
La sepoltura per i feti abortiti pone rimedio a una rimozione che dura dagli anni Settanta
Le buone notizie vanno onorate. Ci aiutano a sperare, riaccendono una luce che ogni tanto sembra soffocare. Onore dunque al regolamento approvato all’unanimità dalla Regione Lombardia, che stabilisce che i bambini che non hanno potuto, o cui non è stato consentito di nascere, vengano seppelliti, e non buttati nella spazzatura, come accadeva fino a ieri (tranne in qualche struttura, per iniziativa personale di medici e dirigenti, come all’Ospedale Mangiagalli di Milano). Una decisione umana, che rende più umano il mondo attorno a noi, e noi stessi. Perché la barbarie è contagiosa, lasciarla imperversare senza far nulla ci imbarbarisce, senza che ce ne accorgiamo.
La decisione della Lombardia è un atto di pìetas, che ripara al cinismo precedente, e propone un atteggiamento psicologico e affettivo più rispettoso della vita. Ma è anche altro. Con la sua comparsa, infatti, questa norma offre un contributo solido alla ricostituzione di un ordine simbolico capace di farsi carico della vita umana fin dal suo inizio, il concepimento. Questo ordine è un sistema di riferimento indispensabile alla vita dell’essere umano, che in quanto dotato di coscienza e di razionalità non procede solo sulla base di automatismi istintivi, come gli animali, ma ha bisogno di simboli che orientino le sue azioni e organizzino e contengano i suoi istinti e le sue pulsioni. L’ordine simbolico della vita (e della morte) è stato devastato, in tutto l’Occidente, e in Italia, dalla veloce superficialità con cui sono state realizzate, negli anni Settanta, le leggi di liberalizzazione dell’aborto. L’assenza di norme dispositive circa il destino dei corpi dei bimbi morti è infatti la perfetta rappresentazione di un rimosso collettivo: ora che abbiamo autorizzato l’uccisione, che ne facciamo dei corpi? Il corpo del bimbo (che rappresentava anche ciò che prima era il corpo del reato) veniva ora rimosso, per non porsi di fronte, non parlare di un omicidio, autorizzato dalla legge.
Questa rimozione collettiva ha avuto conseguenze devastanti, che ancora non conosciamo se non in modo approssimato. I medici, certo, sanno che a volte le madri tornano, a chiedere dove si trova quel bimbo, che non avevano lasciato nascere. Ma ignoriamo, ad esempio, cosa esattamente produca nell’inconscio collettivo il sadismo di massa, perpetrato ogni giorno nei confronti dei bambini uccisi. D’ora in avanti, invece, questa norma non consentirà più la stessa rimozione. Ai genitori verrà chiesto se desiderano il funerale per questo bimbo mai nato. Se non lo chiedono, gli ospedali provvederanno alla sepoltura. Il rimosso è stato tolto. Ora, la vicenda di questi bambini non è più imprigionata all’interno di coscienze individuali turbate, ma rientra, con un momento rituale previsto dalla legge, nella coscienza collettiva della comunità. Questi bimbi non ci vengono più sottratti dal gesto veloce, automatico, di un’inserviente, ma sono restituiti alla nostra responsabilità, personale e collettiva. Solo da adesso, possiamo cambiare.
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