La seconda vita di “Giustizia”, l’opera definitiva di Friedrich Dürrenmatt
Friedrich Dürrenmatt si è fatto conoscere come popolare scrittore di noir. Eppure, nella sua ampia bibliografia – più di racconti e opere teatrali che di romanzi – il genere poliziesco viene sempre perennemente ribaltato. Espediente piacevole per i lettori dal palato fine, benché le parole che scorrono sulle pagine siano adatte soltanto a una rigida selezione di duri di stomaco. Perché disillusione, cinismo, lucida definizione del caos dell’esistenza sono sciorinate con la stessa consequenzialità di una tesi scientifica, con risultati di una tristezza tanto nauseante quanto convincente.
Dell’autore svizzero morto nel 1990 è stata pubblicata l’intera opera. Ma i milanesi di Adelphi hanno deciso di ristampare, 7 anni dopo i cugini della casa Marcos y Marcos, Giustizia, il romanzo di una vita (Adelphi, Milano, 2011, p. 211, 18 euro). Iniziato negli anni ’50, l’opera accompagna l’autore fino all’84, sul finire dei suoi settant’anni. E ne traduce, a più riprese, le sue riflessioni sulle istituzioni umane, sulle pretese giustizialiste di un sistema – quello elvetico – incapace di raggiungere la verità. Ma non è un problema politico, bensì antropologico. Un’inefficienza costitutiva, non accidentale, dell’essere umano.
La storia vede al centro Isaak Kohler, ricco ex-consigliere cantonale, che uccide a sangue freddo, in un locale stracolmo di gente, il professor Winter. L’evento paradossale è la completa, assoluta mancanza di motivazione. Kohler non accampa scuse, né cerca alibi. Va in carcere, diventa un detenuto modello e avanza a Spat, avvocato in perenne bolletta, la richiesta di «riesaminare il caso partendo dall’ipotesi che l’omicida non sia lui». Una sfida irragionevole, ma che si rivelerà vincente. Suo malgrado, Spat consegnerà una serie di prove atte a scagionare il colpevole attentatore. E il giovane avvocato morirà di alcol e di rimorsi. Il suo taccuino di appunti verrà ripreso da un anonimo narratore, che a sua volta scoprirà l’inedita verità che sta dietro le mosse di Kohler.
Dürrenmatt si dimostra un autore attento alle ambientazioni – la Svizzera, tronfia della sua snobistica neutralità e del proprio passato calvinista, cupa nel suo terribile inverno – e alle psicologie dei personaggi – come quella di Spat, nel perenne contrasto tra voglia di rivalsa, donne, alcol e desiderio di fare giustizia. Giustizia: un titolo che vuole dire l’esatto contrario di se stesso. Perché, come fa notare Dürrenmatt, non è data giustizia umana se il mondo è governato dal caso. E i tentativi terreni di darsi un ordine sfociano in un’ultima, triviale violenza.
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