Chi era Junipero Serra, “l’apostolo della California” che sarà canonizzato oggi da papa Francesco
«INNAMORATO DEL VANGELO». Frate minore francescano e professore di teologia, Junipero Serra era nato nel 1713 a Maiorca. La enorme opera di evangelizzazione che lo porta oggi all’onore degli altari cominciò a 35 anni, quando fu mandato nella regione oggi divisa tra Messico e California, appunto. Nel Nuovo Mondo il religioso fondò numerose missioni. Secondo padre Califano, Junipero Serra era «un innamorato del Vangelo», e infatti «fu un instancabile predicatore della Parola di Dio» tanto nei 35 anni trascorsi a Maiorca quanto negli altrettanti anni passati oltreoceano. Il suo impeto missionario – ricorda il postulatore – nacque dalla lettura delle gesta di grandi predecessori come san Francesco Solano e il venerabile Antonio Margil, e la sua «prima azione» avvenne «nel territorio della Sierra Gorda, oltre duecento chilometri a nord di Città del Messico», per estendersi negli anni verso nord, per tutta l’attuale California.
LA LINGUA DEI PAME. Secondo padre Califano, fra’ Junipero seguì scrupolosamente il processo di “inculturazione” per poter incontrare i nativi e annunciare loro il Vangelo. «Non ebbe difficoltà – racconta – ad apprendere in breve tempo la lingua dei Pame», il popolo indigeno che all’epoca abitava la Sierra Gorda. E proprio questo sforzo, dice ancora Califano, è stato «il primo atto di carità di padre Junipero verso quelle popolazioni, cioè il desiderio di sentirsi uno di loro per essere vicino a tutti, con cuore di francescano per comprendere, per sostenere. E questo desiderio di immedesimarsi con i popoli, con le culture, lo accompagnerà per il resto della sua vita, anche negli anni successivi, nell’azione in California».
[pubblicita_articolo]PROMOZIONE UMANA. Ma come molti missionari dell’epoca (e del presente), padre Junipero svolse fra gli indiani d’America anche «un’autentica opera di promozione umana», continua padre Califano. «I frati minori che raggiungevano queste nuove terre insegnavano alla popolazioni nativa l’agricoltura, l’allevamento del bestiame, le arti, la musica e l’architettura. Era un modo per stabilire condizioni di vita più dignitose per quelle popolazioni che certamente erano ancora senza il Vangelo, ma che avrebbero potuto anche essere facili prede di una colonizzazione senza scrupoli. Sono rimasti a noi come esempi mirabili di questa attività “artistica”, di promozione, le grandi chiese delle missioni di Sierra Gorda che oggi sono considerate patrimonio mondiale dell’umanità».
5.309 CRESIME. Il santo missionario inoltre «moderò la metodologia di approccio che i militari gli spagnoli erano soliti condurre quando si stabilivano in quelle terre», e allo scopo fu sempre pronto a battersi: «Non ebbe rispetti umani per chi osava attaccare, approfittare o soggiogare gli indiani. Per questo amore viscerale e intelligente, non ebbe timore di affrontare a viso aperto le autorità politiche e militari che volevano sottrarre alla Chiesa il compito dell’evangelizzazione». Secondo il postulatore, tra lui e i Pame c’era «rapporto tra padre e figli. Padre Junipero aveva la consapevolezza di avere generato alla fede in Cristo questi popoli e quindi desiderava amministrare personalmente il Battesimo quasi per assumersi nei loro confronti una responsabilità, una responsabilità di padre». Altra prova di questo rapporto paterno, racconta Califano, è il fatto che il francescano, una volta ottenuta l’autorizzazione ad amministrare la cresima (cosa «del tutto eccezionale» poiché normalmente solo i vescovi ne hanno l’autorità), «si mise in viaggio per donare questo Sacramento alle popolazioni di California e si calcola che il numero delle Cresime gli egli riuscì a distribuire sia stato 5.309!».
LA PIAGA. Califano sottolinea la grande umiltà del nuovo santo, che si considerò sempre un «servo inutile». A testimonianza di questa sua virtù Califano porta la radicale ubbidienza del frate alle indicazioni dei superiori e della Chiesa, e naturalmente la sopportazione della sua “celebre” piaga. «La piaga alla gamba – racconta il postulatore alla Radio Vaticana – si era formata al suo arrivo in Messico, procurata probabilmente da una puntura d’insetto. Portò infezione e lui l’ha portata pazientemente, questa piaga, per i 35 anni in cui è stato missionario. Ha viaggiato sempre a piedi: solo in una circostanza gli fu prestata una lettiga, proprio negli ultimi anni, quando era sofferente, ma ha camminato sempre sul dolore e questo certamente per un desiderio di conformità a Cristo, per un’offerta più autentica della sua vita e proprio perché si riteneva un nulla».
Foto Ansa/Ap
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