
Israele e l’illusione della “vittoria totale”

Forse non ci sperava nemmeno Benjamin Netanyahu, ma a un anno dalla catastrofe del 7 ottobre, Israele sta vincendo su tutti i fronti. Hamas non è certo sconfitta, ma è radicalmente indebolita dopo che la Striscia di Gaza è stata ridotta a suon di bombardamenti a un cumulo di macerie. Hezbollah, nemico ben più temibile del primo, è in ginocchio dopo una serie colossale di errori.
L’intera catena di comando dei terroristi, a partire dall’apice, Hassan Nasrallah, è stata eliminata; le comunicazioni interrotte in seguito all’esplosione dei cercapersone; anche militarmente il “Partito di Dio” arranca e forse non si aspettava che lo Stato ebraico avrebbe invaso il Libano per ricacciare i miliziani dietro la linea del fiume Litani, distruggendo così tutti quegli avamposti che avevano impiegato decenni a costruire.
La vittoria diplomatica di Israele
La vittoria di Israele è anche e soprattutto diplomatica. Nonostante la guerra sia già costata più di 40 mila vittime a Gaza e circa duemila in Libano, gli Stati Uniti restano saldamente a fianco di Tel Aviv. La verità è che Washington, a parte qualche flebile appello di facciata al cessate il fuoco, è ben felice di vedere le organizzazioni terroristiche legate all’Iran indebolite da un’operazione radicale come quella israeliana.
Ancora più importante per lo Stato ebraico è il tacito sostegno di gran parte del mondo arabo: l’uccisione di Nasrallah ha provocato un’ondata di giubilo in tutto il Medio Oriente. Le potenze regionali sunnite esultano nel vedere che Israele sta facendo il lavoro sporco per tutti: eliminare cioè gli elementi più pericolosi dell’Asse della resistenza sciita.
Netanyahu ha messo nel mirino l’Iran
La guerra va così bene che Netanyahu ha iniziato a coltivare un sogno fino a pochi anni fa impensabile: la “vittoria totale”, cioè l’abbattimento del regime degli ayatollah, che non è mai apparso così debole, e il “regime change” in Iran. Quando il grande nemico, che vuole la bomba atomica per cancellare dalla cartina geografica del mondo lo stato di Israele, sarà distrutto, allora ci sarà davvero la pace, sembrano pensare in tanti a Tel Aviv e in Occidente.
Ma potrebbero sbagliarsi. La logica del più forte ha sempre prevalso in Medio Oriente, ma non ha mai creato un ordine stabile. Il Libano ne è la dimostrazione: con l’invasione del 1982 Israele ha smantellato l’Olp, ma ha anche spianato la strada alla nascita di Hezbollah. L’intervento americano in Iraq nel 2003 ha abbattuto il sanguinario regime di Saddam Hussein, ma insieme a centinaia di migliaia di vittime non ha certo portato stabilità.
Meglio i sunniti?
Giuliano Ferrara scrive sul Foglio che «per un futuro di pace, per usare una parola grossa e abusata, è più affidabile la controrivoluzione rinascimentale dei grandi sunniti della rivoluzione oscurantista dei grandi ayatollah».
Forse ha ragione. L’Arabia Saudita, da quando Mohammed bin Salman ha lanciato il suo piano Vision 2030, bada più al sodo e al soldo che all’ideologia wahhabita. Per questo si è dimostrata ben disposta verso Israele e potrebbe anche firmare gli Accordi di Abramo pur di prendere in mano le redini della regione e vedere sconfitto il suo grande nemico a Teheran.

La stagione del terrorismo jihadista
Ma ci si può davvero illudere che l’Arabia Saudita, che ha ridotto lo Yemen a un cumulo di macerie, che ha alimentato una guerra che dopo 10 anni è ancora in corso a Sana’a e che non è riuscita a eliminare manu militari gli Houthi alleati dell’Iran, sia una forza stabilizzatrice?
E il terrorismo sunnita che a partire dal 2015 ha fatto stragi in Francia, Belgio, Germania, Regno Unito, Spagna e Russia, da chi era alimentato se non da generosi finanziamenti provenienti da Arabia Saudita e Qatar? E gli eccidi compiuti dall’Isis e da Al-Nusra in Iraq e in Siria, oggi attivi non erano forse tacitamente approvati dai paesi sunniti solo perché mettevano in ginocchio potenze sciite?
Israele deve fare attenzione alla Russia
Se è cosa certa che la maggioranza degli iraniani è stufa della rivoluzione khomeinista, non è affatto detto che l’aiuto israeliano a ribaltare il regime sarebbe accettato di buon grado. Non c’è certezza neanche sulla reazione della Russia, che ha in Khamenei in Iran e nello sciita Bashar al-Assad in Siria due alleati. Vladimir Putin resterà a guardare mentre vengono fatti fuori?
Come ha scritto Vittorio Emanuele Parsi sul Foglio, quella di Netanyahu «è l’eterna illusione che sulla sola e semplice punta delle baionette (come si diceva una volta) possa essere costruito un ordine stabile e duraturo».
Sarà il “solito” Medio Oriente
Anthony Samrani, opinionista del quotidiano libanese L’Orient-Le Jour, va più in profondità:
«Il nuovo Medio Oriente di Benjamin Netanyahu non sarà né più stabile né più pacificato di prima. Anzi. La violenza chiama la violenza. E questa dinamica mortifera senza limite, senza regola e soprattutto senza la minima prospettiva politica finisce per riacciuffare tutti quelli che l’alimentano. (…) In Libano, in Medio Oriente e nei paesi occidentali, molte voci si rallegrano oggi al vedere l’asse iraniano subire una batosta senza precedenti. Per quanto comprensibili siano alcune di queste reazioni, nell’insieme danno prova di una mancanza di visione e di comprensione delle conseguenze che la probabile vittoria israeliana avrà nella regione».
Scrive ancora Samrani: «Oltre al bilancio umano – i morti, i feriti, i profughi – oltre ai villaggi e ai quartieri distrutti, l’anno che va terminando, e che ha condotto alla distruzione sistematica dell’enclave palestinese sotto lo sguardo indifferente della comunità internazionale, ha provocato una radicalizzazione a livello dell’intera regione».
Resta la questione palestinese
E come se non bastasse, nel nuovo Medio Oriente sognato da tanti, dove la rivalità tra Iran e Arabia Saudita sia sostituita con la forza dal predominio di Israele insieme ai sauditi e ai paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo, non sembra ancora esserci spazio per i palestinesi.
È passato un anno dal 7 ottobre, ma in Medio Oriente non c’è stato alcun passo avanti. La strategia messa in campo da tutte le potenze regionali continua a essere una sola: eliminare il proprio nemico.
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