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L’assurda crociata contro la croce dell’Europa “per bene” sbianchetterà anche le sue cristianissime bandiere?

Per ora la censura politicamente corretta si ferma al minuscolo ciondolo di una presentatrice tv. Ma se domani toccasse a inni, vessilli e costituzioni?

Rodolfo Casadei
25/11/2013 - 5:00
Esteri
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Lo scandalo delle croci piomba su di noi sempre da Nord. Specie dall’estremo nord dell’Europa. Sette anni fa era stata British Airways a sospendere dal lavoro Nadia Eweida, un’impiegata degli imbarchi, perché indossava una collana a forma di croce visibile sopra l’uniforme (mentre veli e turbanti delle dipendenti musulmane e dei dipendenti sikh erano accettati e integrati nell’abbigliamento ufficiale); nel novembre del 2009 era stata la signora Soile Tuulikki Lautsi, con la doppia cittadinanza italiana e finlandese (paese di cui è originaria), a ottenere una sentenza di primo grado della Corte europea dei diritti dell’uomo che imponeva all’Italia di rimuovere i crocefissi dalle aule di tutte le scuole; stavolta sono stati dirigenti della tv pubblica norvegese che, asserendo proteste da parte di spettatori di fedi diverse da quella cristiana, hanno costretto la presentatrice Kristin Saellmann a rimuovere la piccolissima croce di pietre nere che da qualche tempo portava al collo mentre conduceva un tg regionale.

Le motivazioni dell’exploit scandinavo non sono molto diverse da quelle che portarono British Airways al braccio di ferro con la signora Eweida, una tostissima cristiana copta che sette anni dopo ha avuto partita vinta contro il gigante britannico dell’aria con la sentenza con cui, nel gennaio scorso, la Corte europea di Strasburgo ha riconosciuto che i suoi diritti di libertà religiosa erano stati violati. E nemmeno da quelle della signora Lautsi, il cui desiderio di non vedere i figli influenzati dalla presenza di Cristo in croce in orario scolastico fu riconosciuto come un vero e proprio diritto umano dalla sentenza di primo grado dalla Corte di Strasburgo, ma disconosciuto come uno scrupolo eccessivo dalla sentenza d’appello della Grand Chambre un anno e mezzo dopo la prima. Anche in Norvegia le parole d’ordine sono neutralità e non influenzare: «I norvegesi adottano una politica chiara», ha detto il direttore del canale regionale Anders Sarheim, «e cioè che gli anchor vestano in modo neutrale; noi li incoraggiamo a evitare di esibire gioielli che possano tradursi in simboli politici o religiosi». La conduttrice oggetto della censura si è difesa annacquando il significato del monile: «Non ho mai pensato che questa croce, lunga non più di un centimetro e mezzo, potesse causare tanto clamore. Non ho indossato la croce per provocare. Sono cristiana ma finora ho visto croci un po’ ovunque, anche come oggetti di moda, e non credo che la gente reagisca per questo».

Forse questi norvegesi, finlandesi e britannici avrebbero bisogno di una lezione sulla natura dei loro stati: non risulta da nessuna parte che le loro istituzioni siano tenute alla neutralità religiosa e che servizi pubblici e spazio pubblico debbano essere religion-free. Al contrario: Norvegia, Finlandia e Regno Unito sono paesi dotati di una o più Chiese cristiane di Stato e sono talmente schizzinosi quanto alla dimensione politica dei simboli religiosi cristiani che li hanno spiattellati sulle loro bandiere.

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Il vessillo caduto dal cielo
Tre croci (quelle di san Giorgio, di sant’Andrea e di san Patrizio) sovrapposte in campo blu formano la Union Jack britannica, e croci nordiche (dette anche scandinave) caratterizzano le bandiere di Norvegia e Finlandia. Che le croci della bandiera del Regno Unito siano di ispirazione cristiana lo manifestano i rispettivi nomi, ma anche quelle nordiche non vengono da una sfilata di moda o da un concorso organizzato per scegliere la figura geometrica più bella: la bandiera danese da cui tutte derivano, costituita da una croce bianca in campo rosso, è in uso dal 1400 ed è ispirata a una leggenda a sfondo religioso.

La prima bandiera con croce scandinava non è stata prodotta da mano d’uomo, ma è caduta dal cielo nel 1219 durante la battaglia di Lyndanisse (l’attuale Tallinn), che i danesi stavano combattendo e perdendo in Estonia. La battaglia stava mettendosi male e la sconfitta pareva imminente quando un prete danese cominciò a pregare con le braccia levate al cielo, e subito le cose cominciarono ad andare meglio per le truppe di re Valdemaro. Ma dopo un certo tempo le braccia gli cedettero, e i danesi ricominciarono a perdere terreno. Ci vollero due soldati per tenere di nuovo alzate le braccia del sacerdote, ma ne valse la pena: l’andamento dello scontro si ribaltò di nuovo. Quando i danesi furono sul punto di vincere, dal cielo cadde Dannebrog, come da quel momento sarà chiamata la bandiera: un vessillo rosso con una croce bianca simile, ma non identica, alla croce di san Filippo.

Attualmente la croce nordica appare nelle bandiere di cinque stati nazionali europei (Danimarca, Norvegia, Islanda, Svezia e Finlandia) e di una dozzina di regioni e territori autonomi dell’Europa settentrionale, soprattutto insulari: isole Faroe, Shetlands, Orkney e Aland. Croci cristiane, grandi o piccole, si trovano sulle bandiere di 17 stati europei: si va dalle cinque croci presenti nel vessillo della Georgia (record continentale) a quelle piccolissime degli stemmi compresi nelle bandiere di Liechtenstein, Moldavia, Montenegro, San Marino, Santa Sede e Spagna. Passando per le croci di Grecia, Malta, Serbia e Slovacchia.

Se la signora Saellmann ha dovuto rimuovere una croce di un centimetro e mezzo per non turbare i sentimenti islamici o agnostici dei telespettatori, a maggior ragione la croce andrebbe rimossa dalle bandiere, che sono il massimo simbolo di una comunità politica. Avremo una bella sfilza di bandiere bucate, come quelle che gli insorti rumeni sventolavano dopo la deposizione di Nicolae Ceausescu. Oppure si può scegliere di lasciare solo il colore dello sfondo: i finlandesi, tolta l’elegante croce blu che domina la bandiera che hanno adottato meno di cento anni fa, si ritroverebbero con un bel lenzuolo bianco, buono per rifare i letti o per avvolgerci i morti.

Ad anni di distanza dal caso Lautsi, resta inevaso l’interrogativo che molti si posero: perché, prima di occuparsi dei crocefissi nelle aule scolastiche italiane, la signora non si è dedicata a un ben più vistoso e ingombrante simbolo cristiano, quello della sua bandiera nazionale d’origine? Che la legge finlandese protegge meticolosamente: la bandiera è talmente sacra che non può essere esposta bagnata dopo un lavaggio, ma va asciugata dentro casa. Pena una multa.

Chiese e religioni di Stato
Ma non sono solo le bandiere crociate a ridicolizzare le opinioni di chi pretende in Norvegia, nel Regno Unito, in Finlandia e in molti altri paesi d’Europa che lo Stato si presenti neutrale in materia religiosa. C’è la questione delle Chiese e religioni di Stato. In Europa ci sono dodici paesi dotati di una Chiesa di Stato o di una Chiesa nazionale. Non solo i piccolissimi Liechtenstein, Malta, Monaco e Santa Sede, ma quasi tutti i paesi nordici (la Norvegia che espelle le croci dalla tv, l’Islanda, la Danimarca, la Svezia e la Finlandia che ne ha di fatto due), le ortodosse Grecia e Georgia e il Regno Unito che come la Finlandia ne ha due: l’anglicana Church of England e la presbiteriana Church of Scotland.

Fra le Chiese di Stato o nazionali europee la maggioranza ce l’hanno i luterani con le 5 Chiese ufficiali dei cinque paesi nordici. In Finlandia è considerata Chiesa di Stato, sebbene con uno status non identico a quello della Chiesa luterana, anche la Chiesa ortodossa finlandese. L’anno scorso s’è fatto molto baccano sulla riforma costituzionale norvegese che ha tolto il titolo di Chiesa di Stato alla Chiesa luterana norvegese. L’articolo della Costituzione che stabiliva ciò è stato profondamente riformato. Ma l’articolo 4 continua a prevedere che il re, capo dello Stato, deve necessariamente essere di fede cristiana luterana, e l’articolo 16 enuncia un po’ contraddittoriamente: «Tutti gli abitanti del regno hanno il diritto di esercitare liberamente la loro religione. La Chiesa norvegese, Chiesa evangelica luterana, rimane la Chiesa della Norvegia ed è sostenuta come tale dallo Stato. Specifiche disposizioni relative alla sua organizzazione sono stabilite dalla legge. Tutte le religioni e i gruppi religiosi sono ugualmente sostenuti».

Se in Norvegia il re o la regina devono necessariamente essere dei cristiani luterani, in Inghilterra il monarca è il capo supremo della Chiesa di Stato anglicana. E per lui/lei si prega con le parole dell’inno nazionale: «Dio salvi la nostra benevola Regina!/ Viva a lungo la nostra nobile Regina,/ Dio salvi la Regina!/ Mandala vittoriosa, felice e gloriosa/ a regnare a lungo su di noi,/ Dio salvi la Regina!/ O Signore, nostro Dio, rivelati,/ disperdi i suoi nemici,/ e falli crollare./ Confondi i loro intrighi,/ ostacola le loro manovre disoneste,/ in te riponiamo le nostre speranze,/ Dio salvi tutti noi». Come si possa cantare convintamente un inno come questo e poi in nome della neutralità in materia di religione obbligare un’impiegata a far sparire la croce che porta al collo nell’orario di lavoro, è un po’ difficile da spiegare.

E i famosi norvegesi che non vogliono vedere croci durante i telegiornali regionali sono gli stessi che cantano nel loro inno: «Olaf dipinse su questo paese/ la croce col suo sangue,/ dalle sue altezze Sverre parlò/ dritto contro Roma». Si tratta di re Olaf, che promosse il cristianesimo nel paese e venne canonizzato come Olaf il Santo, e di re Sverre, che per primo sfidò il Papa di Roma che lo aveva scomunicato quando era entrato in conflitto con un arcivescovo che lo contrastava, ottenendo alla fine ragione.

Ma a parte gli inni, che in un gran numero di paesi invocano la protezione o il soccorso di Dio per il re e per la nazione (persino la Marsigliese a un certo punto invoca Dio), chi esige la neutralità dello Stato in materia di religione e l’eliminazione dei riferimenti simbolici confessionali dalle istituzioni e dallo spazio pubblico dei paesi europei, dovrebbe mettere mano alle costituzioni. Allora se ne vedrebbero delle belle. In Grecia la Chiesa orientale ortodossa cristiana non è definita Chiesa di Stato, ma “religione predominante in Grecia”. Un semplice riconoscimento di fatto? Mica tanto. Nell’articolo 3 si legge: «La Chiesa greco-ortodossa, riconoscendo come capo Nostro Signore Gesù Cristo, è indissolubilmente unita, quanto al dogma, alla Grande Chiesa di Costantinopoli e a tutte le altre Chiese cristiane ortodosse, osservando immutabilmente, come le altre Chiese, i santi canoni apostolici e sinodali, come pure le sante tradizioni». Il comma 3 dello stesso articolo si occupa addirittura della traduzione della Bibbia: «Il testo delle Sante Scritture sarà mantenuto inalterato. La sua traduzione ufficiale in un’altra lingua, senza il consenso preliminare della Chiesa autocefala greca e della Grande Chiesa di Cristo di Costantinopoli, è vietata».

In Irlanda, dove il cattolicesimo è la religione della maggioranza ma non è comunque religione di Stato, il preambolo della Costituzione recita così: «Nel nome della Santissima Trinità, dalla Quale origina ogni autorità e alla Quale si devono ispirare, quale nostro fine ultimo, tutti gli atti sia degli uomini sia degli Stati, Noi, il popolo dell’Eire, riconoscendo con umiltà tutti i nostri doveri nei confronti del nostro Divino Signore, Gesù Cristo, che ha sorretto i nostri Padri nel corso dei secoli, ricordando con riconoscenza la loro eroica e assidua lotta per riconquistare la giusta indipendenza della nostra Nazione, e cercando di favorire il bene comune con la dovuta osservanza della Prudenza, della Giustizia e della Carità… adottiamo questa Costituzione».

Dove meno te lo aspetti
Alla luce di questi e altri testi non si capisce perché tanti in Europa abbiano gridato alla svolta reazionaria quando è stato reso noto il preambolo della nuova costituzione ungherese, entrata in vigore nel 2012: «Noi, membri della nazione ungherese, (…) siamo orgogliosi che il nostro re santo Stefano mille anni fa abbia dotato lo Stato ungherese di stabili fondamenta e abbia inserito la nostra Patria nell’Europa cristiana». Se i richiami a santo Stefano e all’Europa cristiana continueranno a risultare sgraditi tanto quanto la crocetta al collo della presentatrice televisiva norvegese, i fautori delle tradizioni religiose europee potranno sempre cercare asilo in qualche angolo del mondo dove gli atteggiamenti nei confronti della croce appaiono più rilassati. Che so, a Dubai: Kristin Saellmann afferma che è lì che suo marito ha comprato il gioiello che tanto chiasso ha causato in patria. E poi il famoso Burj al-Arab, uno degli alberghi più lussuosi del mondo, orgoglio architettonico di Dubai, visto da una certa prospettiva mostra una croce alta 321 metri. Alla faccia dei dirigenti della tv norvegese.

@RodolfoCasadei

Tags: british airwaysburqachiesa statoCristianicrocecrocifissoEuropafinlandiaislandaNadia EweidaniqabnorvegiascandinaviastrasburgosveziaUnione Europeavelo islamico
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