La vita squilibrata di san Francesco e Giussani

Di Annalisa Teggi
02 Ottobre 2024
Il fraticello di Assisi e il prete di Desio erano accomunati da una fretta che nasceva dal desiderio di comunicare Dio

«Liberi e lieti. Fede e fraternità in san Francesco e don Giussani» di Annalisa Teggi è il libro che inaugura la collana dei Francescani anonimi delle edizioni Frate Indovino, una serie di testi pensata per documentare la presenza viva della voce francescana nell’esperienza di figure di spicco della cristianità moderna e contemporanea. Il brano che segue è tratto dal capitolo “Afferrati da Cristo”.

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Il cuore inquieto non è stressato, non è neppure irrequieto e ansioso. Quando sant’Agostino parlò del cor inquietum nel celeberrimo passo delle Confessioni, lo legò grammaticalmente al verbo requiescat che è presente anche nella preghiera dell’Eterno riposo. Il cuore inquieto è proteso a una pace eterna che, nell’arco della vita terrena, lo accelera per forza di attrazione.

Finché siamo sulla terra non c’è requie, ma si può essere in pace correndo?

Uno dei primi episodi che G. K. Chesterton commenta nella sua biografia su san Francesco è un fatto antecedente alla conversione. Un mendicante si era presentato a chiedere l’elemosina nel negozio paterno dove Francesco lavorava. Da lui era stato cacciato in malo modo, poi ci fu un ripensamento. Nell’istantanea successiva c’è da immaginare il benestante Francesco che esce di fretta dal negozio e si precipita a rincorrere il mendicante in mezzo al mercato, lo raggiunge e gli dona molto di più di quello che aveva chiesto. Chesterton vede in questa scena la carta d’identità di san Francesco: «Ma in questa storia del giovane vistosamente abbigliato che si precipita alla ricerca di un accattone vestito di stracci si rivelano degli aspetti della sua personalità che devono essere compresi tutti, dal primo all’ultimo. C’è, ad esempio, la tendenza alla rapidità. In un certo senso, ha continuato a correre per tutta la vita, come era corso appresso al mendicante».

Prima del manifestarsi di una chiarezza di vocazione c’è nel dna di Francesco una tendenza, una propensione che segnala un’urgenza da cui deriva uno sbilanciamento in avanti. […]

Animi accaldati

Nel linguaggio comune si dà un’accezione negativa agli squilibrati. Ma le anime sensibili hanno antenne formidabili per comprendere la lingua del Creato che, anche nei segni minimi, parla sempre a oltranza. Annuncia un oltre, «perché tutte le immagini portano scritto: / “più in là”!» ci ha insegnato Eugenio Montale. È rispetto a quest’invito scritto in un tramonto, nella sinfonia delle onde e in una goccia di pioggia che essere equilibrati non è una virtù, ma un gran peccato. Nell’impatto con le cose viventi l’equilibrio salta, vincendo una tranquillità che è tutt’uno con l’indifferenza.

Scrive Herman Hesse su Francesco: «Al suo animo impetuoso e infuocato non era possibile risparmiare e rispettare la giusta misura, e anzi, per tutta la vita egli partecipò a qualunque cosa facesse con il cuore traboccante di entusiasmo senza conoscere né requie né soddisfazione». E ancora: «Il suo animo accaldato non si sapeva accontentare delle vie di mezzo e delle soddisfazioni incomplete». Le ultime due citazioni potrebbero essere riferite a don Giussani senza cambiare una virgola. […]

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Fretta e rapidità

Con un effetto cinematografico di dissolvenze sovrapposte possiamo spostare la scena dal mercato di Assisi in cui Francesco insegue il mendicante all’Italia degli anni ’50 in cui il giovane prete di Desio comincia a insegnare religione nelle scuole. Come in una staffetta il testimone passa da un atleta all’altro senza che il ritmo di gara rallenti.

Giussani entrò al Liceo Berchet di Milano con passo spedito, tra gli studenti che se lo videro piombare in classe c’era Peppino Zola che lo ricorda così: «È entrato in classe con l’abito svolazzante, quasi di corsa, sembrava non voler perdere un istante». Senza saperlo, Zola e i suoi compagni erano anime mendicanti verso cui si precipitava uno che voleva dar loro un tesoro molto più grande di ciò che immaginavano nei loro sogni migliori.

La fretta contemporanea è l’opposto della rapidità descritta finora. La nostra frenesia da mosche ronzanti è un’agitazione irrazionale, una pressione ci spinge da dietro a fare, andare, accelerare. Ci hanno venduto bene la bugia che il progresso è andare avanti.

E, allora, sbrigati. Ma per andare a sbattere dove?

Correndo a passo spedito e per puro istinto di sovreccitazione ansiogena, l’uomo precipita nell’angoscia nera di chi non ha una meta. Non requiescat affatto, non trova pace se non nei sedativi.

E non basta neppure una meta se, raggiuntala, non c’è qualcuno da incontrare.

«Agendo sempre in conformità a Cristo e a rovescio del mondo», scrive padre Agostino Gemelli a proposito della libertà spirituale di san Francesco e lo fa in un libro che Giussani ricorda di aver letto con attenzione. […]

Che sia il mercato di Assisi o i corridoi del Berchet, si mostra in azione qualcosa che non è l’impulso centrifugo della fuga, ma il vigore centripeto di una Presenza che attrae.

È la medesima forza per cui un pezzo di ferro non può non spingersi verso la calamita fino ad attaccarsi. L’attrazione che innesca la corsa è Cristo, da Lui promana una fonte di energia nuova, e addirittura rinnovabile. Porta in dote la risorsa di un rilancio, di mille ripartenze dentro la stanchezza che fiacca l’andatura terrena.

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Luigi Giussani
Don Luigi Giussani con alcuni studenti nel settembre 1956 durante la gita della quinta ginnasio del liceo Berchet al faro di Portofino (Ansa)

Inesausto riprendere

È il maggio del 1949, devono ancora arrivare gli anni intensi in cui il movimento di CL catapulterà don Giussani in una vera corsa di sostegno e compagnia a quelli che Dio gli ha affidato ai quattro angoli del mondo. Eppure, già in quel maggio di convalescenza a Varigotti per i suoi problemi polmonari, Giussani scrive alla sorella Brunilde un’indicazione di viaggio rimasta vera: «Il valore del nostro cuore non sta nel non sbagliare o nel compiere tutto bene, ma nel saper riprendere sempre, la instancabilità, […] perché l’unica cosa che faremo nella vita è proprio l’inesausto riprendere […] la corsa verso di Lui».

C’è Lui sotto le sembianze del mendicante inseguito da Francesco ed è il tesoro nascosto in ogni scampolo di vissuto. Dare il volto di Gesù alla meta della nostra inquietudine non toglie il fiatone, ma sgombra il campo dallo spettro sterile dello stress, vero idolo contemporaneo su cui specula ogni forma di profitto commerciale. L’attrazione a Cristo orienta l’ago della bussola di chi corre anche quando l’orizzonte si fa scuro, il piede non rallenta dentro le turbolenze della storia o dentro le battaglie intime di ciascuno.

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