
Là dove Dio sfida il mondo. Venite in Terra Santa con Tempi

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti). Per tutte le informazioni sul pellegrinaggio, cliccate qui – Sulla foto “ufficiale” c’è stampata una data: 19.9.86. Siamo probabilmente sulla terrazza del santuario di San Giovanni, ad Ain Karem, nei pressi di Gerusalemme. Il pellegrinaggio volge al termine e la comitiva si consegna a un’istantanea che giacerà nei decenni a venire come reliquia nella masserizia che ciascuno, della sessantina di persone che ebbero la fortuna di partecipare al primo e unico pellegrinaggio in Terra Santa con don Luigi Giussani, si porterà fino al camposanto. Sono passati trent’anni. Ma la memoria si mantiene viva. Talmente viva che a un sagace tour operator di San Marino – Istoria, impresa familiare Saccone – è venuta l’idea, subito presa al balzo da Tempi, di festeggiare il trentesimo di quel viaggio con una comitiva che partirà da Milano e Roma per Israele il 16 settembre.
Non tutti i pellegrini di allora sono ancora in questo mondo. Il Giuss se n’è andato nel 2005. Altri prima e dopo di lui. Tutti – vivi e morti – seguitano a esserci presenti. E non solo nell’immagine riprodotta in queste pagine. Là in alto a sinistra c’è il giovin medico Giancarlo Cesana. Seguono, alla sua destra, il medico condotto di Gudo Gambaredo Adriano Rusconi. La professoressa Luisella Valdenassi. Il biondino, oggi patron di G Group, Stefano Colli Lanzi. “Jex”, futuro avvocato al foro di Roma. La coppia formata dal sottoscritto con il polmone ancora mezzo collassato (era l’estate del mio terzo pneumatorace spontaneo) e Antonio Intiglietta, allora cappellone e oggi imprenditore di successo. Il chirurgo Enzo Piccinini in formato barbuto “figlio dei fiori”. E in prima fila, mezzi accovacciati e mezzi in piedi, i “registi” del super 8 millimetri che ci verrà sequestrato dal segretario di Comunione e liberazione una decina di anni dopo, allorché tentammo di allegarlo a Tempi. Tra gli altri, il professor Angiolino Bigoni e Colli Lanzi senior. Il faccino di Ida Bigoni spunta tra la testa pelata di un padre francescano e il faccione di un ingegnere dell’Alfa. La pasionaria Gianna Giannattasio è la penultima a destra in prima fila. Mentre sotto, inginocchiato e in bretelle, c’è la buon anima di Giorgio Meregalli. Più a sinistra, in piedi, Paola Salmasi. Mentre si intravvedono appena appena mamma Maria e papà Negri, l’occhiale alla Checco Zalone della sposa Lilli del mio amico Inti. In fondo, spicca in barba talebana e fronte einsteiniana Giovanni Riva, compagno di stanza passato a miglior vita e scrittore jakabookiano di Andare a scuola in Corea del Nord. Riconosco la Birondi dietro la cara e scomparsa Magnifico. Elia Meregalli e Onorato Grassi detto “Nori”. La Fulvia dei reparti di assalto Memores e il Meneghello uscito da una commedia di Goldoni. In prima fila, inginocchiato in posa educata da seminario di Venegono, Luigi Giussani, prete in Desio e padre di Cl. Tutt’intorno, l’aureola di famiglie della comunità santa Maria alla Fontana. In prima fila, in piedi, alla destra del professor Bigoni, sorriso forzato e beffardo, ecco il patron e l’organizzatore in capo del pellegrinaggio: don Giorgio Pontiggia.

Le tasche e i soldi
Come ci capitai io in questo viaggio pianificato in ogni minimo dettaglio dal prete “tuono fulmini e saette” don Pontiggia, è un’altra storia. Nel senso che, siccome quasi tutto nella mia vita è nato generosamente, spontaneamente e gratuitamente, credo non fossi neppure tra gli invitati. Mi imbucai grazie al sostegno (leggi: viaggio pagato) degli amici veneti Gatti e Debellini. In cambio, dovevo intervistare don Giussani. E, possibilmente, scrivere un volumetto. Sapevo che i veneti erano in procinto di lanciare un tour operator specializzato in viaggi in Terra Santa? Boh. Fatto sta che, al ritorno da Israele, nel giro di un mese, stampai per i tipi della Gatti&Debellini. Col bel risultato di far imbufalire il buon Giuss. In seguito, però, fu lo stesso Giussani a farmi da ombrello e a rilanciare l’impresa. Fu così che nel 1994 nacque Sulle tracce di Cristo, libro Rizzoli che fu più volte ristampato (e qui mi taccio su un certo uso cannibale che un certo tour operator ha fatto di quel testo).
Appena sbarcati a Tel Aviv ci prese in consegna la guida israeliana Alisa Barda. Tosta ebrea di mezza età e di origini argentine. Cominciò un’avventura straordinaria. C’è poco da fare. Tutta la vita si gioca in una volontà di osmosi. Dipende dal tipo di umanità con cui ti impasti, non dai libri e dalle idee che frequenti. Per esempio, in un posto chiamato Ein Gev, in uno dei raduni serali che facevamo in hotel per scambiarci le impressioni della giornata, interrogato sulla “questione morale” Giussani disse: «Senza una compagnia non si può spiegare la morale di un individuo. E senza una compagnia che abbia il suo fondamento nella natura, la morale di quell’individuo è senz’altro sbagliata. Sbagliata significa, per esempio, che certe cose non le capisce. Così moltissimi (anche cristiani) non capiscono che l’aborto o il divorzio sono degli errori perché appartengono alla società e quindi al potere. Un’adesione al cristianesimo che consista unicamente in una fede dottrinale o rituale, nell’osservanza di precetti stabiliti dalla Chiesa, non produce una morale nuova rispetto alla società e al potere. Fino a quando la fede non diventa una compagnia vissuta la morale resta zoppicante, diventa cioè unilaterale. Così anche le cose che si riconoscono da fare perché chiaramente comandate, perché giuste, un individuo le compie senza esserne persuaso, e perciò anche quando vi aderisce non cresce umanamente. Una vera morale è sempre l’attuarsi di un dinamismo che consente la crescita umana dell’individuo».
C’è poco da fare. Il cristianesimo non è affare per personcine perbene. O «cetriolini sotto aceto», direbbe Bernanos. Interrogato in quel di Gerusalemme sul fatto che «la testimonianza si pone in contraddizione col potere» (e già a Nazaret ci aveva detto: «Bisogna che viviamo la fede profeticamente. C’è una conseguenza: anche se la persecuzione non è sempre segno della verità, la verità è sempre perseguitata»), Giussani rispose: «La vita della fede non è un’astrazione, ma è qualcosa che usa delle tasche e dei soldi, delle responsabilità che un uomo si assume, delle convinzioni che si hanno, del coraggio e del cuore che ognuno mette in gioco in ogni azione, usa insomma della vita… Perché quando l’esperienza religiosa non è vera si accorda sempre con il potere».
Una compagnia che si è diffusa
Fu un viaggio in cui l’osmosi con un uomo per il quale l’essere cristiano era il modo di essere uomo, è stato come camminare stando sulle spalle di un gigante. Ti portava dentro un orizzonte che, per quanto ti sforzassi di saltare, alzare il naso all’insù, salire in punta di piedi, tu proprio non riuscivi a vedere. Niente. Non ci arrivavi. E neanche immaginavi. Nano. Stop. Eppure. «Vedo quello che vedete voi». Ma lui – come diceva lui – vedeva di più. Ora, rinnovare quel viaggio senza quel gigante, ha un senso? Che senso ha?
Quando la scorsa settimana, durante una conferenza stampa, abbiamo presentato il nostro pellegrinaggio insieme all’israeliana dal nome complicato e faccino stupendo, Avital Kotzer Adari, direttore per l’Italia dell’Ufficio nazionale israeliano del turismo, e con lo stupendo ebreo milanese Vittorio Robiati Bendaud, ci siamo ricordati la ragione per cui Giussani volle farsi accompagnare da Alisa Barda piuttosto che da una guida cristiana, ecco, a quel punto è balenato il senso: Israele.
Riavvolgiamo il nastro. Tiberiade. A Giussani rimase impressa la giornata dei “buchi”. «Il cristianesimo nasce, nel senso letterale della parola, come movimento. “Movimento”, vale a dire una compagnia che lentamente si è diffusa. Ma che il cristianesimo sia nato come movimento di amici che si incontravano, vivendo una compagnia tra loro che coinvolgeva le loro famiglie, è ciò che sta alla radice della nostra stessa idea, della nostra immagine di cristianesimo rivitalizzato. Comunque, la cosa più impressionante è che tutto è nato da quei “buchi”, da una povertà assoluta». Poi citò il contesto urbano che si era sviluppato a prescindere dall’avvenimento cristiano. E dal paganesimo dei resti di Cesarea, Giussani passò a considerazioni sulla visita al Monte Carmelo, «dove il problema religioso è affrontato dalla profezia ebraica. La profezia del popolo ebreo, rappresentata in Elia, esprime l’inevitabile sfida che Dio, quando entra nel mondo, fa al mondo. La grotta di Elia, e la sua lotta con i rappresentanti di Baal, esprimeva la sfida di Dio al mondo, la sfida del Dio vero, del Mistero, alle immaginazioni degli uomini. Vedendo la grotta di Elia e poi quella dell’Annunciazione, o la casa di san Giuseppe, o quella delle nozze di Cana è stato come prendere atto che la sfida di Dio al mondo (che non può non apparire come una lotta aperta e una contraddizione radicale), noi cristiani la sentiamo resa umana… Tutti noi avremmo paura di incontrare Elia, perché dei Baal dentro la nostra testa ce ne sono eccome! Avremmo paura di incontrare un Elia, ma quella ragazza di 15 anni no! E quell’uomo che l’ha sposata, lo stesso, no! E quell’uomo che si siede a mensa con tutti gli altri, no! Ora, il criterio della verità qual è? Per l’uomo il criterio della verità è ciò che corrisponde, valorizzandola, alla propria umanità. Senza aver trovato quella cosa lì, quella cosa vera, un uomo sente di essere meno umano».
Angelica, David, Angela
Veniamo al punto. «In questo senso lo Stato di Israele ha un compito umano. A prescindere dalla politica, uno dei compiti più grandi dello Stato di Israele è proprio quello di lasciar vivere nella libertà questi segni, questi richiami che sono fatti di quattro mura e che un piano regolatore potrebbe distruggere. Per questo noi siamo grati alla libertà religiosa che vige in Israele. Una libertà non può mai essere un’indifferenza, è sempre un rispetto nei confronti di un valore». Ecco. Rimettersi in viaggio per approfondire questo aspetto accennato trent’anni orsono. Vale anche per noi. «Una libertà non può mai essere una indifferenza». Personalmente l’ho intuito in profondità negli incontri con Angelica Calò Livné al kibbutz Sasa. Lato socialista e pacifista di Israele. E prima ancora con Angela Polacco. Lato sionista patriota. E poi con David Jaeger. Lato “sabra”, dei nati in Israele, battezzato a Jaffa, folgorato nientemeno che dalla Mystici corporis Christi di Pio XII, e che la radio militare israeliana definì, all’indomani del riconoscimento tra Israele e Vaticano, «incarnazione stessa dell’accordo Israele-Santa Sede». Infine, memorabile shabbat a Gerusalemme, ospite di una famiglia di religiosi, quando per la prima volta nella storia di una certa sinagoga e poi a una certa festa delle Capanne, a un gentile e a suo figlio fu concesso il dono di partecipare all’intimità della vita ebraica. Ecco, rimettersi in viaggio verso Gerusalemme per una volontà di osmosi con i nostri “fratelli maggiori”.
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