La santificazione del lavoro e quei testimoni che ce la insegnano
Siamo in missione per conto di Dio. L’ingegnere che invece di fare l’ingegnere ha fatto per quarant’anni il portavoce dell’Opus Dei, non scherza coi titoli. Si chiami anche Mondadori l’editore, il nostro blues brother sfida la mondanità facendosi autore di profili plasmati dall’Autore di tutte le cose. A cominciare da Corigliano. Non già mistico allo «stato selvaggio», come dice Claudel di Rimbaud. Ma mistico del « quotidiano». La tecnica narrativa è «quella di raccontare i fatti propri mescolandoli ai fatti degli altri».
Suddiviso in tre parti, il libro è una carrellata di varia umanità. Tesa a «santificare il lavoro», a «santificarsi nel lavoro», a «santificare gli altri col lavoro». Figure totali. Come Ettore Bernabei, che a quasi cent’anni non smette di fare quello che fece in un decennio da capo della Rai. Produzione televisiva e cinema di qualità. Accanto al famoso, c’è la sconosciuta Pina Cannas. Domestica sarda per cui il Cielo è in una camomilla ben fatta. Di opere grandiose, come il centro per la formazione professionale (e «per la solidarietà sociale») Elis di Roma, Corigliano descrive fascinosamente le pietre: nomi e storie di uomini comuni che con fede, dedizione e sacrificio hanno fatto l’impresa.
Infine, quando hai scorso le 133 pagine del libro, vivacità, letizia e allegria ti saltano e ti restano addosso. E si resta impregnati non dalla frescura di “celebrità”. Ma dal calore di “personalità”. In effetti, il cristianesimo esiste solo come personalità. Così, se i ritratti di Corigliano richiamano continuamente il «voi non siete fatti altro che d’amore» di Caterina da Siena, definitive per capire cos’è il cristianesimo, sono le ultime parole che il 31 marzo 1975 Corigliano ascoltò da santo Escrivá: «La peggior cosa che ci possa capitare è che non si notasse che ci vogliamo bene».
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