
Le pazzie del mondo e il seme da preservare di Guareschi

Caro direttore, in questi giorni mi è tornato in mente un dialogo tra don Camillo ed il vero protagonista dei racconti di Giovannino Guareschi e cioè il Cristo crocifisso (“Don Camillo e don Chichì”, in Tutto don Camillo. Mondo piccolo, II, BUR, Milano, 2008, pp. 3114-3115).
Spalancando le braccia, don Camillo Gli pone questa domanda: «Signore, cos’è questo vento di pazzia?». E poi ripropone ciò che oggi molti si chiedono. «Non è forse che il cerchio sta per chiudersi e il mondo corre verso la sua rapida autodistruzione?». Cos’è questo vento di pazzia? La stessa parola, pazzia appunto, che usò il grande G. K. Chesterton a proposito degli spropositi indotti dalla cultura sedicente moderna (caro direttore, prima o poi ti scriverò una lettera per sottolineare l’analogia tra l’irruente prete di Guareschi e l’arguto prete, Padre Brown, di Chesterton).
In effetti, oggi siamo invasi da molte pazzie, come le definirebbe un qualsiasi impiegato di Milano o un comune operaio di Genova o una simpatica vecchietta napoletana (peccato che non abbiano spazio per parlare). C’è uno strano vento che fa girare le cose più stravaganti. Ne elenco solo alcune, tanto per dare l’idea. Un noto psicologo milanese viene sottoposto a processo disciplinare dal suo ordine professionale per avere detto, in una trasmissione televisiva, che la crescita armoniosa di un bambino necessita della presenza di una mamma e di un papà: frase ovvia da quando l’uomo esiste sulla terra, ma resa “trasgressiva” dalla pazzia di oggi. Da sempre si sa che nasciamo uomo o donna: ogni ginecologo ed ogni ostetrica lo dice con gioia appena un piccolo essere umano esce dall’utero della mamma (oggi questa sorpresa è minore per via della tecnologia) e lo dice correttamente perché constata i dati della realtà biologica; ma la pazzia di oggi ci dice, senza vergognarsene, che solo più tardi ciascuno potrà dire se è uomo o donna (il pazzo, infatti, non si vergogna di dire di essere Napoleone, ma tutti sappiamo che è pura pazzia).
L’aborto è sempre stato considerato, comunque, un aspetto negativo della nostra vita sociale, tanto che anche chi lo ha reso possibile con una legge, lo ha sempre fatto in relazione a casi particolari: la pazzia di oggi, invece, giunge a sostenere che quello all’aborto è un “diritto” della donna, tanto che il governatore dello Stato di New York è arrivato a farlo ammettere fino al nono mese di gravidanza, cioè fino a pochi secondi dalla nascita, trasformando così l’aborto, già di per sé orribile, in un vero e proprio infanticidio (per questo tipo di pazzia ci vorrebbe il manicomio criminale).
C’è anche chi afferma che occorre liberalizzare alcune droghe ed altri sostengono che sarebbe bene liberalizzarle tutte, in contrasto con ogni buon senso. C’è chi vorrebbe rendere possibile la pratica dell’utero in affitto, segno non solo di pazzia, ma anche di tendente schiavismo.
Con gli esempi si potrebbero scrivere alcuni volumi, il che non è possibile nello spazio di una semplice lettera. Molti dicono che contro questa pazzia non c’è più nulla da fare e che, pertanto, occorre rassegnarsi. Il mio spirito di militante gratuito, che ha imparato che occorre donare la vita per affermare la verità, si ribella a questo spirito di rassegnazione e, con tanti amici, cerca di affermare e testimoniare comunque ciò che il cristianesimo ci ha insegnato.
Ma è lo stesso Guareschi, nella seconda parte del dialogo a cui ho accennato all’inizio, che ci propone la giusta reazione a questa situazione pazzesca. Don Camillo, insistendo nella sua posizione “pessimistica” dice a Gesù: «L’uomo, mi pare, sta distruggendo tutto il suo patrimonio spirituale. L’unica vera ricchezza che in migliaia di secoli aveva accumulato. Signore, cosa possiamo fare noi?». E Cristo, con il sorriso di chi sa che comunque le tenebre non prevarranno, risponde che dobbiamo fare «ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi: bisogna salvare il seme. Quando il fiume sarà rientrato nel suo alveo, la terra riemergerà e il sole l’asciugherà. Se il contadino avrà salvato il seme, potrà gettarlo sulla terra resa ancor più fertile dal limo del fiume, e il seme fruttificherà, e le spighe turgide e dorate daranno agli uomini pane, vita e speranza. Bisogna salvare il seme: la fede. Don Camillo, bisogna aiutare chi possiede ancora la fede e mantenerla intatta. Il deserto spirituale si estende ogni giorno di più, ogni giorno nuove anime inaridiscono perché abbandonate dalla fede…».
Caro direttore, mi pare che queste parole che Guareschi mette in bocca a Gesù e che mi sembrano molto vere e commoventi diano a tutti i cristiani una grande responsabilità: quella di mantenere la fede, che sappia resistere al vento delle follie odierne. È una grande responsabilità delle guide delle comunità cristiane, che mi sembrano spesso più preoccupate di indicarci impegni morali che confermarci nella fede, senza la quale ogni impegno si inaridisce. È una grande responsabilità di noi laici, che troppo spesso ci lasciamo prendere da una sconfortata indifferenza, piuttosto che vivere la nostra fede secondo la totalità delle dimensioni della cultura, della carità e della missione. Tutte e tre queste dimensioni sono indispensabili, ma ciascuna di esse da sola non basta. Noi laici dobbiamo aiutarci a mantenere la fede, stando attenti a non lasciarci intorpidire da una forma di ignavia, che si consola con un vuoto “spiritualismo”.
Il contadino di Guareschi mostra molto coraggio quando salva il seme, con rischio della vita e delle proprie sostanze, di fronte alle alluvioni, che Guareschi conosceva molto bene. Salvare la fede comporta la stessa fatica; una fatica che i cristiani vivono insieme e aiutandosi, perché Gesù stesso li ha messi insieme. Non dobbiamo avere vergogna di vivere insieme la nostra fede. Anche per affermare e testimoniare, per il bene di tutti i nostri fratelli uomini, la sanità mentale con la quale siamo stati creati e non le attuali pazzie, che distruggono la trama del nostro tessuto sociale ed ecclesiale.
Peppino Zola via email
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