Lettere dalla fine del mondo
La carriera, la famiglia. Questa società ci sbrana rendendoci borghesi
Divento come nervoso, esasperato nel vivere la mia vita senza percepire e senza vedere la faccia di chi l’ha creata, accontentandomi di facili e fasulle prospettive per un futuro “tranquillo e sereno”. Le giornate scorrono tendendo a una tale banalità che mi fa rabbrividire. Guardo il mare e mi chiedo: Dio dove sei? Salgo sul metrò e vedo le persone: Dio dove sei? Accendo la tv: Dio dove sei? Sto con gli amici: Dio dove sei? Leggo le notizie sul giornale: Dio dove sei? Vedo il dolore e la morte: Dio dove sei? Desidero ardentemente la verità di tutto quel che c’è! Meno di questo sono una nullità totale e infatti niente mi soddisfa fino in fondo. Mi sento annegare dentro questa mortale apparenza.
Arrivo a constatare con immenso dolore che non mi sento amato, anzi mi sento abbandonato da Dio. So che Lui c’è ma come faccio a vederlo veramente? La mia “malattia” è questa e fino a quando non riuscirò a guarire sarà triste la mia vita. Dio per me non può essere una “cosa” tra le altre, sento che deve essere l’unica vera “cosa” che mi fa vivere con un senso pieno tutte le altre. Non posso e non voglio rassegnarmi a una vita ridotta anche a qualcosa di “buono” e di “sicuro” ma senza il volto di chi l’ha fatta. Padre Aldo, sapendo di te e di ciò che hai passato, ti chiedo di aiutarmi a capire come devo fare per poterlo vedere.
Lettera firmata
Che commozione leggere una lettera piena di drammaticità, dove ogni parola è un grido: Signore mostrami il tuo volto! È lo stesso grido che preghiamo nelle Lodi ogni lunedì: mio Dio, la mia anima è assetata di te, come terra inaridita, senza acqua. La bellezza dei salmi, caro amico, sta nell’esprimere questa esigenza che è la struttura stessa del cuore. È un’autentica grazia quella che stai vivendo e Dio voglia che la tua provocazione scuota tutti noi, piccoli o grandi borghesi per i quali Dio è uno dei tanti idoli nella nostra vita quotidiana. La vita è bella solo quando il nostro cuore vibra come il tuo. Anche Gesù nei momenti più crudi e drammatici, alla fine della sua vita, conobbe questo grido. Un grido che nasce da quello che Charles Péguy nel suo libro Getsemani definisce come «la nevrastenia di Gesù».
Quella che vivi è una grande grazia che anch’io ebbi la possibilità di sperimentare nella sofferenza per vent’anni. Senza questa grazia oggi la mia vita non sarebbe un’avventura piena di fascino. Forse tu non conosci il manifesto di Pasqua di Cl del 1989, nel quale c’era una affermazione di Emmanuel Mounier che diceva: «È dalla terra, dalla solidità, che deriva necessariamente un parto pieno di gioia e il sentimento paziente di un’opera che cresce, di tappe che si susseguono, aspettate con calma, con sicurezza. Occorre soffrire perché la verità non si cristallizzi in dottrina, ma nasca dalla carne».
E che cos’è la verità? È quel potente desiderio che hai di vedere il volto di Dio. Una delle canzoni che più mi hanno colpito e che continuano a risvegliare in me ogni giorno il desiderio di Infinito, è quella di Claudio Chieffo: “Io vorrei vedere Dio…”. Non esiste creatura sotto il sole che non abbia questo desiderio.
Quando il filosofo Horkheimer definì l’uomo come un «pellegrino dell’Assoluto», regalava all’uomo moderno la più bella definizione dell’essere umano. Pellegrino dell’Assoluto! E il pellegrino è un uomo come te: «I sandali ai piedi, un bastone, lo zaino e lo sguardo ben fisso all’orizzonte». È l’immagine dell’essenzialità che definisce il cuore dell’uomo. L’uomo cerca l’Infinito. Per questa ragione nacquero le religioni come tentativo di dare un volto a questa “x” sconosciuta per la quale l’uomo non si dà pace fino a che non la trova. Tuttavia, 2000 anni fa quella “x” si fece carne e si accampò tra noi. Afferma san Giovanni nel Prologo: «Il Verbo si fece carne e mise la sua tenda tra di noi», come uno di noi. Ebbe una madre, Maria, ebbe un padre putativo, san Giuseppe, il marito di Maria, visse trent’anni nella loro casetta di Nazareth e dedicò tre anni della sua vita per dire a tutti quello che disse a Filippo: «Chi vede me, vede il Padre»; «Io e il Padre siamo Uno».
Certamente potremmo dire che non ebbe molta fortuna perché, per aver svelato se stesso come il volto del Mistero, un volto ben preciso e visibile, lo abbiamo poi messo in croce prendendoci gioco di Lui. Sempre nel Prologo del suo vangelo san Giovanni afferma: «Venne tra i suoi, ma i suoi non lo riconobbero (…)Ma a quanti lo riconobbero diede la grazia di essere figli di Dio…». E proprio quelli che lo hanno riconosciuto per primi, come Giovanni e Andrea, saranno la prima compagnia destinata a render visibile nella storia il volto di Dio. Quella compagnia che dopo la Pentecoste si chiamò Chiesa.
Sempre Claudio Chieffo continua nella sua canzone: «Io vorrei vedere Dio, vorrei vedere Dio, ma non è possibile: ha la faccia che tu hai, il volto che tu hai e per me è terribile». Gesù disse: «Siate “uno” affinché il mondo creda». Cioè riconoscano il volto del Padre tra noi. Papa Francesco, commentando il vangelo che vede come protagonista san Tommaso, ha esclamato: «La strada per conoscere Cristo è quella di mettere il dito (pensiamo al drammatico quadro del Caravaggio) nelle piaghe vive del corpo resuscitato di Cristo». La carnalità con la quale il Caravaggio ci rappresenta questo scenario evangelico è impressionante e per me è la grazia che tutti i giorni il Signore mi regala quando bacio, abbraccio i pazienti terminali la cui carne molte volte è piena di vermi. I vermi del corpo di Cristo.
Oggi, afferma Papa Francesco, il cammino è lo stesso: vedere, toccare, baciare, abbracciare il malato, il povero perché, come affermava Padre Pio, chi fa questo tocca Cristo due volte. Quando mi dici che non ti senti amato, ti senti abbandonato da Dio, è un’esperienza che comprendo bene, perché anch’io l’ho vissuta nella mia persona. E sarà per questo motivo che Dio ad un certo punto della mia disperazione mi ha “colpito” col Suo volto pieno di dolore, incontrando tutto un mondo di miseria e di sofferenza. Un mondo che mi ha sconvolto.
Sconvolgente fino al punto che Dio mi “usò”, in compagnia di padre Paolino, per costruire le opere di carità che sono, per tutti quelli che hanno un cuore semplice, un segno chiaro dell’evidenza del volto del nostro Signore. Io volevo vedere Dio… ma ha il viso sfigurato, il collo pieno di vermi, l’utero putrefatto, le piaghe sanguinanti e puzzolenti… e per me è terribile. Ma questo è il volto di Dio fatto carne.
Per concludere, ti auguro che il tuo desiderio di vedere il volto di Dio cresca drammaticamente ogni giorno, perché arriverà il momento che potrai vederlo e baciarlo. Tu hai 21 anni, io 66. Coraggio, perché la vita è un lungo cammino. La cosa fondamentale è che il dono di questa drammaticità non finisca mai perché se ciò dovesse accadere, vedrai soltanto il volto degli idoli che come afferma il Salmo «hanno bocca e non parlano, naso e non annusano, occhi e non vedono, orecchie e non sentono». Perciò il peccato più grande è il borghesismo del cuore, la tranquillità della vita.
Non dimenticare quello che affermava Camus: «Guarda come fa questa società a distruggere i suoi figli: li fa diventare borghesi». Tranquillo amico, ecco, la carriera, la fidanzata, la famiglia, l’automobile… Questa società somiglia ai pirañas dei grandi fiumi del Brasile, che in pochi minuti riducono un animale a uno scheletro bianco. E allora che faremo di questi morti vivi che non avendo un’anima al mattino tanto meno l’avranno a mezzogiorno e alla sera?
Un suggerimento: leggi il Capitolo X del Senso Religioso del Servo di Dio Luigi Giussani. Lo puoi chiedere in qualunque libreria. Certamente ti sarà di grande aiuto per iniziare a vedere la presenza del Mistero nel mondo, quella Presenza fatta carne nella pienezza del tempo in Gesù. E non dimenticare che quel volto che desideri vedere si mostrerà all’improvviso come un bel giorno dopo una notte di tempesta.
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40/2013
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