Good Bye, Lenin!

Le repressioni staliniane viste con occhi di bambini

Il portale russo Bessmertnyj Barak, che si occupa di raccogliere e conservare la memoria storica delle vittime delle repressioni staliniane, ha pubblicato alcuni suggerimenti di letture destinate a un pubblico di età scolare e aventi come tema proprio la storia delle repressioni viste con occhi di bambini. Sono strumenti interessanti, tanto più che oggi dai manuali di storia esce un’aria di patriottismo spinto che tende a legittimare il periodo sovietico ignorandone gli aspetti repressivi.
La politica punitiva del Partito comunista – si legge nella nota introduttiva – ha trasformato milioni di bambini in orfani mentre i loro genitori erano ancora in vita: intere famiglie distrutte, figli strappati ai genitori e finiti in istituti dove subivano angherie, o diventavano piccoli vagabondi dediti al furto e alla violenza.

Anche in Italia qualche anno fa è stato pubblicato uno di questi libri, Il diario di Nina. Figlia del rivoluzionario Sergej Rybin, la piccola Nina ha molto a cuore il suo diario, finché nel gennaio 1937 viene arrestata assieme alla madre e alle sorelle. Tutte saranno condannate a 5 anni di lager, mentre il capofamiglia, che già si trova in esilio, verrà fucilato. Ed è anche a causa del diario di Nina che la famiglia subisce quel tragico destino: in quelle pagine infatti, con la semplicità dei suoi 13 anni, la ragazzina sogna di vendicarsi un giorno contro Stalin che l’ha privata del padre.

Allo stesso modo, ne La bambina di zucchero non v’è quasi nulla di inventato dall’autrice, Ol’ga Gromova, che ha raccolto i ricordi della sua conoscente Stella Nudol’skaja, l’eroina del racconto. Quando Stella ha 5 anni, suo padre finisce nelle repressioni staliniane, e lei e la madre vengono allontanate dalla capitale. Da Mosca le due donne sono deportate in Kirghizia, in un campo per «familiari di traditori della patria» ed «elementi socialmente pericolosi». Sono proprio alcuni kirghizi, con cui gli esiliati si ritrovano a leggere poesie e racconti, a dare a Stella il soprannome di «bambina di zucchero».
In esilio patiscono freddo e fame, dolore e umiliazione, ma non disperano: «La schiavitù è uno stato d’animo – spiega la mamma alla bambina, – non si può rendere schiava una persona libera». La madre insegna alla figlia a sopravvivere alle disgrazie e al dolore, a non umiliare mai i più deboli, nella certezza che le persone buone a questo mondo sono in maggioranza.

Perché una notte il papà è partito, e dopo qualche giorno sono scomparsi anche la mamma e il fratellino? – Si chiedono Šurka di 7 anni e sua sorella Tanja, più grande di lui, che improvvisamente si ritrovano soli nella Leningrado del 1937. «Se li è portati via il corvo», si sentono rispondere con un sussurro dai vicini, che li mandano via perché sui loro genitori pesa l’accusa di essere delle spie. I figli dei corvi, di Julija Jakovleva, richiama alla memoria del lettore il «corvo nero», il modello Ford clonato dai sovietici e usato dall’NKVD (la polizia politica) per gli arresti, che divenne il simbolo dell’epoca.

Evgenij El’čin con Il naso staliniano intende far percepire l’atmosfera di menzogna, paura, violenza in cui vissero milioni di persone nel recente passato sovietico. L’eroe è il piccolo Saša Zajčik, figlio di un eroe comunista, che ammira Stalin e sogna di diventare pioniere, con impazienza attende il momento in cui potrà portare il fazzoletto rosso al collo. Ma improvvisamente suo padre, ufficiale dell’NKVD, viene arrestato, e Saša da pupillo degli insegnanti si trasforma in figlio di un nemico del popolo. Si aggrappa alla sua fede nel comunismo, continua a sperare che tutto tornerà come prima ma alla fine, come tantissimi ragazzini sovietici, si troverà ad essere un rinnegato, il cui volto sulla foto di classe sarà coperto con una macchia di inchiostro.

La bambina davanti alla porta è il libro autobiografico di Mar’jana Kozyreva, basato sui ricordi dell’autrice. L’eroina del racconto, Vit’ka, ha 5 anni quando finisce prima da una vicina e poi dai parenti i quali le spiegano che i suoi genitori sono dovuti partire «per un viaggio di lavoro che sarà molto lungo». Tornata la madre dal confino, con Vit’ka raggiunge il marito, anch’egli al confino. I ricordi della ragazzina ci riportano in una società dove si rinnega Dio, dove i figli denunciano i genitori per comportamento antisovietico, dove bisogna imparare in fretta quel che è buono e quel che è cattivo.

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