La finanza si insegna con i fatti, non con le parole. I progetti in atto in Italia e all’estero

Di Mariarosaria Marchesano
09 Ottobre 2017
Per Saita (Bocconi) occorre «trasmettere un messaggio: se il rendimento promesso di un prodotto è più elevato della media del mercato vuol dire che il rischio è altrettanto elevato»

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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Quando si parla di educazione finanziaria ci si trova spesso nell’imbarazzo di capire che si tratta di una cosa importante, ma di non conoscerne esattamente il significato e di far fatica a ricordare qualche esempio pratico. In Italia, un paese con una montagna di risparmio privato, il tema ha cominciato a essere presente nelle politiche nazionali solo in seguito alla crisi finanziaria del 2008, quando è stato chiaro a tutti che il mondo è cambiato e che i cittadini vanno informati e in qualche modo sostenuti nelle scelte di investimento. All’estero, però, le cose sono diverse. Come spiega Sergio Sorgi, vicepresidente di Progetica, società di consulenza indipendente specializzata in educazione e pianificazione finanziaria, «nei paesi anglosassoni i sistemi di welfare limitati hanno reso da tempo necessaria una maggiore autorganizzazione da parte delle famiglie. Così, i primi programmi ad alta diffusione sono stati realizzati in Australia, Regno Unito e Stati Uniti. A questi, nel tempo, si sono affiancati progetti in Brasile, Canada, Francia, Olanda e poi anche l’Italia. Oggi ci sono così tante iniziative che si fatica a racchiuderle tutte sotto un’etichetta unica. Quel che le differenzia è la connotazione teorica o teorico-pratica».

[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Sorgi sottolinea che i programmi di maggior successo sono quelli in cui gli utenti affrontano nella pratica le sfide economiche del proprio ciclo di vita, facendosi affiancare da un consulente-educatore che offre un servizio di pianificazione finanziaria di tipo assicurativo e previdenziale, a cominciare dalla razionalizzazione del budget familiare e dalla messa in sicurezza degli eventuali debiti. Purtroppo il tema della consulenza oggettiva, cioè indipendente dalla vendita di prodotti finanziari, sembra non essere contemplato dalla legge approvata a marzo dal Parlamento italiano».

Ma in che cosa consistono i modelli adottati dagli altri paesi? Il governo inglese, per esempio, ha avviato nel 2010 il programma Money Advice Service, che offre sostegno ai cittadini via telefono e via web, oltre che di persona attraverso operatori specializzati. E a New York dal 2006 è in vigore il Fec (Financial Empowerment Center), un sistema esteso a diverse città statunitensi con l’obiettivo di insegnare a tutti la gestione e la riduzione dei debiti e a incrementare il risparmio. In Italia, l’esperienza più significativa è stata realizzata a Milano, in collaborazione con il Comune: consente ai cittadini di usufruire di colloqui individuali con un educatore finanziario (in genere appartenente ad organizzazioni sociali), il quale mediante strumenti di simulazione aiuta le famiglie a pianificare la propria economia. Un approccio pratico, dunque, che sembra andare in una direzione diversa rispetto alla cosiddetta “alfabetizzazione” finanziaria, su cui è incentrata la strategia del Comitato costituito dal Mef, che punta a far apprendere prima di tutto il linguaggio della finanza. «L’alfabetizzazione di per sé non è certo un male – commenta Sorgi – ma soffre di un problema fondamentale: per cambiare i propri comportamenti la teoria non è sufficiente. Nessuno impara a nuotare seguendo lezioni puramente teoriche: bisogna entrare in acqua».

Uno sforzo necessario
Non la pensa del tutto così Francesco Saita, ordinario di Economia degli intermediari finanziari alla Bocconi, dove coordina l’unità dedicata all’educazione finanziaria del centro di ricerca dell’università. «Il mondo è cambiato profondamente negli ultimi anni e occorre che le persone facciano uno sforzo per conoscere almeno alcuni elementi di base di materie come economia e finanza, percepite dalla gente come astratte», afferma Saita, che è anche membro del comitato scientifico della Fondazione nazionale per il risparmio. Ovviamente, tutto dipende da qual è il target di cittadini a cui ci si riferisce. Nel caso di persone che hanno già un buon grado di istruzione e una minima disponibilità di risorse, secondo Saita, l’ignoranza è ancora meno giustificata, perché «questi soggetti dovrebbero imparare a ragionare sul portafoglio, spendendo del tempo per definire l’orizzonte temporale dei propri investimenti, il grado di rischio che sono disposti ad assumere e, infine, i titoli, la polizza o le obbligazioni che sono coerenti con questo quadro». Le cose si complicano, poi, quando si investe in Borsa. «La tendenza di molti è guardare a quello che accade nel breve periodo, a fatti che determinano alti e bassi dei listini. Spesso ci si fa prendere dall’ansia compiendo scelte irrazionali, come quando si vendono le azioni dopo che ci sono già stati dei ribassi, totalizzando così una perdita secca sul capitale».

La scarsa cultura finanziaria gioca, dunque, brutti scherzi. Ma come la mettiamo con le banche che hanno venduto ai risparmiatori obbligazioni sopravvalutate? Etruria, banche venete… gli esempi non mancano. «Lì c’è stato un concorso di colpa», conclude Saita. «Le banche hanno le loro responsabilità ma è arrivato il momento di trasmettere un messaggio: se il rendimento promesso di un prodotto è più elevato della media del mercato vuol dire che vi è associato un rischio altrettanto elevato. Si tratta di un concetto fondamentale che non è solo materia per specialisti».

Teoria o pratica, dunque? Ci sono casi in cui è l’innovazione tecnologica a fare la differenza. Un esempio di “educazione di fatto” è quella relativa ai mutui. La nascita dei comparatori di mercato, che dalla metà degli anni Duemila hanno permesso di mettere a confronto le offerte delle banche attraverso siti internet specializzati, è stata una rivoluzione nel settore dei prestiti per la casa e, successivamente, anche per le polizze Rca, per i conti correnti e per i piccoli prestiti. Prezzi, durata, tassi d’interesse e condizioni delle varie offerte oggi possono essere valutati dagli utenti in modo rapido. Il primo a introdurre in Italia il metodo della comparazione è stato il gruppo MutuiOnline. Da una costola della società è nata MutuiSupermarket, il cui amministratore delegato, Stefano Rossini, spiega che questo canale ha conosciuto il massimo del successo con l’arrivo della portabilità gratuita dei mutui che ha reso possibile la cosiddetta “surroga”, che oggi rappresenta circa un terzo del totale dei mutui. «Un tempo le famiglie restavano legate a una banca per tutta la vita, perché non disponevano delle informazioni necessarie per cambiare. In pochi anni hanno imparato a negoziare le migliori condizioni facendo leva sulle informazioni acquisite attraverso i comparatori. Il canale internet ha così trasmesso agli utenti la consapevolezza di poter cogliere le migliori opportunità semplicemente incrociando dei dati».

Comparatori per prodotti finanziari?
Ma la formula è applicabile nell’industria del risparmio? Proprio il caso dei mutui ha ispirato nuovi operatori come Moneyfarm, che hanno dato vita a piattaforme indipendenti di vendita di prodotti finanziari. Spiega Sebastiano Picone, direttore commerciale della società: «A differenza delle banche, guadagniamo esclusivamente sul servizio di consulenza erogato e non sul prodotto, che resta una libera scelta del cliente. Nell’industria del risparmio non esistono ancora meccanismi di comparazione automatica come nei prestiti per la casa, perché ci sono troppe variabili da considerare. Ma la nostra esperienza e i nostri tassi di crescita ci dicono che le famiglie apprezzano sempre di più un accesso “democratico” ai prodotti finanziari che sia svincolato dalla consulenza che deve sempre basarsi su parametri oggettivi».

@MRosariaMarche2

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