-che-vogliono-chiuderci-Internet trasforma tutto in un teatrino prevedibile e usuale».