L’arrocco di Giorgia Meloni
Da che mondo è mondo, in politica chi sta all’opposizione ha un unico obiettivo: mandare a casa chi governa e prendere il suo posto. È la logica dell’alternanza cosiddetta, oggi governi tu domani tocca a me, e viceversa. Che poi l’avvicendamento avvenga con le buone, ossia tramite le elezioni, o con le cattive, mediante un cambio degli assetti parlamentari, al limite poco cambia. Anche per questo stupisce non poco – e lo dice uno che da sempre vota centrodestra – l’atteggiamento tenuto sino ad ora in particolare da Fratelli d’Italia in quella che giustamente è stata definita la crisi di governo più pazza del mondo. Atteggiamento, ma sarebbe meglio dire arrocco, espresso anche sabato scorso dalla leader Giorgia Meloni in un’intervista al Corsera, dove ha ribadito che la crisi si può risolvere solo con il voto.
La domanda è tanto semplice quanto scontata: com’è possibile che una come la Meloni, che non è certo una novizia della politica, non si renda conto che invocare ogni due per tre il voto è il modo migliore per restare all’opposizione, posto che lo sanno pure i muri che nessuno vuole andare al voto dal momento che l’unico partito (insieme alla Lega, anche se in misura minore), a beneficiare delle elezioni sarebbe Fratelli d’Italia? Prevengo l’obiezione: ma è proprio perché mi conviene che spingo per andare alle urne! Ma anche così non regge. Anzi non regge affatto. Insomma, mandare a casa Conte e l’attuale maggioranza è o non è l’obiettivo di FdI? E se lo è tu che fai, anziché spingere per una soluzione diversa – la si chiami come la si vuole, governo delle larghe intese, istituzionale, di scopo e chi più ne ha più ne metta – ossia una soluzione che ti consentirebbe di sederti al tavolo – ovviamente a quel punto con un nuovo premier essendo la maggioranza diversa – e gestire tutti i dossier che sappiamo, ti arrocchi nella richiesta del voto che equivale ad autocondannarsi a restare all’opposizione e non toccare palla? No, dico, dov’è la logica?
In politica, come nella vita in generale, vale il detto «primum vivere, deinde philosophari»; prima viene la realtà, poi vengono gli ideali e la coerenza e le schiene dritte. E dire realtà vuol dire, ripeto, che se c’è anche una sola possibilità di entrare in una maggioranza allargata, che vorrebbe dire mandare a casa Conte (ciò che resta l’obiettivo, giusto?) e gestire insieme ad altri il Recovery plan, il piano vaccinazioni, l’elezione del prossimo inquilino del Quirinale, la presidenza italiana del G20 e al co-presidenza del Cop26, eccetera eccetera eccetera, è proprio per senso di responsabilità nei confronti dei cittadini, delle famiglie e delle imprese di questo paese che sta soffrendo, che dovresti starci. Anche a costo di turarsi il naso? Sì, anche a costo di turarsi il naso e sporcarsi le manine.
Così funziona il giocattolo, o non funziona. Poi certo, nel migliore dei mondi possibili ci sta che il presidente della Repubblica sciolga le camere e si vada al voto. Ma oltre al migliore dei mondi possibili esiste il migliore dei mondi fattibili. Dove intanto non è anormale ma anzi assolutamente scontato oltre che legittimo che si verifichi se c’è o la stessa o un’altra maggioranza, posto che siamo una democrazia parlamentare; secondo, e cosa più importante, più delle dinamiche interne al centrodestra e delle strategie, legittime per carità ma forse inopportune in questa fase, di posizionamento e di marcamento del territorio, conta il bene degli italiani e ciò che serve per far uscire il paese dalle secche in cui è stato condotto. Solo questo conta. Tutto il resto viene dopo, molto dopo.
È dunque oltremodo miope questo ripetere come un mantra “al voto, al voto” da parte di FdI, e che sembra dettato forse più dalla volontà di marcare una distanza dagli alleati che da una analisi realistica della situazione. Tanto più che oltre al danno potrebbe arrivare anche la beffa: se il prossimo governo riuscirà a gestire in modo non dico ottimale, ma almeno decente tutte le sfide sul tappeto, a chi pensano gli strateghi di FdI gli italiani daranno il voto tra due anni? Ai duri e puri che saranno rimasti all’opposizione o a chi magari sarà riuscito a rendergli la vita un po’ meno gravosa e un po’ più serena? In tempo di pace è giusto e meritorio che si tenga la barra delle proprie idee e convinzioni ben dritta. Ma oggi siamo in guerra; e in guerra serve altro, serve che ognuno metta da parte il proprio tornaconto e guardi al bene del paese, se necessario scendendo a compromessi per salvare il salvabile. Come diceva De Gasperi, la differenza tra uno statista e un politico è che il primo pensa alle generazioni future, il secondo alle prossime elezioni. A voi scegliere.
Foto Ansa
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