La mamma italiana è la migliore del mondo? Chiedetelo a papà pinguino

Di Emanuele Boffi
18 Febbraio 2012
Impazzano le classifiche sulle mamme. E spopolano in libreria manuali su come allevare figli. Madri tigri, chiocce, agnello. C'è pure il papà pinguino. Scampagnata semiseria tra manuali e forum internet che promettono metodi efficaci per avere figli di successo (o, almeno, non drogati). Ma dove non si lascia mai uno spiraglio per un'educazione che non sia solo addestramento.

Per il Wall Street Journal «le mamme italiane sono le migliori». Lo ha scritto Joe Queenan nell’edizione del quotidiano dell’altro ieri (Why Italian Moms Are te Best), riprendendo un dibattito che va per la maggiore in questo periodo in America, soprattutto dopo il successo del libro di Amy Chua, professoressa di legge a Yale, che nel gennaio 2010 pubblicò Il ruggito della Mamma Tigre, cercando di dimostrare che la rigida educazione cinese è superiore al lassismo sentimentale statunitense. Da allora a oggi è stato un profluvio di titoli con a tema l’educazione (o meglio, l’allevamento) del pupo. E come racconta lo stesso Queenan, nei prossimi mesi andranno in stampa titoli quali Incredibili Incas: perché le mamme migliori del mondo vengono da La PazLe matriarche dello Yurt Supermamme delle Fiji. 
Per la cronaca, secondo Queenan la mamma italo-americana è la migliore perché è calorosa ed espansiva ed è la più brava a preparare i manicotti.

Pubblichiamo di seguito l’articolo “Mia mamma è una tigre”, apparso sul numero 21/2011 di Tempi a firma di Emanuele Boffi.

Più che una famiglia è uno zoo. Scampagnata semiseria tra manuali e forum internet che promettono metodi efficaci per avere figli di successo (o, almeno, non drogati). E dove madri chioccia e papà pinguini si pettinano i pensieri davanti allo specchio del proprio ego

Sarà stata solo la sbadataggine di un commesso, o forse una pur comprensibile difficoltà a catalogare il genere, certo è che l’aver trovato nella sezione “Infanzia” di una grande libreria milanese Le cazzate che dice mio padre (era lì, tra un Fate la nanna e Di materno avevo solo il latte), rende bene l’idea di quale sia il probabile esito di un’educazione affidata ai manuali. Fate caso: non esiste ormai negozio di libri che non abbia la sua sezione dedicata alla crescita dei figli. File e pile di volumi che aiutano, danno consigli, indirizzano lo smarrito genitore su come crescere, allevare e soddisfare l’alieno, l’intruso, il tizio che s’aggira per casa su quattro zampe. L’ingombro che tali tomi coprono sugli scaffali è direttamente proporzionale al numero di crucci che possono fare capolino nella testa del genitore (il tizio che s’aggira per casa su due zampe). Soprattutto, come ogni bambino ha il suo manuale di riferimento così ogni babbo e ogni mamma ha il volume adatto a interpretare il suo stato d’animo di partenza. Il tipo scientifico potrà affidarsi a Da zero a tre anni di Piero Angela, sorta di superquark su cosa si muove nei neuroni del marmocchio. Il tipo apprensivo potrà fare affidamento su Crescere un bambino sicuro di sé; quello responsabile su Come allevare un bambino felice. E farne un adulto maturo; quello vecchia maniera (ma va bene anche per il permissivo in crisi) farà bene a sfogliare qualche pagina di I no che aiutano a crescere. Avete qualche senso di colpa? Esiste Le madri non sbagliano mai. Volete portarvi avanti? C’è Il sesso raccontato a mia figlia. Anche qui, sarà sempre stato per colpa del suddetto commesso sbadato, ma forse era per prevenire le prime delusioni amorose dei vostri pargoli che, solo qualche volume più in là, si trovava Perché gli uomini sono stronzi e le donne rompicoglioni.

Medaglia, a patto che sia d’oro
Ad ogni modo, se volete avere un argomento di discussione sui migliaia di forum internet che si occupano di figli dovete acquistare il recente Il ruggito della mamma tigre, fatica autobiografica di una professoressa cino-statunitense, Amy Chua. La signora, mamma di Sophia e Lulu, docente di legge a Yale, ha raccontato la sua storia per rispondere a una semplice domanda: perché i bambini cinesi sono superiori (cioè più «stereotipicamente di successo») di quelli americani? La ragione è altrettanto elementare: «I genitori occidentali cercano di rispettare l’individualità dei propri figli, li incoraggiano a seguire le passioni, sostengono le loro scelte. Invece le mamme cinesi credono che il modo migliore di proteggere i propri bambini sia prepararli al futuro, armandoli di abilità, conoscenze e sicurezza che nessuno potrà portargli via».

Ergo, tutto il problema è di disciplina e l’elenco di “che cosa si deve fare per”, la mamma tigre lo mette in chiaro alla pagina 1 del manuale: «Alle mie figlie Sophia e Louisa non è mai stato permesso di: andare a dormire dalle amiche, andare a giocare dalle amiche, partecipare alla recita scolastica, lamentarsi di non poter partecipare a una recita scolastica, guardare la televisione o giocare ai videogiochi, scegliere le attività extrascolastiche, prendere un voto inferiore a 10, non essere la migliore in ogni materia tranne educazione fisica e recitazione, suonare uno strumento che non fosse il pianoforte o il violino, non suonare il pianoforte o il violino». E, per chi non avesse afferrato il concetto, a margine del decalogo Chua chiosa che è sbagliata la propensione degli statunitensi a incoraggiare i figli a fare sport perché «lo studio viene prima di tutto». Anche se, bontà sua, concede che si possano permettere ai ragazzi «quelle attività in cui possono aggiudicarsi una medaglia. A patto che tale medaglia sia d’oro».

Tenerezza, comprensione, indulgenza sono omogenizzati occidentali inadeguati in un mondo che chiede di masticare filo spinato e cotone idrofilo. Non conta quel che il figlio desidera, ma solo ciò che gli garantirà successo nella giungla della vita. Non è la libertà, ma la coercizione che porta ad eccellere. Quando il manuale uscì negli Stati Uniti divenne in breve tempo un caso editoriale, anche grazie al Wall Street Journal che ne titolò la recensione con un accattivante “Perché le madri cinesi sono superiori”. Nell’immaginario collettivo americano, ossessionato dal “sorpasso” cinese, l’opera della Chua ha messo il dito nella piaga. Come ha ammesso in un’intervista la stessa autrice «se il mio libro si fosse chiamato Il ruggito della madre irlandese, nessuno si sarebbe sentito messo in discussione». Ancora più curioso è il fatto che in Cina il libro sia stato editato con tutt’altro titolo (Fare il genitore secondo una professoressa di Yale: crescere i ragazzi in America) e le stesse parole siano state interpretate in senso inverso («una rivista cinese mi ha chiesto di dare alle proprie lettrici consigli su “come essere amica dei figli!»).

A mezzanotte una pizza ai peperoni
Sta di fatto che il libro, grazie anche a una prosa brillante e alla tesi controcorrente, ha germinato una serie infinita di dibattiti e, soprattutto, di altri genitori-chimera. È spuntata, ad esempio, la “mamma agnello”, quella che, secondo il professore Bryan Caplan, psicologo ed economista alla George Mason University, ha i numeri per non intimorirsi di fronte al ruggito della tigre. Ella non obbliga i cuccioli a impegnarsi in attività che non garbano loro, non vieta loro tv e computer, non si arrabbia oltremodo se essi pretendono una pizza ai peperoni a mezzanotte. La mamma agnello, in definitiva, non impone regole, ma «non regole». Anche se, siccome è donna di mondo, sa bene che li deve mettere al corrente di certi rischi quali «droghe, alcolici e sesso non protetto» (dal che si desume che non avremo in futuro molte nonne agnello).

Per fare la mamma tigre serve un fisico bestiale. Occorre applicazione, metodo e la convinzione che il fatto di essere odiati dai tigrotti sia un effetto collaterale temporaneo da pagare in nome della loro realizzazione. Non tutti sono disposti a pagare dazio. Non solo negli Usa, ma anche in Italia, patria delle “mamme chioccia”, il libro della Chua ha prodotto reazioni contrastanti. Ma, come nel caso di Caplan, l’esito è stato un ingarbugliarsi in proposte di modelli o manuali uguali e contrari, in un verboso girotondo attorno al metodo e alle regole, raramente e solo di sfuggita spendendo una parola su quali fossero le origini o le convinzioni che quel percorso suscitassero. Per questo, i forum dedicati alla mamma tigre sono animati da uno zoo di mamme pecora, mamme panda e mamme struzzo che, con gran fervore, dibattono su quale sia la specie migliore e più adatta per far irrobustire il pupo.

La mia madrina è Lady Gaga
Nei forum è possibile avvistare anche qualche raro esemplare di papà pinguino, in genere assai abbattuto che nella fattoria degli animali gli sia sempre riservato un ruolo di contorno. D’altronde, non è una novità. In questi tipi di simposi, il padre – per dirla ricalcando un celebre libro di Claudio Risè – risulta sempre assente. Non che non esista, ma, insomma, l’animale che meglio lo rappresenta è il pappagallo: buffo solo quando ripete. E anche quando il padre raddoppia – come nel caso di Elton John e del suo compagno David Furnish – non è che si segnali per particolari guizzi metodologici. A meno che qualcuno non si senta rassicurato dall’aver sentito pronunciare da Elton John la seguente dichiarazione sul figlio Zachary: «Non siamo due genitori insoliti e non siamo le uniche due persone coinvolte nella vita del bambino. C’è anche la sua madrina: Lady Gaga».

Il mondo è cambiato, c’è bisogno di nuovi punti di riferimento e di nuovi paletti. Mamma e papà 2.0 lo sanno e stanno al passo coi tempi. Ad esempio è quello che si propone un’associazione come Rete Genitori Rainbow che dà assistenza a scioglilingua esistenziali in cui lei ha lasciato lui per lei, o lui ha lasciato lei per lui. Community web con forum dedicati, help-line Skype in chat e voce, Facebook e altri social network aiuteranno, assieme a gruppi di auto-aiuto, a «superare l’omofobia interiorizzata e aiutare ad affrontare la separazione, l’affidamento e il coming-out». Ce n’è bisogno.

Così come è necessario interiorizzare le lezioni che un magistrato come Gherardo Colombo fa in giro per l’Italia, presentando il suo libro Educare alla legalità. Suggerimenti pratici e non per genitori e insegnanti. Ideato per i bambini delle elementari, il volume è una sorta di catechismo che, attraverso giochi, esercizi e fiabe, permette di apprendere il vangelo della Costituzione. Non solo. Attraverso il manuale i piccoli apprendono l’importanza di chiedere lo scontrino fiscale, a non chiedere un pezzo di torta in più dei loro compagni e che l’articolo 21 dà loro «il diritto di parlare».

Mononucleare è faticosa
Il proliferare di discussioni su internet e il moltiplicarsi di libri segnala che l’argomento è sentito. Forse oggi più che ieri, quando i bambini crescevano nei cortili con loro coetanei e non solo in appartamento con mamma e papà. O quando l’educazione di un figlio era considerata un impegno cui partecipava un’intera comunità, e tutto non era ridotto al riflesso narciso con cui il grande cercava di rispecchiarsi nel piccolo. Insomma, quando ancora c’erano più bambini nei parchi che nei manuali in libreria.
Se ne è accorto, pur tra molti distinguo zigzaganti, anche Jacopo Fo (figlio di Dario) che sul blog del Fatto ha scritto che «noi progressisti abbiamo sbagliato qualche cosa con i nostri figli». Erano piccoli e meravigliosi e ora «si sono rivoltati contro di noi». Hanno fatto la rivoluzione ai rivoluzionari, e senza nemmeno chiedere il permesso. Si pensava che fosse tutta colpa «dell’edonismo reaganiano» e invece è solo maledetta e comunissima adolescenza, «un momento pazzesco che noi genitori affrontiamo impreparati». Così impreparati che a Jacopo Fo vien da sentenziare che «la famiglia mononucleare, ognuno solo con il suo problema, è faticosa».

La noia dello zipless fuck
Se ne è accorta anche un’altra “figlia di”, Molly Jong-Fast, che nel doppio cognome rivela di essere l’erede degli scrittori Erica Jong (autrice dell’ultrafemminista Paura di volare) e Jonathan Fast (figlio a sua volta di Howard, autore di Spartacus e fondatore del Partito comunista statunitense). Molly, che a dieci anni s’era già sdraiata sul lettino dello psicanalista e che è cresciuta in una casa dove si era soliti girare nudi tra quadri a soggetto lesbico e water ricoperti di fiori, ha rivelato a D di Repubblica che tale educazione ultralibertaria l’ha convinta che «loro erano ossessionati dalle loro oppressioni e dal doversene liberare. Così hanno ossessionato noi, con quel bisogno compulsivo di farci capire che potevamo fare sesso». Risultato? «Tutte quelle lezioni facevano sembrare il sesso per niente sexy» e quei genitori che parlavano solo di “quello” «sembravano non avere altri argomenti».

Insomma, essere figli di Erica Jong, una mamma «per cui era sempre l’ora del sex talk», ha insegnato a Molly che c’è ben poca attrattiva nello zipless fuck, il sesso facile, e che la scuola progressista dove ti erudiscono su come mettere i preservativi alle banane è un po’ noiosa. Anche perché, nell’esperienza di Molly, la figura del “genitore amico”, quello sempre aperto alla discussione, al dialogo, al mettersi allo stesso livello del figlio, ha prodotto la convinzione che, poi, sempre nel gorgo delle paturnie dei grandi si andava a parare: «Vuoi parlare di sesso, tesoro?».

Scrivere manuali su come allevare figli pare diventato l’espediente cartaceo che migliaia di genitori-scrittori hanno escogitato per parlare di sé, pettinandosi i pensieri davanti allo specchio del proprio ego. 

Mai una breccia nel muro, mai un granello di sabbia nell’ingranaggio. Mai un altro, un amico, un passante o anche un ladro, venuto a scassinare le certezze del metodo infallibile. Mai il dubbio che possa esistere qualcun altro in grado di esercitare sul figlio una paternità e una maternità più grande di quella garantita dal legame biologico e di sangue. Tutto si tiene nell’autoreferenziale ingrasso dei polli d’allevamento. La prossima volta che vi viene da citare qualche frase ad effetto appresa dai manuali, trattenetevi. Un giorno il genitore che diceva cazzate potreste essere voi.

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