La differenza tra Boncinelli e una scimmia non è nell’unico gene diverso

Di Aldo Vitale
02 Marzo 2015
La scoperta è positiva nella misura in cui rende meglio comprensibile la natura umana, ma diventa qualcosa di ambiguo a seguito dell’interpretazione ideologica che di essa viene fornita

scimmia-sh-222261088Sul sito del Corriere della Sera dello scorso 27 febbraio 2015 è apparso un articolo di Edoardo Boncinelli dal titolo “Quel gene che ha fatto la differenza tra noi e le scimmie”, in cui l’illustre studioso ha raccontato, entusiasticamente, della scoperta del gene ARHGAP11B posseduto solo dagli esseri umani, ma non dalle scimmie antropomorfe e che, oltre ad aver contribuito, si presume, allo sviluppo evolutivo della corteccia cerebrale umana, pone la differenza effettiva tra l’uomo e i primati.

La scoperta per Boncinelli sarebbe così sensazionale e porterà a risultati così straordinari che lo stesso Darwin sarebbe stato positivamente colpito, come colpito rimase dall’osservazione di un orango femmina allo zoo di Londra nel marzo del 1838.

Di per sé la scoperta sembra positiva e lo è nella misura in cui rende ancora meglio comprensibile la natura umana, ma diventa qualcosa di ambiguo a seguito dell’interpretazione ideologica che di essa viene fornita.

Da un lato, infatti, c’è la scoperta di un gene, uno dei tanti, che renderebbe ragione dello sviluppo di una parte del cervello umano; dall’altro lato, invece, la deduzione, mica tanto logica, che questa scoperta per un verso comproverebbe la somiglianza tra essere umano e orango, e per altro verso cristallizzerebbe l’unica differenza tra gli uomini e gli irsuti “parenti quasi-umani”, comprovando, in definitiva, che la distinzione tra i primi e i secondo consista in un elemento soltanto di carattere biologico.

Insomma, per un solo gene, cioè per un frammentino di una composizione bio-chimica, l’orango è un quasi uomo, un uomo mancato, e l’uomo è un quasi orango, un orango che non è più orango.

Ma è proprio così?

Non occorrono dei particolari studia di filosofia o biologia per comprendere che così non è, che cioè, al netto delle scoperte genetiche, delle ipotesi evolutive, delle similitudini o delle differenze biologiche, l’uomo e l’orango sono profondamente diversi, non perché li separi un gene o una intera catena di fattori bio-chimici, ma perché l’uomo è ontologicamente diverso, in quanto è persona, in quanto cioè, per utilizzare le parole di Spaemann, ha un elemento ontologicamente costitutivo: la coscienza.

Tramite la coscienza, infatti, l’uomo percepisce la propria diversità rispetto al resto del creato, non solo con l’uso delle facoltà razionali, che un qualunque evoluzionista riterrebbe sviluppabili anche da altre creature nelle medesime condizioni evolutive, ma per la consapevolezza di sé come strutturalmente deficitario in ordine alla propria completezza, come si riconosce nella sua natura sostanzialmente relazionale.

Gli altri animali, infatti, sono comunitari, non relazionali, per questo vivono in branchi o gruppi, ma non in Stati o associazioni; la scoperta del diritto, del resto, è la prova più autentica della natura relazionale dell’essere umano che lo contraddistingue dalle altre creature; non a caso gli esseri umani riconoscono diritti agli animali (pur tralasciando gli eccessi di un ottuso progressismo come quello di Zapatero e compari che hanno riconosciuto i diritti umani fondamentali ad alcuni primati negando all’un tempo la natura umana, la natura degli animali e la stessa natura del diritto), ma gli animali non riconoscono nessun diritto agli esseri umani.

Non a caso gli esseri umani hanno adattato la propria scienza medica, tesa a salvare la vita e l’integrità fisica dei propri simili, agli animali, inventando la scienza veterinaria.

La coscienza, dunque, è ciò che primariamente, e meglio di ogni altro elemento, pone l’insanabile ed incolmabile distinzione tra l’uomo e l’orango.

L’uomo e l’orango, allora, sono diversi non per uno o per tutti gli elementi della struttura biologica che li compone, ma perché, diversamente dall’orango, come ricorda Nikolaj Berdjaev, «la persona non è una categoria biologica o psicologica, ma una categoria etica e spirituale».

Si dovrebbe essere più cauti, dunque, nel trarre delle conseguenze sbagliate da corrette scoperte scientifiche, non foss’altro che per tener conto della verità inconfutabile della nota battuta, qui ri-adattata, per la quale si vedono tanti Boncinelli che, osservandolo e studiandolo, si interessano di un orango, ma non si vede nessun orango che si interessi ad alcun Boncinelli nemmeno per studiarlo o osservarlo!

Foto scimpanzé da Shutterstock

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28 commenti

  1. senza entrare troppo nei meriti dell’argomento, agrosse linee,mi pare un articolo distorto e aberrante,come i giornalisti o come tale si reputano ci hanno fatto abituare a leggere in questi anni

  2. Paolo Malatesta

    Certo in un mondo dove c’è chi sostiene che la terra sia piatta non mi dovrei stupire. Non dovrei chiedermi come possa esistere qualcuno che parli di differenza fra l’uomo e LA SCIMMIA. Che a scuola, pardon, squola non siano stati in grado di far osservare loro che l’uomo non DERIVA dalla scimmia, ma semplicemente che l’uomo È una scimmia. Una delle poche specie rimaste di scimmie ‘antropomorfe’ (per usare il termine che seppure antropocentrico è l’unico che l’italiano conceda per rendere la differenza fra ‘ape’ e ‘monkey’). Quella col cervello più grosso (esticazzi) e con le conseguenze ad esso legate. Del resto Il mondo animale è pieno di ‘record’: la specie più pesante, quella più alta, quella col pene più corto e le corna più lunge (e te credo…). Alcuni di questi record hanno avuto conseguenze globali, di piccola o grande entità. Piccola entità, come le conseguenze del nostro cervello, tipo le piramidi, la grande muraglia, i rifiuti plastici e il ridicolo riscaldamento globale che stiamo provocando. Media entità come catene montuose di carbonato di calcio, gli atolli o le Bianche Scogliere, prodotti da organismi che ci paiono insignificanti. Grande entità l’elevata pressione parziale di ossigeno che abbiamo in atmosfera e probabilmente alcune delle grandi estinzioni di massa, dovuti a organismi apparentemente ancor meno significanti.

  3. MARY

    io non vorrei avere niente in comune con VITTORIA MARIA BRAMBILLA.

    1. Raider

      Però, Mary, se si comincia così, sono molte le persone che vorrebbero non avere nulla in comune con ciascuno di noi. Io ho ben poco in comune con l’animalismo: non solo quello di Vittoria Brambilla, che mi sembra più accettabile, comunque, di quello di tanti scienziati che tendono a non fare differenze fra i propri simili e gli animali, degradando gli uni e umanizzando gli altri. No, come sempre: viva la differenza!

  4. Giannino Stoppani

    Noto che chi vuol sottolineare la differenza tra l’uomo e l’orango tende a dimenticare la capacità, esclusiva dell’essere umano, di perseguire il male come fine.

    1. Andrea UDT

      A me invece del male come fine è venuta in mente una altra cosa: oggi a Padova il cielo è terso e si vedono le montagne incapucciate di neve.

      Le guardo e mi dico: “che meraviglia”. Ecco, forse un oragngo ha un senso estetico primitivo (qualcuno “dipinge… “): di sicuro però ne un orango ne giraffa o altro guardano le montagne in muta ammirazione.

      Sapere che un gene puo fare la differenza non mi spaventa: oggi mi godo lo spettacolo.

      1. riccardo

        Sottoscrivo e azzardo a dire che è un’esperienza oggettiva. Anche qui c’è il sole e dico “che meraviglia”.
        “la conoscenza è un incontro tra un’energia umana e una presenza. È un avvenimento in cui si assimila l’energia dell’umana coscienza con l’oggetto “.
        Ma che glielo cito a fare? Lo conoscerà meglio di me.
        Comunque su una cosa sono totalmente d’accordo, non c’è niente che deve fare paura nella conoscenza, per chi non ha vede e per chi ha ce l’ha.

  5. Cisco

    Questa scoperta mi sembra un’ulteriore prova del fatto che la differenza tra uomo e resto degli animali, anche i più simili, e’ di ordine ontologico. Se infatti basta un “gene della coscienza” per fare la differenza, significa che in quel gene e’ una certa “qualità” a fare la differenza. Altrimenti – dato che condividiamo circa il 60% del patrimonio genetico del moscerino della frutta – dovremmo come minimo essere in grado volare!

  6. riccardo

    “L’uomo è quel livello della natura in cui la natura prende coscienza di sé stessa”.
    Con questa stringata definizione don Giussani troncava per sempre una disputa sterile quanto datata.
    Da una parte la falsità di chi negando l’evidenza vuole ridurre l’uomo ai suoi antecedenti biologici, dall’altra parte negando l’ansietà di chi vive la possibilità dell’evoluzione come una frustrazione.
    Per inciso la frase di Giussani è all’origine della vera preoccupazione e della vera responsabilità dell’uomo nei confronti di tutto il creato.

    1. Andrea UDT

      2+2 = 4 e le foglie d’estate sono verdi, perfino se Giussani, Vitale, un papa o un imam dicono il contrario.

      Aldo Vitale mette sullo stesso piano un dato biologico e una riflessione filosofica.

      E sbaglia.

      Se è la coscienza il tratto distintivo dell’essere umano e la sperimentazione scientifica, NON una opinione, ti dice che al momento per quello che è dato sapere è quell’unico gene a fare la differenza fra un cervello in grado di produrre coscienza e uno non in grado, c’è poco da filosofeggiare.

      Il dato scientifico su queste questioni prevale sempre appunto perchè NON IDEOLOGICO: ti dice quello che è, non quello che vorresti che fosse.

      Su queste questioni salta sempre fuori il pregiudizio latente che la chiesa e le religioni in generale hanno verso la scienza.

      1. riccardo

        ma tu Andrea fai lo stesso errore dando per scontato che è un gene a produrre la coscienza e metti sullo stesso piano un dato biologico ed una riflessione filosofica. Su queste questioni salta sempre fuori il pregiudizio latente che gli scientisti hanno verso la Chiesa.
        Se l’uomo è solo quello che riesci a misurare tenterai di misurare tutto per definire l’uomo, se l’uomo è quel livello della natura che prende coscienza di sé il problema è quale è il contenuto di questa coscienza. Da che parte vuoi andare?

        1. Q.B.

          Non solo quale sia il contenuto di questa coscienza ma anche il perché questa coscienza esista. Se anche fosse il solo gene il quid che accende la coscienza resterebbe ancora la domanda affascinante del perché si invece che no. E non servono adesioni a dottrine di alcun tipo per restare affascinati da questa domanda.

          1. Raider

            Anche se il gene fosse mezzo, la differenza rimarrebbe incolmabile. La visione evoluzionistica stabilisce una gradualità e una serie di connessioni laddove ci sono salti che non si lasciano ricondurre al livello precedente, in una sottrazione che non implica derivazione. Qualcosa che prima non c’era cambia tutta la prospettiva: e non è quella di una riduzione o equivalenza fra i viventi sulla base di una progressione lineare, ma fra ordini di esistenza e di scelta: per esempio, fra la coscienza scaturita da quel gene e un neurone bio-tech che renda artificiale l’intelligenza.

          2. Andrea UDT

            Raider, se si tratta di storia e politica tanto di cappello.

            Se scrivi “bla bla…evoluzionistica stabilisce una gradualità.. bla. bla. “, scappelli alla grande.

            E’ proprio lo studio del DNA a dare le conferme più forti alla teoria evolutivi che bolli con spregio (della scienza) “istica”.

            Da un lato quelle evidenze che validano il modello evolutivo darwiniano, dall’altro “non so spiegarlo, quindi qualcuno ha schioccato le dita”.

            Indovina un po per quale scenario propendo.

          3. Q.B.

            Take the big picture. L’automobile viaggia per una serie di reazioni meccaniche e termodinamiche o perchè l’automobilista ha deciso di avviarla e farci un giro? Con quello che ha schioccato le dita bisogna farci i conti prima o poi altrimenti si passa la vita convinti che gli automobilisti non esistono.

          4. Andrea TDU

            Q.B., risposta arguta e furba.

            Furba nel senso che mi ricorda Giussani e il famoso esempio dell’america (vedi Il Senso Religioso).

            Il fatto è che in quell’esempio molto citato nelle scuole di comunità quello che sfugge è che sotto sotto Giussani mette sullo stesso piano “Dio” e “l’america”: una realtà metafisica e una realtà ogettiva, misurabile, quantificabile, sperimentabile da tutti allo stesso modo.

            Quando invece si passa a parlare di “guidatore”, “orologiai”, Dio si passa in un campo minato.

            Per chi ha fede dio esiste, come esiste sicuramente l’amore che provo per i miei figli.
            Ma non è una cosa sperimentabile da tutti allo stesso modo, ed esiste in me non come realtà ogettiva indipendente da me.

            Ripeto, è un campo minato e spiegarsi in un breve commento non è facile.

            Spero solo di far intuire come la pensa l’altra metà della “terra”: la metà di quelli che per sventura non hanno fede e credono che questa vita sia l’unica cosa che abbiamo.

            La sventura di non aver fede ha una sola, piccola, consolazione: non devo arrampicarmi sugli specchi per difendere apologeticamente qualcosa, nel giudizio sono libero.

            Libertà che si paga a carissimo prezzo: gli Shiva101 e altri trollatori vari che disprezzano i credenti non capiscono che se non si ha fede, se questa vita è l’unica cosa che abbiamo, quelli su un binario morto siamo noi.

          5. Q.B.

            Spiegare apologeticamente quello che il credente intuisce con la ragione e “vede” con gli occhi della fede non lo viviamo come un’arrampicata sugli specchi; è piuttosto uno sforzo dettato da carità, un incoraggiamento a entrare nel campo minato nel quale noi abbiamo avuto la grazia di mettere piede, è un “cavolo ma dai che ce la fai anche tu a vedere come tutto è perfettamente logico!”.

            Ed è proprio perchè a un certo punto delle nostre storie c’è stato un passo decisivo che non serve spiegarci cosa pensa chi non ha fede; se vedo giusto tra i commentatori “credenti” sono molti quelli che in un altra vita hanno abitato la terra desolata del binario morto.

            Sui contenuto dei tuoi commenti (soprattutto la chiosa del precedente) chapeu! Sul tono, suvvia, non siamo educande.

            Non frequento sdc, anche se ne sono incuriosito (ma se poi ci trovo solo inconcludenti parolai di provincia?).

          6. Raider

            Non mi metterò a discutere di evoluzionismo perché sarebbe lungo e non è il caso, Andrea UDT. Si parlava di differenza fra uomo e scimmia, che non è sottile perchè c’è di mezzo un solo gene, ciò che sembra essere, in una visione scientista/animalista, un modo per guardare agli animali – e per me, uno nessuno o centomila geni, non cambia nulla – come uomini mancati e a noi stessi come, ancorw e sempre animali quanto le scimmie: perchè il punto era, per quanto mi riguarda, proprio questo.
            Devo dire, però, che mi aspettavo che lei si esprimesse in maniera meno puntuta e anche, peraltro, inutilmente volgare: mi riferisco allo schiocco delle dita di qualcuno, se degli scappelli non ha saputo fare a meno, stavolta. E in mezzo a schiocchi e altro, i processi di variazioni genetiche sono indipendenti, per quel poco che so, dai condizionamenti ambientali: l’abracadabra, i giochi di prestigio che invoca per gli altri, l’evoluzionismo li usa pro domo sua, che è una casa meno grande di quella dove mi trovo benissimo.

          7. Andrea UDT

            Spesso mi rendo conto che a rileggermi sfioro (e oltrepasso??) la maleducazione.

            Le assicuro che non è intenzionale e in ogni caso me ne scuso.

            Ma quello che penso rimane. Il mio punto di vista è che non bisogna avere paura della scienza, che la scienza quando presenta un dato sperimentale presenta una realtà ogettiva nei limiti della accuratezza strumentale.

            Inoltre la scienza non si smentisce, si affina. Si Affina nel senso “popperiano”: non c’è una verità “ultima”: essa è sempre suscettibile di affinamento. Ovvero tutte le teorie sono convalidate fino a prova contraria.

            Ma questo non significa che conoscere sia impossibile: significa che acuisco la conoscenza. Così Einsten non smentisce Newton, lo affina: se le velocità sono piccole le leggi newtoniane sono valide con una altissima precisione. Se corro per interpretare accuratamente il moto mi serve l’arsenale della teoria della relatività.

            Spero di aver precisato e mi scuso per le intemperanze.

          8. Raider

            Chiarissimo, Andrea Uno Dei Tanti, ma, in realtà, Uno dei Pochissimi atei o agnostici con cui si può discutere di tutto in maniera serena, motivo per cui non solo la rispetto, ma la apprezzo, se permette. Mi permetta anche di riprendere il discorso da uno spunto che mi è dato da Giovanna Jacob: poi, se vuole, ne riparliamo.
            Un saluto.

        2. Andrea UDT

          Ovvio che l’uomo non è solo quello che puoi misurare.

          L’amore per mia moglie lo quantifico?
          Quello per miei figli?
          Le scelte di vita…. ….se calcolo tutto come una assicurazione, algoritmicamente (età sesso reddito speranza di vita etc. etc.) non mi muovo più di casa.

          Detto questo però il dato reale, da affinare con il progresso cognitivo della scienza è questo: c’è una particolare area del cervello associata allo sviluppo della coscienza.
          Questa particolare area non si sviluppa in mancanza un dato gene.

          Cosa c’è da filosofeggiare?

          Vitale dice che il nostro dato costitutivo è la coscienza.
          Grazie tante, anche il mio salumiere è capace di cotanta riflessione.
          La scienza dice cosa biologicamente rende possibile un cervello in grado di coscienza: un gene diverso, un gene in più.

          Cosa è che fa paura?
          Che abbiamo tanto codice genetico in comune ad un orango?

          E’ come stupirsi che H20 e H2O2 non siano due cose COMPLETAMENTE diverse.
          Invece basta un atomo in più di ossigeno e al posto di acqua hai acqua ossigenata. Una la bevi, l’altra ti schiarisce i capelli e ti brucia l’esofago se la bevi.

          1. Q.B.

            Non vorrei mancare di rispetto al tuo entusiasmo, ma mi sembra di poter sommessamente osservare che la scienza oggi possa la massimo “ipotizzare” l’esistenza di una relazione tra questo gene e la coscienza, per definire la quale, peraltro, ha ben pochi strumenti investigativi (altro che epifenomeno).

            Un orango? pensa che condividiamo il 50% del codice genetico con le banane; e questo perché siamo stati fatti di terra e fango (dal fango della terra tu hai plasmato Adamo (Tb 8,5-10)) come gli altri esseri viventi (il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo (Gen 2,18-24)).

            Ad incidens: i salumieri non esistono più (purtroppo).

      2. Sascha

        Andrea non è così semplice. Non bisogna fare l’errore di ridurre tutto a un dato biologico, soprattutto quando si parla di concetti talmente complessi come la mente umana o anche degli animali più evoluti. Stanno ritornando le teorie del determinjsmo darwiniano che cercano di ricondurre caratteristiche come l’intelligenza, il comportamento criminale o il successo nella carriera lavorativa/relazionale a dati genetici. Sono sbagliate e molto pericolose.
        Si può affermare ad esempio che uno scimpanzé non possiede concetti come una coscienza? Un animale possiede una propria spiritualità? Siamo in grado di rispondere negativamente ad entrambe le domande? O forse è perché la distanza tra le due specie accumulatasi in milioni di anni è talmente vasta che ci impedisce di instaurare una comunicazione su questi temi? Per esempio c’è corrispondenza tra il pensiero di uno scimpanzé e di un essere umano?
        Prendiamo per esempio il concetto di morte: noi osserviamo una serie di comportamenti come i “cimiteri degli elefanti” ma possiamo escludere che dietro ci siano dei pensieri complessi paragonabili ai nostri?
        Arriveremo a comunicare con gli animali su temi complessi?

      3. Sascha

        Inoltre le distanze tra le discipline si stanno accorciando: piuttosto sono nate numerosissime discipline ponte tra quelle che un tempo si chiamavano discipline umanistiche e le discipline scientifiche. Ma d’altronde perché il sapere umano dovrebbe inscatolarsi in compartimenti stagni esempio: chi l’ha detto che uno studio medico esclude una riflessione etico-filosofica? Esiste per esempio una “filosofia della scienza” che si occupa di problemi attualissimi.
        La linguistica ha sviluppato interessanti punti di contatto con la medicina per non parlare di discipline come la psicologia difficilmente catalogabili. Si è scoperto che il nostro comportamento “plasma” il cervello riconfigurando le connessioni nervose e viceversa. Quindi per affrontare i problemi serve sempre più uno sguardo ampio da più prospettive.
        Per questo io dico che una riflessione sui fenomeni complessi come in questo caso la coscienza non può assulutamente limitarsi all’analisi del Dna anche solo in virtù del fatto che prima occorre definire che cosa stiamo cercando: che cos’è suddetta “coscienza” come si misura la sua presenza o assenza?

      4. @Andrea Udt
        A volere essere scientificamente precisi, la scienza più avanzata e innovativa ha superato da tempo l’idea che fra l’uomo e la scimmia ci sia giusto un gene fra tanti.
        Boncinelli non rappresenta la scienza più avanzata e innovativa. Non so se li lo ha letto: io purtroppo sì. Se non le piace che si mescolino scienza e filosofia, soffrirà molto a leggere Boncinelli, che fa molto peggio che mescolare scienza e filosofia: tenta di trarre una visione filosofica complessiva dalla teoria evolutiva. Riprendendo la tradizione del paleontologo Gould (quello che, er tappare i buchi neri della teoria di Darwin, ha introdotto l’ipotesi fantasiosa che l’evoluzione proceda per improvvise accelerazioni) usa la teoria evolutiva come una clava per distruggere con zelo gesuitico non solo la possibilità della fede religiosa, ma la possibilità stessa che la vita abbia un senso, elevando così il nichilismo a religione fondamentalista.
        Dicevo, Boncinelli non reppresenta la scienza più avanzata. Ci sono genetisti molto ma molto più avanzati di lui: ad esempio il professor Antonio Lima de Faria. Un creazionista? No, esattamente il contrario: un ateo materialista molto determinista. Ebbene nel suo libro “Evoluzione senza selezione” (praticamente introvabile, perché messo all’indice dalla lobby neo-darwinista) afferma che “il gene non è tutto”. In sostanza, la sua idea innovativa è che il gene non sia il “software” della vita, ma semplicemente l’hardware. Lui ha ragione di credere che il software sia scritto in un linguaggio dannatamente complesso, perché riguarda unità infinitamente più piccole del gene stesso.
        Se consideriamo che il gene è l’hardware, possiamo anche capire perché fra noi e la mosca ci siano il 60% (vado a memoria) di geni in comune. Appunto, l’harware conta meno del software. Ad esempio, milioni di persone possiedono il mio stesso modello di pc, ma ogni pc ha dentro programmi e soprattutto files differenti… E tralascio di sottolineare che ogni files in word, jpg ecce. contenuti nel mio pc presuppongono l’esistenza di qualcuno che li ha elaborati,, nella maggior parte dei casi io stessa, perché altrimenti apro il vaso di pandora di domande molto imbarazzanti per chi non ha altro dio al di fuori del caso.
        Il discorso è lungo e appassionante, spero si possa riprendere.

        1. Andrea UDT

          E’ interessante. So che lei tiene dei blog.

          Una idea carina è tenere una pagina FB (non una personale, una pagina tipo quelle delle aziende).

          Lì si possono mettere dei link e consigli per le letture. Questi argomenti sono difficili da trattare in un commento o un articolo.

          L’idea è proporre un libro con una piccola recensione. So che se lo facessimo io e Lei i libri proposti sarebbero diversi: ma non mi dispiacerebbe impegnarmi anche nelle letture che Lei propone.

          Anche perchè finchè il mio cuore fa il matto tempo per le letture ne ho a iosa.

        2. Raider

          Giovanna Jacob ha mille e più ragioni, nel sostenere che Boncinelli filosofeggia per conto suo e con Luca e Francesco Cavalli Sforza e Guido Barbujami: sono fra gli esponenti più inflessibili della genetica politicamente corretta che vorrebbe imporre contenuti, limiti e linguaggio al discorso pubblico. Ma per restare al nostro tema di discussione, vorrei precisare che gli aggiustamenti e il revisionismo più o meno critico rappresentati dal neo-darwinismo, da S.J. Gould, le polemiche alla Dawkins e Onfray, custodi dell’ortodossia materialista più e oltre che darwinista, partono proprio dal riconoscimento dei limiti della teoria evoluzionista, rea di antropomorfismo quanto il creazionismo: il passaggio dal semplice al complesso e dal più adatto al meno adatto, sbrigativamente individuati come più perfetto e meno perfetto, è un’inferenzz indebita e rispecchia pregiudizi insiti nel nostro modo di rapportarci al mondo attraverso il linguaggio con cui lo descriviamo. Nella teoria dell’adattamento selettivo c’è tanto finalismo da atterrire e atterrare qualunque ateo da laboratorio. Avere due occhi non è meglio che averne tre o cento o nessuno: la perfezione che chiediamo alle specie più ‘evolute’ è anch’essa solo una forma di antropomorfismo. Quello che osserviamo, in effetti, è che le strutture della vita sono contenute tutte negli organismi più elementari: e sono tutte ugualmente ‘perfette’, le si selezioni o no.
          Se i mutamenti ambientali non determinano e le mutazioni morfologiche non precedono quelle genetiche, sarà difficile trovare non solo le prove di derivazioni più o meno lineari e puntuali delle forme di vita come quelle inseguite col fiatone dagli evoluzionisti, ma elaborare una qualche teoria – comunque, tutta da dimostrare – che spieghi contemporaneamente tutto: nel senso di tutto intero e dell’intero di qualunque organismo, che non evolve un pezzo alla volta.
          Per restare al paragone automobilistico, noi immaginiamo l’evoluzione ancora secondo la versione arcaica e scolasticamente intramontabile dell’evoluzionsimo, evolutosi anch’esso fino a diventare altro da sé: ecco, se fossimo in museo dell’automobile, non doremmo aspettarci di vedere il graduale passaggio dalla Ford T a una Bentley Continental, ma vedremmo, prima, una slitta, poi, un triciclo, quindi, una Aston Martin Vanquish, una bicicletta, una Jaguar E, una Trabant, un quad, ecc…
          Se è così, abbiamo ben poco da esigere risposte dai fossili o dalle forme viventi: il fossile fa del suo meglio per corrispondere ai desiderata di ricostruzione plastica dei paleontologi con qualche presupposto ben nascosto fra le meningi: ma, per quanto si sforzi e comunque lo si rigiri fra le mani, avremo sempre a che fare con un effetto, non con una causa.
          Non vado oltre, anche se ci sarebbe altro da dire, ma ho fiducia che lo diranno altri.

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