Quando andò in Corea del Nord, lo scrittore americano Adam Johnson fece molta fatica con la gente del posto. Anche le domande più semplici – chi sei? Da dove vieni? Sei felice? – sono proibite sotto il regime comunista che minaccia guerre atomiche e gli interrogativi sul perché non si vedono disabili, cassette della posta o librerie sono destinati a restare senza risposta. Anche se quelle domande non le ha fatte, Johnson sul regime nordcoreano ci ha scritto un libro, “Il Signore degli orfani”, pubblicato in Italia da Marsilio, con il quale ha vinto il prestigioso premio Pulitzer.
IL SIGNORE DEGLI ORFANI. «La Corea del Nord è una macchina che genera mistero» spiega l’autore al Giornale, «loro aprono e chiudono file, ma noi non ne sappiamo nulla». «Non sappiamo come muoiono i leader, come vivono, come sono le loro mogli». Per riuscire a scrivere il romanzo, Johnson ha studiato la Corea del Nord per sette anni, leggendo qualsiasi cosa gli capitasse a tiro, spiega, «persino i volumi di agricoltura e tutto il materiale di propaganda». «Poi ho trovato le testimonianze dei fuoriusciti, le poche disponibili» che gli sono state utili per scrivere una storia «dal punto di vista di un nordcoreano». Compito difficile, soprattutto per un americano, immedesimarsi in un uomo con la personalità annichilita, che vive in un paese isolato dal mondo, dove una dittatura controlla ogni singolo aspetto della vita.
FILMATO TURISTICO. Johnson ha poi deciso di andare a vedere i nordcoreani da vicino, nel loro paese. Su internet il regime offre soggiorni ufficiali a chi voglia «sperimentare la felicità» dei cittadini. Lo scrittore e docente universitario ne fa richiesta, ma gli viene rifiutato il visto. Riesce in seguito a entrare come assistente di un amico nordcoreano che fa parte di una Ong. Quando arriva è però tutto in ordine: «Il paese apre solo due settimane l’anno» spiega lo scrittore in un’intervista a Mercury News «e per quelle due settimane, la capitale è una vetrina»: «Ho visto esattamente quello che volevano farmi vedere». Dopo aver “visto” Pyongyang, viene mandato via, confinato come un turista vip «sull’isola di Yanggak in un hotel gestito da cinesi», dove «nessun cittadino coreano può andare». «Andavamo in giro con le guardie del corpo della Kfa: una aveva una vecchia videocamera per riprendere tutto quello che dicevamo e facevamo».
NON ESISTONO ROMANZI. Nel paese meno accessibile del pianeta pare non si leggano romanzi da sessant’anni. E non si scrivono neanche. Non ci sono neppure le librerie, spiega ancora Johnson: «C’è una sola storia, in Nord Corea: quella che racconta la vita del Caro Leader. Ma non parla né dei desideri né dei bisogni dei singoli individui. (…) Nella tradizione narrativa occidentale, ogni persona è il centro della propria storia, in Corea del Nord è esattamente il contrario: c’è una storia, e questa storia ha un personaggio centrale, il dittatore» e poi «ci sono 24 milioni di personaggi secondari». Soldato, contadino o burocrate, è il regime a decidere quale «ruolo della narrativa nazionale» dovrà interpretare il giovane coreano.