Le tante provocazioni azere, preludio all’invasione dell’Armenia
Il 15 giugno, la giornata della bandiera nazionale armena, una decina di soldati delle truppe azere, affiancati da altri delle “forze di pace” russe, che servivano da scudo umano, hanno attraversato il ponte di Hakari – sull’unica strada che unisce il Nagorno-Karabakh all’Armenia – e sono entrati nel territorio della Repubblica d’Armenia, cercando di piantarvi una bandiera dell’Azerbaigian.
Le provocazioni azere sostenute dalla Russia
Una provocazione ovviamente sostenuta dal Cremlino e finalizzata ad alzare la tensione, per cui l’ambasciatore russo è stato successivamente convocato al ministero degli Esteri armeno per fornire delle spiegazioni. Respinti con colpi di fucile dagli armeni, gli azeri hanno subito interrotto il trasporto di merci attraverso il corridoio di Lachin, così come il trasporto di malati verso l’Armenia tramite la Croce Rossa Internazionale.
Ancora prima di questa provocazione, nella mattinata, i soldati azeri avevano sparato colpi di arma da fuoco contro le postazioni armene in prossimità del villaggio di Tegh (provincia armena di Syunik), ferendo un militare, Artur Azroyan, del Servizio nazionale di frontiera. Allo stesso tempo, la dittatura azera ha lanciato un drone verso le postazioni armene nei pressi della città di Kapan che, però, è stato intercettato e abbattuto.
Genocidio culturale nel Nagorno-Karabakh
La provocazione con la bandiera non è la prima e le azioni congiunte tra russi e turchi/azeri, contro la piccola ma democratica Armenia, hanno obiettivi ben precisi. Per mezzo di tali espedienti, infatti, Baku guadagna sempre nuove porzioni di territorio armeno, mentre il Cremlino porta avanti la sua politica punitiva contro la democrazia armena, soprattutto per i nuovi rapporti tra Armenia e l’Occidente.
Un esempio palese è l’aggressione a Yeraskh, al confine settentrionale tra Armenia e Nakhichevan, nella valle dell’Arasse: sempre alla presenza dei russi, gli azeri hanno sparato a due operai indiani in un impianto metallurgico armeno-americano, ferendoli. Qui le postazioni dell’esercito azero si trovano sulle alture e i colpi a lungo raggio, come sempre, vanno in direzione di case e infrastrutture del villaggio sottostante.
Su invito del governo armeno, gli ambasciatori e i membri delle rappresentanze accreditate in Armenia hanno visitato la località per verificare la situazione sul campo in questa porzione di confine occidentale dell’Armenia, ma i fronti per l’Azerbaigian sono tanti e assumono anche un programma antiarmeno a più livelli, che comprende, ad esempio, la cancellazione di ogni traccia della storia e della cultura armena nei territori conquistati. Così, nel frattempo, si verificano atti di genocidio culturale nel Nagorno-Karabakh, dove Aliyev – dittatore che in Italia si è guadagnato il titolo di filantropo in quanto sponsor del restauro di alcuni monumenti vaticani – distrugge ferocemente i monumenti della storia armena, quali la chiesa di San Giovanni Battista (Kanch Zham), il ponte di Halivor e altri siti culturali. Attualmente sta trasformando la Cattedrale del Santo Salvatore di Shushi in moschea.
Aliyev prepara l’invasione dell’Armenia
L’inasprimento delle tensioni tra Azerbaigian e Armenia è innanzitutto una leva nelle mani di Putin per manipolare – con la maschera di pacificatore – le parti in conflitto, essendone il manager principale, dato che per questa situazione i governi di entrambi gli Stati affrontano un certo malcontento popolare, il cui livello è decisamente più alto nella democratica Armenia.
Al contempo, la dittatura azera continua a tenere in ostaggio 120 mila armeni in Artsakh, perseguendo lo scopo di inghiottire il resto del territorio di quello che era la regione autonoma del Nagorno-Karabakh che, però, non ha mai fatto parte di ciò che oggi si chiama Repubblica di Azerbaigian, essendosi reso indipendente prima dell’istituzione dello stesso Stato azero. E tuttavia, il governo di Aliyev, dittatore e fornitore del gas [russo] dell’Occidente, sta preparando il terreno per un’altra azione aggressiva e per una vera e propria pulizia etnica degli armeni. Il suo governo agisce su più fronti – in Artsakh, nella direzione delle province armene di Syunik, Vayots Dzor e Gegharkunik e anche al confine occidentale dell’Armenia, a Yeraskh.
Continua il blocco illegale del corridoio di Lachin
È ovvio che l’Azerbaigian non dimostra alcun segno di voler cessare la politica antiarmena; l’odio verso l’armenità e le pratiche illegali di pulizia etnica contro il popolo dell’Artsakh sono fatti dichiarati apertamente. Inoltre, Aliyev prosegue con un linguaggio di ultimatum soprattutto dopo la conclusione delle elezioni presidenziali in Turchia, con il “grande fratello” Erdogan ancora al potere. Infatti Baku richiede la sottomissione degli armeni alle leggi dell’Azerbaigian, per diventare “cittadini leali dell’Azerbaigian”, gettando i loro “falsi attributi statali nella spazzatura” e sciogliendo il parlamento della Repubblica autoproclamata dell’Artsakh.
Tutto ciò in un contesto di minacce terroristiche di attaccare gli insediamenti armeni “visibili da Lachin, controllato dall’Azerbaigian”. In questa situazione tesa, resta cruciale la diversificazione delle forze di pace. E nonostante nei materiali pubblicati dalle forze di pace russe siano state registrate violazioni del cessate il fuoco solo da parte dell’Azerbaigian, le ultime provocazioni a seguito dell’istituzione di un posto di blocco illegale nel corridoio di Lachin, spingono la Repubblica d’Armenia a ribadire «la sua posizione sulla necessità di inviare una missione conoscitiva internazionale nel Nagorno-Karabakh, che possa anche fornire informazioni affidabili e imparziali sia sulla situazione nella linea di contatto tra le parti sia sulla crisi umanitaria nel Nagorno-Karabakh».
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