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La sinistra conosce solo un modo per vincere. È il “metodo Palamara”

Nel caso Open Arms Matteo Salvini è mandato a processo per un sequestro di persona durato sei giorni. Con la Ocean Viking il governo Conte ha fatto la stessa cosa ma per undici giorni (sapete, c’erano le elezioni in Umbria)

Emanuele Boffi
10/08/2020 - 18:35
Magazine
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Salvini in Senato per il voto sul processo Open Arms

Articolo tratto dal numero di agosto 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

Non occorre essere leghisti o sovranisti per capire che quello contro Matteo Salvini, di cui è stata votata in parlamento l’autorizzazione a procedere per il caso Open Arms, è un processo politico. Non occorre – come nel nostro caso – essere amici di Salvini o suoi sostenitori per rendersi conto che contro di lui c’è un lampante, evidente, solare tentativo di limitarne e ingabbiarne l’azione politica per via giudiziaria.

Scriviamo queste cose sebbene della Lega e del suo leader ci piacciano ben poche cose (una delle poche era il federalismo, ormai abbandonato). Non ci entusiasmiamo quando bacia il rosario in piazza, quando chiede di “far marcire in galera” qualcuno, non esultiamo per una certa rozzezza con cui traduce importanti questioni antropologiche, soprattutto non gli perdoniamo, dopo aver fatto campagna elettorale con il centrodestra, di aver fatto nascere il governo gialloverde e poi, dopo averlo tirato giù nella famosa estate del Papeete, di aver provato in extremis a riconsegnarlo nelle mani di Luigi Di Maio.

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Contro di lui è stata fatta una porcata, c’è poco da girarci intorno. Per decisioni collegiali prese all’interno del Consiglio dei ministri, condivise dal presidente Conte, rivendicate davanti alle telecamere dall’allora ministro Toninelli, persino, come nel precedente caso della nave Diciotti, messe nero su bianco in memorie difensive, è mandato a processo solo il leader leghista.

«C’è qualcosa che non torna», ha detto in Senato l’avvocato Giulia Bongiorno. In effetti qualcosa non torna se una nave di una Ong spagnola a inizio agosto si reca in acque libiche e maltesi per recuperare dei migranti, passa una quindicina di giorni a fare richieste di soccorso al governo de La Valletta e di Madrid che rifiutano prima, tergiversano poi, offrono infine al comandante di approdare in un porto iberico e questi, non per una, non per due, non per tre, ma per ben quattro volte si rifiuta. Quindi quello stesso comandante che era andato a prendere i migranti in acque territoriali nazionali, non internazionali, li aveva tenuti per due settimane a bordo lamentando che le loro condizioni sanitarie fossero compromesse, non fece sbarcare i naufraghi dove poteva, ma si diresse verso le coste italiane pretendendo che lì – e solo lì – essi trovassero rifugio.

C’è qualcosa che non torna se Salvini è mandato a processo per un sequestro di persona che si è concretizzato tra il 14 e il 20 agosto, cioè per sei giorni, mentre nulla accadde per i ministri del Conte due che, ottobre 2019, lasciarono in mare per undici giorni la nave Ocean Viking perché c’erano le elezioni in Umbria e loro non erano così stupidi da non saper fare due conti. Sapevano che l’arrivo di clandestini avrebbe influenzato l’esito del voto (erano i giorni in cui Di Maio dichiarava: «Non è possibile che la Viking per l’ennesima volta sbarchi sempre e solo in Italia»). Quindi: il naufragio è tale solo se non si vota in Umbria?

Ecco, appunto. Sei giorni sono meno di undici, ma a processo ci va Salvini. In Lombardia si contesta al governatore Attilio Fontana una pasticciata fornitura di camici da 500 mila euro, trasformata poi in donazione, ma nessuno fiata sull’errore del presidente del Lazio Nicola Zingaretti che ha versato 13 milioni di anticipo per materiale sanitario (mai arrivato) a un’azienda specializzata nella vendita di lampadine a Led. Cinquecentomila euro sono meno di 13 milioni, ma alla gogna ci va Fontana. Pensose articolesse e allarmi democratici furono lanciati quando Salvini chiese improvvidamente “pieni poteri”, ma ora che Conte ha prolungato lo stato di emergenza senza che ci sia l’emergenza, avete visto voi la medesima agitazione tra i nostri opinionisti e costituzionalisti?

È la solita vecchia storia della sinistra che, non riuscendo a battere i suoi avversari con il voto, confida nella via giudiziaria, nelle inchieste, nei processi. Va avanti così da trent’anni e tutte le volte, poi, sebbene la stessa sorte sia capitata a loro con Prodi (ricordate De Magistris? Ricordate Mastella? Ricordate l’inchiesta a Santa Maria Capua Vetere?), poi ci ricascano. È il “metodo Palamara”: «Sì, sui porti Salvini ha ragione, ma ora dobbiamo attaccarlo».

Foto Ansa

Tags: attilio fontanacaso palamaragiuseppe contegoverno conteimmigrazionelombardialuca palamaraMatteo SalviniMigrantiNicola Zingarettiopen armstempi agosto 2020
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